columnist

L’emiro tifoso

Anthony Weatherill
Loquor / Torna la rubrica di Anthony Weatherill: “In questo nostro mondo contemporaneo, non finiamo di dimenticare solo il nostro passato e le nostre tradizioni, ma..."

“Sempre devi  avere in mente Itaca.

Raggiungerla sia il pensiero costante”.

Konstatinos Kavafis

Qualcuno ha scritto che c’è qualcosa di più disperante di avere un destino crudele, ed è quello di non avere un destino. In questo nostro mondo contemporaneo, ormai dominato solo dal tempo presente, non finiamo di dimenticare solo il nostro passato e le nostre tradizioni, ma fingiamo, addirittura, di prefigurare il futuro. Ed è strana questa attuale condizione umana, specie se rapportata al mondo del calcio. Infante, in un tempo ormai ahimè lontano, potevo trascorrere interi pomeriggi ad Old Trafford, la casa del Manchester United, a godere dello stadio e di tutte le persone che amavano abitarlo. Quelle persone, nel tempo, sono diventate la formazione primordiale della mia memoria calcistica e della mia memoria di mancuniano.

Le loro conversazioni estemporanee e ricche di aneddotica, come solo nel calcio ormai si potevano trovare in un mondo felicemente avviatisi verso il postmoderno, erano state una delle cose che avevano reso possibile il mio entrare nel mondo reale con un’identità. Con il passare degli anni la vita mi ha portato a risiedere in varie luoghi del mondo, diversi tra loro per modi di vivere e cultura. Nonostante ciò mai il filo che mi lega al mondo di Old Trafford ha rischiato di spezzarsi o di sbiadirsi. Ovunque andassi, fossero anche i luoghi più improbabili del mondo, l’orecchio era sempre teso verso quella città dove nel XIV secolo degli emigrati fiamminghi avevano intrapreso una fiorente lavorazione su scala industriale della tessitura della lana e del lino, che presto fece diventare la mia città una delle capitali mondiali del tessile. Ciò, in breve tempo, aveva costituito una delle classi operaie protagoniste sul palcoscenico della rivoluzione industriale occidentale avviatesi a metà del settecento. James Hargreaves, brevettando la filatrice meccanica “spinning jenny” (seguita da “water frame” e dall’incredibile “mule-jenny), non poteva certo immaginare il conseguente scatenarsi di uno straordinario effetto domino che, a causa del vertiginoso incremento della produttività del settore tessile, avrebbe favorito la nascita di altri due comparti della classe operaia: quella ferroviaria e quella portuale. Infatti le enormi quantità di merci prodotte a Manchester dovevano essere velocemente dirottate nei porti inglesi, per essere spedite in giro per il mondo. La possibilità, per una città situata a circa 60 chilometri dalla costa, di avere uno sbocco sul mare divenne un bisogno impellente, che sfociò, nel 1894, nell’inaugurazione del “Manchester Ship Canal”, una striscia d’acqua lunga 58 chilometri  a collegare il nuovo porto di Manchester al Mare d’Irlanda.

E questo contesto di impetuoso sviluppo a generare la nascita dello United, uno dei pochi rari casi in cui è la classe operaia(in primo luogo quella ferroviaria) ad aver dato vita ad uno dei club calcistici più famosi del mondo. Portuali, ferrovieri e tessili ciclicamente cominciarono a ritrovarsi allo stadio, e diedero vita e un carattere ad un club che più di ogni altra cosa per decenni ha esposto al mondo lo stile di vita mancuniano. Matt Busby e Alex Ferguson si sono poi occupati di consegnare al mito i “Red Devils”, con tifosi ormai sparsi in tutto il globo terrestre e calcolati, secondo recenti classifiche, nell’ordine di 750 milioni di persone. Tra questi tifosi, illustri e non, c’è una personalità che da qualche ora, ovvero da quando lo United ha perso ad Old Trafford il suo primo ottavo di finale con il Paris Saint Germain, mi sta procurando qualche pensiero esistenziale, e anche qualche considerazione sul destino a cui apparteniamo, o dovremmo appartenere. Tamim bin Hamad al-Thani è un giovane signore, dai modi signorili e a tratti anche gioviali, a cui in sorte è andato il titolo di emiro del Qatar, rendendolo uno degli uomini più ricchi e potenti del pianeta.

