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editoriale

Sulla Serie A alle 18.30 in agosto

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Torino-Cagliari si è giocata in condizioni che hanno pregiudicato lo spettacolo e messo a rischio la salute di calciatori e tifosi
Gianluca Sartori Direttore 

Quando l’arbitro Cosso ha fischiato il calcio d’inizio di Torino-Cagliari, il termometro segnava una temperatura di 38.5 gradi. Condizioni che non si conciliano con il calcio professionistico di Serie A. Appare evidente, dunque, che va aperta una riflessione su questo tema.

Come è ovvio che sia, il caldo c’era per entrambe le squadre e non vale come alibi o scusante. Altrettanto evidente è il fatto che il Torino di Juric sia una squadra che segna poco, un evidente tratto di continuità rispetto alla scorsa stagione, un problema che non si può spiegare solo parlando di temperature. Però il campionato deve mettere i giocatori in condizione di poter rendere al meglio. Le tv chiedono slot sempre diversi per rincorrere, dal loro punto di vista, la massima remunerazione possibile dell’investimento fatto per i diritti audiovisivi. Ma dovrebbe avere la precedenza il tema sanitario, sia per i calciatori sia per i tifosi (chi era ieri nei Distinti con il sole in faccia non può che essere d’accordo).

Inoltre, è ovvio che giocare con un caldo così pregiudica anche lo spettacolo offerto e di conseguenza la qualità del prodotto che viene trasmesso in Italia e all’estero. Forse non è un caso se la partita è stata piuttosto frizzante per i primi 20-25 minuti e poi soporifera per il resto. Il caldo è stato un fattore da cui non si può prescindere nel commentare Torino-Cagliari: lo ha fatto presente Ivan Juric, che doveva “giustificare” una mancata vittoria, ma anche Claudio Ranieri, un allenatore con esperienza infinita che sa quel che dice: "Non respiravo io in panchina", le sue parole. In futuro la Lega Serie A dovrebbe far valere queste ragioni. Ma occorre avere una forza contrattuale che forse non esiste.

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