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Leicester, chiamarla favola forse e’ troppo

Ranieri, Leicester
Una favola nel calcio - 3^ parte/ Se sul piano sportivo il termine regge, su quello economico il club vanta risorse che di certo non lo fanno definire una "Cenerentola"...
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

Nella prima parte della mia riflessione sulla favola del Leicester ho sostenuto la tesi che in Italia non ci sarebbero le condizioni per vedere realizzata un'impresa analoga, nella seconda parte invece, in parte confutando la prima tesi, aprivo uno spiraglio sostenendo che la moviola in campo potrebbe davvero portare una piccola rivoluzione di cui potrebbero approfittare potenziali outsider. In questa terza e ultima parte, invece, mi piacerebbe ridimensionare sotto certi aspetti il termine "favola" che un po' generosamente e' stato affibbiato all'impresa sportiva del Leicester. Attenzione, non contesto il lato sportivo della vicenda, perché di impresa sul serio si tratta visto che ha vinto la squadra che era tra le meno accreditate al titolo, una cosa che resterà negli annali del calcio come una delle più grandi e più belle sorprese di tutti i tempi.

Quello che invece, grattando un po' la patina dorata del nascente mito del Leicester di Ranieri, si può ridimensionare e' che il club delle Midlands inglesi sia tutto fuorché un club "povero". Le Foxes pochi anni fa sono state acquistate dal magnate thailandese Vichai Srivaddhanaprabha, proprietario monopolistico dei duty free degli aeroporti thailandesi (qualcuno di voi ha idea del traffico di passeggeri anche solo dell'aeroporto internazionale di Bangkok?) e di due dei più grossi centri commerciali della capitale, un uomo a capo di un impero commerciale da quasi tre miliardi di dollari, molto ben introdotto negli ambienti militari e di corte della Thailandia. Ovvio che un soggetto con tali disponibilità economiche, per quanto parsimoniosamente abbia investito sul club, di sicuro ha innalzato il livello delle possibilità del Leicester. Per capirci il monte ingaggi del club è di circa 130 milioni di euro, più di quattro volte quello del Torino, ad un livello tale che solo quattro o cinque squadre italiane potrebbero competere. Il paragone con la nostra serie A e' impietoso, ma sono sicuro che a partire dalla prossima stagione il Leicester proverà a stabilirsi sui livelli delle grandi di Inghilterra sfruttando anche il ritorno a livello di immagine (merchandising, sponsorizzazioni, etc) che l'incredibile vittoria di quest'anno ha portato e porterà. Alla luce di tutto ciò appare evidente che appiccicare l'etichetta di "favola" ad una squadra che alle spalle dispone di una certa potenza economica e' fuori luogo ed irriverente rispetto a realtà che invece piccole sono sul serio ma sanno stare ad un certo livello (e potrei citare il Chievo come esempio italiano). Anche il Sassuolo, erroneamente visto da molti come la Cenerentola italiana, ha alle spalle un grossissimo gruppo economico, la Mapei del presidente Squinzi, che volendo potrebbe investire ancora più pesantemente nel calcio.

Purtroppo, quindi, nel calcio moderno la componente economica appare sempre più inscindibile da quella sportiva e la stessa classifica di Serie A ne è una triste dimostrazione: chi fattura di più sta in alto e l'ordine di classifica segue quasi fedelmente l'ordine dei fatturati.

Ci toccherà prendere atto che di vere e proprie favole il calcio a tutti i livelli, se mai e' stato capace di produrne, non è più in grado di esprimerne. Anzi forse l'unica vera favola doc vista negli ultimi anni e' stata la cavalcata incredibile dell'Alessandria nell'ultima Coppa Italia dove, nonostante un regolamento che definire vergognoso e' eufemistico, e' riuscita nel miracolo di arrivare in semifinale. Che poi a voler essere malpensanti viene da chiedersi come mai in una competizione che si basa sul turno secco solo la semifinale sia ad andata e ritorno: forse per creare un'ultima barriera invalicabile e assicurarsi che le potenziali sorprese non vadano oltre? E che non si rischino di vedere eventuali favole? Più che per le favole, allora, in Italia bisogna constatare che ci sia una certa preferenza, almeno nei palazzi del potere, per i film visti e stravisti...

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