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La lettera di un tifoso: “Sanabria e la nostra paura di gioire”
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Stavolta a scriverci è Stefano Milano - titolare della Libreria UBIK Savona -, nostro lettore che spiega che cosa significa essere tifosi del Torino.
No, così francamente è troppo. Mi hanno abituato a credere a poche leggi universali che governano il creato, del tipo: - due rette parallele non si incontrano mai; - un corpo cade e perde punti con una accelerazione di gravità direttamente proporzionale alle plusvalenze architettate; - Sanabria fa giocare bene la squadra ma non segna. Ora, veder crollare quest'ultima a forza di gol mi disorienta, quasi mi destabilizza. Non vorrei abituarmi troppo bene. Come tutti i tifosi granata, soffro di una sindrome che mi induce a moderare il mio entusiasmo al fine di limitare la mia futura sofferenza. Essere tifosi del Toro in fondo è questo: speranza e disillusione, incanto e disincanto, una irrazionalità a volte isterica a volte romantica, che contrasta e confuta almeno alcune teorie junghiane e diversi principi di termodinamica. Bisogna esserci portati, e non sono ammessi cardiopatici. Gioie e dolori.
Questa è una squadra che - come dice Vagnati - può prenderle da tutte, ma quando è in forma non risparmia colpi a nessuno, specialmente nei posteggi degli hotel. Siamo una squadra che impartisce lezioni di calcio nel primo tempo, e che le subisce nel secondo. Siamo la squadra con ben 6 terzini di fascia (mi risulta che ne vadano solo due in campo), ma con un solo centravanti. Siamo la formazione lodata per avere tanti ventenni di proprietà di belle speranze, ma anche quella criticata per avere tra le mezzali solo giocatori in prestito.
Già prima del campionato, siamo quelli che 'comprano male' (Verdi, Zaza...) ma anche quelli che 'comprano bene' (Ricci, Schuurs...). D’altronde siamo quelli che 'vendono male' (Belotti) e che al contempo 'vendono bene' (Bremer, Maksimovic, Darmian, Zappacosta...). Siamo i tifosi che si innamorano dei giocatori bandiera - quelli che leggono i nomi degli invincibili il 4 maggio - e poi li vediamo andare via. Da lì il solito percorso di sofferenza e disamore, per poi concederci anima e corpo a un nuovo Capitano. Abbiamo perso in pochi mesi Bremer, Belotti, Pobega, Brekalo, Lyanco, Lukic, colpi quasi mortali in una corrida. Ma il Toro si è rialzato lo stesso, più forte di prima.
Siamo la squadra nella quale, per soffermarci agli ultimi turni di campionato in cui dopo il derby eravamo in difficoltà e in emergenza, curiosamente i giocatori migliori che ci hanno fatto rialzare la testa sono risultati quelli che per intenderci hanno dovuto sostituire il leader del futuro (Ricci), il leader del passato (Bremer) e il leader del presente (Vlasic), ovvero Linetty, Schuurs e Karamoh, per di più quest’ultimo a sua volta sontuosamente sostituito ieri dal tanto bistrattato Radonjic. Su queste due ultime giovani scommesse viene anche da ricordare: quanti improperi erano volati per lo slavo in queste settimane, e quanti per l'ivoriano quando è stato acquistato nelle ultime ore di mercato?
A proposito di ingiurie: siamo anche la società in cui curiosamente gli insulti social contro il Presidente (accusato di tutto, eccetto forse di aver collaborato nella creazione in laboratorio del virus pandemico) hanno raggiunto i livelli più aspri e feroci proprio nella stagione in cui stiamo raggiungendo il massimo punteggio in classifica da tanti anni a questa parte. D’altronde siamo la squadra in cui il nostro bravo allenatore croato è pagato 2 milioni di euro all’anno dal suo Presidente per svolgere anche il disagevole compito di denigrarlo quasi quotidianamente. Ma si sa, certi lavori ormai li lasciamo soltanto agli stranieri. Certo, restano più i dolori delle gioie. Siamo l'unica squadra che perde sistematicamente tutti i derby, con la recente ciliegina amara di gol con esultanza di uno dei due giocatori simbolo degli ultimi anni.
Siamo anche la squadra che non si accontenta di perdere 1 a 0 all'ultimo minuto. Troppo banale, roba dello scorso anno. Il destino per questa stagione ha preteso per le nostre coronarie una prova più ardua: gioire infinitamente nel recupero della gara con la Roma nel veder sbattere sul palo il rigore calciato dal tuo ex capitano, salvo poi collassare nel veder prendere gol un minuto dopo. Tutto questo si riassume in una parola: Toro.
Ora siamo ottavi, ma dietro a squadre più forti e attrezzate di noi. Da lì la frustrazione tra gli sfibrati cuori granata, che nasce da una ragione precisa. Oltre quella posizione è quasi impossibile andare: troppi potenti sono i gruppi finanziari anche stranieri dietro quelle squadre, troppi gli interessi, troppi gli introiti (presenza media spettatori negli stadi, marketing e diritti di immagine, sponsor, diritti tv). Il muro pressoché invalicabile che ci separa dalle sette sorelle crea rabbia e insoddisfazione tra i tifosi. Ma è necessario non avvilirsi, rimanere compatti, non lasciarsi sopraffare da altalenanti giudizi o umori, e credere che anche quel muro - come tutti i muri - prima o poi cadrà.
Stefano Milano
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