Questo rampollo della nuova “razza padrona” mediorientale ha avuto una raffinata formazione scolastica britannica, conclusasi con la laurea alla prestigiosa Royal Military Academy Sandhurst. Di quel periodo gli è rimasta la perfetta padronanza della lingua inglese e, cosa constatata personalmente, un amore viscerale per il Manchester United. Indiscrezioni mai smentite segnalano anche un suo tentativo, prima dell’arrivo dell’attuale proprietà americana, di acquistare la sua squadra del cuore. Tamim bin Hamad, da quando nel 2005 ha fondato il Qatar Sport Investiment, non ha fatto che investire ingenti somme di denaro nel mondo dello sport. Organizzazioni di appuntamenti agonistici di levatura mondiale, sponsorizzazioni, acquisizione della proprietà del Paris Saint Germain, hanno visto il Qatar diventare in poco tempo uno dei Paesi protagonisti dello sport globale. L’attuale emiro qatarino deve aver ritenuto, giustamente, lo sport un buon viatico per salire alla ribalta del palcoscenico mondiale. Un modo, forse un po’ dispendioso viste le somme messe a disposizione fino ad oggi, per affermare al mondo più profondo e distratto, dal ragioniere della Brianza al contadino americano del midwest, che il Qatar esiste e sta diventando sempre più potente e radioso.

Situarsi nel cuore di Parigi, con l’acquisto del Paris Saint Germain, deve averlo considerato il suo capolavoro. Accamparsi in uno dei luoghi sacri del calcio del vecchio continente è stata una dimostrazione di forza e coraggio da raccontare ai nipoti quando i capelli saranno diventati inevitabilmente grigi. Ma cosa avrà pensato l’altra sera, Tamim bin Hamid, quando il Paris Saint Germain ha violato per ben due volte la rete dello United ad Old Trafford? Avrà gioito? Oppure l’amore per una squadra non può essere  scalfito nemmeno dall’ambizione di diventare uno degli uomini più potenti dello sport mondiale? Perché sicuramente, per il giovane emiro del Qatar, il Paris Saint Germain sono gli affari, ma lo United è il moto del cuore, nonché uno degli appuntamenti vitali con il suo destino. Se è vero, come qualcuno ha scritto, che “negarsi al destino è scivolare nel regno delle ombre dove tra l’essere e il niente non c’è sostanziale differenza”, allora Tamim bin Hamid, al termine della partita tra Manchester United e Paris Saint Germain, deve aver provato, in qualche angolo appartato della sua anima, un sentimento simile al disfacimento. Il suo principale palcoscenico sul mondo, il Paris Saint Germain, gli aveva appena umiliato la squadra del  cuore nella sua casa di Old Trafford.

Ma capita, nella vita, di non porsi più il problema del bene e del male, che inevitabilmente ci costringerebbe a scegliere. A volte decidiamo di seguire la banalità dei nostri interessi e della nostra vanità, e dimentichiamo quello che un giorno fu l’incontro fatale con il nostro destino, che a dimenticarlo fa finire inevitabilmente nell’automatismo. E nell’automatismo non esiste più il ricordo dei nostri “incontri”, e ogni giorno scivoliamo nelle anomie delle nostre alterne fortune. I ricordi, ormai declinati nell’oblio, non reggono più quei fili che ci legano all’esistenza delle cose vere, aprendo la strada al caos senza valori. Tante volte mi sono chiesto se, per pura convenienza finanziaria o di potere, avrei mai preso in considerazione l’acquisto non dico del Manchester City, cosa davvero per me impossibile, ma di una qualsiasi altra squadra sparsa per il continente europeo. Per anni,a questa domanda, non ho trovato una risposta dal connotato sincero.

Fino all’altra sera. Fino alla sconfitta della squadra per cui io e l’emiro del Qatar facciamo il tifo. Fino all’immaginarmi al dramma sportivo, magari non avvenuto, di un uomo “colpevole” di aver favorito la sconfitta della squadra del cuore. No, non potrei mai comprare nessuna squadra che non sia lo United, non vorrei mai essere causa di una sua sconfitta per mano di un’altra squadra da me resa forte. Non posso farlo perché non posso dimenticare quei pomeriggi della mia infanzia ad Old Trafford, non posso tradire quell’appuntamento avuto dal cuore con il suo destino, non posso ovviare a quel posto che la storia a me ha riservato. Io sono insieme con quei ferrovieri, portuali e tessili di Manchester. Per sempre. Fuori da questi ricordi sarei solo un sonnambulo della vita e smetterei di immaginarmi un futuro reale, causa manifesta incapacità. Noi siamo il risultato degli appuntamenti cruciali della nostra storia, e di ciò che ci ha legati ad essi. “Vivere è tornare – ha scritto Marcello Veneziani -. Ogni nesso, ogni relazione, ogni amore esige la ricongiunzione, il ritorno. Tra libertà e verità c’è il ponte dei ritorni. L’inizio ci aspetta alla fine. L’umana avventura gira intorno alla sua origine e torna, e vorrebbe tornare, ed eternamente ritorna”. Ecco perché, probabilmente, il dolore dell’improvvisa perdita non ha piegato i sogni dei tifosi dello United, del Torino  e della Chapecoense. Perché l’inizio, proprio come ha scritto Veneziani, ci aspetta veramente alla fine. Potete controllare.

(ha collaborato Carmelo Pennisi)

 

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.