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columnist
Siamo un disco rotto, una macchina che procede in folle. Siamo sempre fermi, non cambiamo mai, non miglioriamo mai, da anni lo stesso film.
Ho ancora in mente un’orribile serata autunnale di tre anni fa, 3 ottobre 2015. Fiorentina e Inter comandano la classifica con 15 punti, noi siamo a quota 13, ma giochiamo in anticipo il sabato sera e abbiamo la meravigliosa occasione di essere felici per una notte. Dopo 38 anni (l’ultima volta fu nel 1977) possiamo godere, andare in testa al campionato di Serie A e guardare tutti dall’alto in basso. E’ un’occasione irripetibile, andiamo a far visita al derelitto Carpi. Ricordate tutti come andò a finire: sconfitta ignominiosa e immediato ritorno nel sottosuolo.
Non è cambiato nulla. Continua a non cambiare nulla, il film ha sempre la stessa identica trama: inizio di campionato altalenante; una vittoria che illude; fallimento della prova di maturità; lenta e inesorabile discesa nella melma di centro-classifica; assestamento al nono-decimo posto; eliminazione dalla Coppa Italia; campionato finito a gennaio. Ci auguriamo con tutto il cuore che quest’anno le cose vadano diversamente, ma per ora siamo di nuovo daccapo; il noiosissimo film granata è giunta alla scena in cui, dopo una grande vittoria, scendiamo in campo per fare il salto di qualità e invece sfoderiamo una prestazione penosa venendo presi a pallonate dalla matricola di turno.
Siamo insostenibilmente leggeri, siamo mosci. Chiediamoci tutti insieme cosa fare per tornare a essere il Toro vincente o almeno sbuffante che per decenni è stato simbolo di orgoglio e senso di appartenenza.
Tutti responsabili per quanto successo sabato contro il Parma.
Responsabile la società. Se una società non ha la mentalità vincente, i risultati non possono che riverberarsi sul campo. Manca un progetto d’amore, manca granatismo. Il ritornello del profilo basso ha stancato; con buona pace di Ventura, è vero che dobbiamo ricordarci di essere stati a Cittadella, ma siamo il Toro e gli obiettivi vanno dichiarati perché, come diceva Seneca, non esiste buon vento per il marinaio che non sa dove andare.
Responsabile la società perché il Filadelfia sempre chiuso si sta trasformando in una cattedrale nel deserto: sta alla società trovare il modo di aprirlo il più possibile al pubblico, sta alla società finanziare un museo della storia granata che diventi collettore e motore del ricompattamento del popolo granata. Si diceva che il Filadelfia portasse in dote dieci punti in più a campionato; non questo Filadelfia, questo Filadelfia porta solo tristezza. Oltra a un tempio vivo e pulsante, per alimentare motivazione e mentalità vincente è fondamentale avere uno stadio di proprietà. Vogliamo iniziare a pensarlo? La faccenda che lo Stadio Grande Torino sia inadatto al calcio e al business è diventato un alibi per rimanere inchiodati al palo: sediamoci al tavolo con l’amministrazione comunale e vediamo cosa fare, pensiamo a un’ area diversa, facciamo qualcosa; la rinascita del vero Toro passa attraverso la creazione di un catino infernale con trentamila cuori granata a picco sul campo (lo so, ora fatichiamo a essere in ventimila, ma le cose cambierebbero con uno stadio come si deve e una squadra finalmente ambiziosa).
Responsabile il mister. Mazzarri dice che per maturare bisogna instillare nei giocatori il terrore di perdere. Questa sua dichiarazione si scontra contro un secolo di studi di psicologia e di comunicazione. No, non è questione di instillare il terrore di perdere; è questione di instillare una voglia feroce di vincere. La nostra mente procede per immagini e non riconosce la negazione. Alcuni esempi: se diciamo a qualcuno di non pensare al castello rosso, qual è la prima cosa che fa? Pensa al castello rosso. Se invitiamo un portiere a non prendere gol, cosa succede nella sua mente? Immagina automaticamente la palla che supera la linea di porta. Cosa succede se invece lo incitiamo a parare tutto? Si immaginerà di volare da un palo all’altro respingendo anche le mosche. Perdonate la banalità dei miei esempi; li utilizzo soltanto per dimostrare come la comunicazione vada utilizzata in positivo e per orientare all’azione “utile”. La comunicazione efficace non è quella che invita ad “andare via da”, a “evitare” (la sconfitta), ma quella che motiva ad “andare verso” (la vittoria). Lo stimolo, cioè, dev’essere positivo e capace di attivare immagini vincenti.
Ancora un’osservazione: dal punto di vista emozionale, il messaggio trasmesso alla squadra con l’inversione di ruolo tra Izzo e Djidji è stato negativo perché ha “ufficializzato” la paura di Gervinho. Come fare a bloccare Gervinho? Mazzarri non ha certo bisogno dei nostri consigli, ma forse bastava che alla sua prima scorribanda qualche mastino granata (un Bruno o un Policano tanto per non fare nomi…) gli facesse capire che aria tira a casa nostra.
Responsabili i giocatori. Come si fa a scendere in campo con quella mollezza? A parte Sirigu, è tutta gente che non ha vinto nulla e deve dimostrare tutto. Come si fa ad avere la pancia piena dopo una vittoria a Marassi? Come si fa a non avere voglia di scendere in campo, sbranare gli avversari e lanciarsi definitivamente alla conquista dell’Europa? Zaza e Soriano i due casi più eclatanti: come è possibile giocarsi in modo così imbelle la possibilità di conquistarsi la scena dopo mesi di panchina?
Responsabili, infine, i tifosi granata che nei giorni scorsi hanno invitato Andrea Agnelli a visitare Superga. Stiamo scherzando? Ma che messaggio diamo? Cosa siamo diventati? Una colonia di boy scout? Una manica di babbioni che porge l’altra guancia e gode a essere insultata? Agnelli deve rimanere a Venaria, chiedere scusa al popolo granata per il vergognoso episodio degli striscioni e il prossimo 15 dicembre avere il buon gusto di rimanere a casa sua.
Marco Cassardo, esperto in psicologia dello sport e mental coach professionista. E’ l’autore di “Belli e dannati”, best seller della letteratura granata.
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