Cara Signora Egri
La leggenda e i campioni
Lettera alla Signora Susanna Egri
Scriverle una lettera in questa rubrica è al contempo una cosa emozionante ma anche motivo di riserbo misto a timidezza.
La sua vita e la sua carriera artistica che percorrono decenni a cavallo di due secoli sono la conferma di un eccezionale talento, coltivato con passione e fatica.
Ma Lei rappresenta molto più di questo. Per noi tifosi granata soprattutto.
In occasione del 4 maggio, così come nella sua conversazione televisiva con Federico Buffa, il suo sguardo limpido volitivo coinvolgente, la sua voce ferma orgogliosa, catturano l'attenzione e trasportano l'appassionato, l'ascoltatore, il tifoso in un'epoca lontana che diventa per magia un presente vissuto.
Lei ha testimoniato come una famiglia, la famiglia ebrea ungherese Erbstein, sia potuta uscire indenne a testa alta, piena di fiducia nell' avvenire e nel prossimo, dalle atrocità e dalla crudeltà degli uomini durante la Seconda Guerra Mondiale. Il racconto del suo distacco dall'Italia, dalle sue compagne di scuola, dalla danza, dal suo giovane mondo di allora, la rievocazione della sua permanenza in Ungheria al riparo dalle terribili Croci Frecciate e dai nazisti, la prontezza con cui Lei ed il Suo indimenticabile Papà evitaste una strage, descritti con dolore ma con lucidità, mettono i brividi e lasciano a bocca aperta.
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A sprezzo del pericolo, anche durante la guerra, Ernö Egri Erbstein era tornato in Italia, in forma clandestina. Si era recato a Venezia per osservare dal vivo Ezio Loik e Valentino Mazzola, in seguito acquistati in un batter d'occhio dal Presidente Novo.
Del Suo grande Papà, Ernest Egri Erbstein, resta tra le altre una bella foto, tra i suoi giocatori alla Lucchese, in una pausa durante l'allenamento. Il grande portiere Aldo Olivieri, "Gatto Magico", è seduto in primo piano gambe incrociate con una bimba in braccio. Nella bellissima Lucca, città toscana cinta di mura lungo le quali Ernest portava i ragazzi ad allenarsi con vista sui giardini di Palazzo Pfanner, Erbstein si affermò definitivamente come allenatore di chiara fama.
Lei ne ha sottolineato spesso la profonda cultura. Uscito dalla scuola danubiana del Magyar Testgyakorlok Kore (MTK) di Budapest, Ernö era multidisciplinare: per esempio conservava tra le cose più preziose l' "Homo ludens" di Johan Huizinga. Era convinto che il gusto del bel gioco in un'équipe vincente non potesse essere disgiunto da una preparazione fisica accurata di prim'ordine, naturalmente differenziata per tipologia di atleta e per ruolo. Allenare allo stesso modo, senza differenziare, Castigliano e Gabetto sarebbe stato un errore palese.
Olivieri portiere era stato sollecitato ad imparare passi di danza per renderne più elastica ed armoniosa la gestualità, la postura, la prontezza negli interventi sulla linea di porta.
In maniera semplice ed affascinante al contempo, Lei continua a raccontare di Papà come del primo architetto del Grande Torino. Del direttore tecnico che ne ispirò il modo di stare in campo. Erano diversi perché eravate diversi. Volevate essere qualcosa in più, e non solo ci siete riusciti, siete andati oltre.
Ernö fu il direttore tecnico capace di gestire al meglio il talento e l'impeto di Valentino Mazzola, il più grande giocatore totale di tutti i tempi insieme ad Alfredo Di Stéfano, a Bobby Charlton e a Johan Crujiff.
Se i tifosi brasiliani chiamarono anni dopo José Altafini "Mazzola", se Ferenc Puskas disse a Sandrino "ho giocato contro tuo padre, sei degno di lui", se 10 giocatori su 11 della Nazionale erano Quelli Là, un motivo ci sarà. Una presenza in campo ed un prestigio universale, il copyright di Ferruccio Novo e di Ernest Egri Erbstein.
Qualcuno dice che viviamo di nostalgia, ma noi granata viviamo anche di quelle cose lì. Le nostre radici sono lì.
Grazie, Signora Susanna, per ricordarlo ad ogni occasione. Lo stile e l'eleganza non si comprano, sono innati e casomai si coltivano.
Lei non è un pezzo del Torino, Lei è nel Grande Torino, come Carla Maroso e Mirella Loik.
Noi non riusciamo nemmeno ad immaginarla giovane sul treno a Porta Nuova, in partenza per Parigi, nel pomeriggio del 4 maggio 1949.
Ma l'abbiamo sentita spesso raccontare delle bambole che Papà le portava di ritorno dalle trasferte, e di quella di Lisbona, intatta, che Lei ha portato in valigia in tutte le sue tournée.
La sua carriera, contraddistinta dalla ricerca del bello e dell'armonia, ci piace pensarla come un prolungamento ideale del senso estetico ereditato e condiviso con Ernö.
Certo, i filmati d'epoca sono rarissimi. Ma i resoconti giornalistici tramandati, i racconti di chi vide giocare quella squadra ("quel pomeriggio non giocarono una partita, suonarono una sinfonia" a Firenze, secondo il professor Piero Barucci, tifoso viola), le sue stesse parole testimoniano di una passione per il gesto compiutamente realizzato, nello sport e nella danza, su un campo di calcio o sul palcoscenico, che Lei ha continuato a portare avanti. Un'alta espressione di se stessi per il coinvolgimento totale dello spettatore.
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Ora che finalmente Ernö Egri Erbstein è ufficialmente inserito nella Hall of Fame del Museo del Calcio della Federcalcio a Coverciano, cerimonia cui Lei, Signora, ha avuto l'onore di presenziare, un grande cerchio di prestigio e di gratitudine da parte del calcio italiano si chiude.
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