Dalle stalle si vedono le stelle, e forse ci si può confondere un po’.
columnist
Le stelle e le stalle Toro
Non avrei mai pensato che il caffè dopo la fine della partita contro la Roma, potesse essere così tanto più amaro di quello che avevo bevuto tra il primo e il secondo tempo. E invece così è stato, finito lo zucchero. E dire che nella pausa, al bar, erano tutti a sgranchirsi le gambe al bancone e darsi pacche sulle spalle, contenti di questo Toro sceso alla conquista di Roma. Iago che prima organizza un tiro pulito per Berenguer e poi lo prova lui, quel tiro che non vuole saperne di entrare. Infine lo rivolge a Belotti il tiro, ma è ancora un no, il pallone non entra. Quarantacinque minuti ben giocati che fanno presagire una gradevole serata granata. Affrontiamo una Roma che dovrebbe essere ancora galvanizzata dal castigo dei quattro gol inferti al Napoli, e non sfiguriamo affatto. Le teniamo testa con un gioco in cui tutte le caselle granata risultano chiuse e ordinate. E appena c’è spazio, su di corsa verso la porta romana, per provare a sfondare. L’ottimismo è offuscato solo dalla consapevolezza che arrivare una, due, tre volte davanti alla porta e non realizzare il gol è qualcosa che non si può fare, stiamo mancando il fine ultimo del nostro gioco: segnare. Ed è pericoloso, è una sfida alla buona sorte.
L’inizio del secondo tempo è ancora per Berenguer che cerca Belotti. Belotti è lì, davanti alla porta, ma non segna. Il Toro, non segna, e continuerà a non farlo, fino alla fine della partita. Resterà a guardare una Roma che si divincola dalla stretta difensiva granata e se ne prende gioco, approfittando degli errori e dei contropiedi. Dove finisce la forza del gioco del Toro quando è necessario mantenere la concentrazione e continuare a sputare fuori la grinta?
Da qualche parte dietro le spalle di Manolas, che si innalza in solitudine sul calcio d’angolo, sbloccando il risultato in maniera inaspettata.
Vabbé, la partita si può ancora fare. E invece è De Rossi che approfitta dell’occasione che Nainggolan pensa per lui, e raddoppia. Il terzo gol, quello di Pellegrini, neanche più fa male. Il Toro vigile del primo tempo è anestetizzato.
Un tre a zero può sembrare una disfatta, ma non è questa, la storia della partita Roma-Toro. È un tre a zero che poteva essere un pareggio e forse forse una vittoria. Ma comunque si racconti la storia, il finale non si può cambiare: perso tre a zero.
Tra le stelle e le stalle non c’è poi molto spazio. E a volte non c’è neanche molto tempo, bastano i quindici minuti dell’intervallo. È la prospettiva, a cambiare diametralmente. Un Toro bipolare che forse avrebbe bisogno di tifosi psicologi per essere compreso. Io sono basica e capisco solo che per vincere non si può non segnare quando si è davanti alla porta. Per vincere, bisogna credere in se stessi e rimanere uniti quando il cuore pompa più forte e la paura davanti all’avversario un po’ sale. Perché noi siamo stelle, siamo Toro.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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