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editoriale

Buongiorno e il Toro, quando le ambizioni fanno la differenza

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Con lavoro e serietà ha dimostrato di valere il Toro, quella stessa squadra che ora iniziava ad essergli troppo stretta
Alberto Giulini Vicedirettore 

In fin dei conti, è tutta una questione di ambizioni. Quelle che non mancano affatto ad Alessandro Buongiorno, in costante crescita a suon di duro lavoro. Alessandro non è nato con le stimmate del campione. Certo, ha una struttura fisica invidiabile, ma sono la serietà e l'impegno che stanno facendo la differenza. Buongiorno non si è mai perso d'animo quando gli allenatori lo vedevano meno, anzi: ha iniziato a lavorare ancor più duramente, dimostrando che sbagliavano a tenerlo fuori.

Così, già solo negli ultimi quattro anni a Torino, Buongiorno ha dimostrato quanto una mentalità vincente possa fare la differenza. Così si è ritagliato i primi spazi nel Toro, così ha continuato a lavorare sui suoi limiti per non restare uno dei tanti. E il lavoro ha pagato: la crescita di Alessandro è stata esponenziale e lo ha portato ad essere il leader indiscusso della squadra del suo cuore. Così si è meritato la maglia granata, prima che i ruoli si invertissero: nell'ultima stagione è diventato il Toro a dove dimostrare di meritarsi Buongiorno.

Il rifiuto all'Atalanta della scorsa estate è stato una scelta di altri tempi. Alessandro è stato ancor più idolatrato e restando in granata ha continuato a crescere, diventando uno dei migliori difensori del campionato. Al tempo stesso, quel "no" gli ha impedito di alzare al cielo l'Europa League e proprio l'assenza di esperienza internazionale lo ha costretto - pur molto discutibilmente - a vivere l'Europeo dalla panchina. Un doppio colpo difficile da digerire per un giocatore che proprio grazie all'ambizione è cresciuto tantissimo.

E che diventa ancor più difficile da digerire quando la tua squadra, da tre anni a questa parte, sembra incagliata nel limbo di metà classifica. Le ambizioni di Buongiorno erano diventate troppo grandi per un Toro che, nel recente passato, non è riuscito a crescere di pari passo. Una condizione che Alessandro aveva posto la scorsa estate, quando si diceva pronto a diventare bandiera granata con una progressiva crescita delle ambizioni. Ma così, almeno per quelli che sono i risultati, non è stato. Che Buongiorno pensasse in grande si poteva notare anche dalla scelta del procuratore, quel Beppe Riso che nel mondo del calciomercato è in grado di spostare gli equilibri.

Uno scenario che portava in una sola direzione: lasciare il Toro per cercare progetti ancora più ambiziosi. A pagare le conseguenze dell'addio di Buongiorno sono soprattutto i tifosi, che vedono ammainare quella bandiera che sembrava pronta a issarsi e sventolare per tanti anni. Così non è stato e "capitan futuro" lascia Torino con la beffa di non aver mai vissuto una stagione con la fascia al braccio, pur avendo avuto l'onore di leggere i nomi degli Invincibili a Superga nelle ultime due stagioni.

La palla passa ora alla società, costretta a fare i conti con una piazza sempre più delusa. L'ultima stagione si era già chiusa in modo turbolento e tra mille difficoltà ambientali, quella nuova si apre con la cessione del giocatore più amato dalla tifoseria. E la soluzione, in questo caso, non può che essere una: allestire una squadra di livello. In questo momento le parole valgono zero e solo i fatti, cioè i risultati, potranno col tempo alleviare l'amarezza dei tifosi. Sicuramente le tempistiche della cessione sono un grosso assist: arrivata ad inizio mercato, permetterà di avere tutto il tempo per reinvestire nel migliore dei modi l'incasso. Solo una squadra di livello e i risultati sul campo potranno riportare il buon umore nella piazza. Ma ci vorrà del tempo. E la consapevolezza che la cessione di Buongiorno, pur dolorosa, abbia permesso di costruire un Toro più forte.

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