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columnist
“Nessun uomo è nato
per essere immortale”.
Platone
“Memento mori, memento te hominem esse, respice post et, hominem te esse memento” (Ricordati che devi morire, ricordati che sei un uomo, guardati attorno, ricordati che sei un uomo), questo, nell’antica Roma, uno schiavo sussurrava all’orecchio del console mentre celebrava, al ritorno da una guerra vittoriosa, il suo trionfo attraversando Roma accomodato in piedi sul suo “currus triumphalis” (carro trionfale). Era un invito, questo, rivolto ad un uomo, il console vittorioso, scorto in uno dei momenti più fulgidi della sua esistenza, osannato da una folla plaudente in delirio che gli lanciava fiori e lo paragonava a Giove. C’è da perdere il senno, da dimenticarsi il vecchio adagio biblico “quia pulvis es et in pulverim reverteris(polvere tu sei e in polvere tornerai). Non deve aver certo pensato a tutto questo Lord Sebastian Newbold Coe, quando ha avvallato nel 2014, da vicepresidente della Iaaf e autorevole membro della commissione candidature della Iaaf stessa, la folle assegnazione al Qatar degli ultimi mondiali di atletica. L’attuale presidente della Iaaf (evidentemente appoggiare gli aumenti di fatturato sconsiderati favorisce la carriera) non ha ritenuto la situazione climatica qatarina, a dir poco sfavorevole per una normale attività fisica, un impedimento per l’attività agonistica. “Così ammazzano la gente”, ha sentenziato in modo brutale e lapidario il grande ex fondista Haile Gebrselassie, che in quanto profondo conoscitore della fatica fisica di una gara come la maratona ha ritenuto inumano far gareggiare degli individui con temperature oscillanti intorno ai 40 gradi e con tasso di umidità superiori al 50%. “Sì, ma la nostra equipe medica era pronta – è stata la precisazione imbarazzante di Sebastian Coe -. Gli allenatori mi hanno detto di non aver mai preso parte a una competizione nella quale era stato fatto così tanto lavoro per far fronte ad un clima difficile”, basterebbe questa dichiarazione, dal sapore da provocazione involontaria(ma ormai i potenti sempre più spesso non si rendono conto della reale portata delle parole dette. Tanto siamo in clima da impunità), per dire a colui reso pari d’Inghilterra nel 2000, che forse sarebbe meglio ritirarsi a vita privata a riflettere sul senso delle cose. Già, perché cosa vuoi dire ad uno, tra l’altro con un passato di atleta di grande valore(e questa è l’aggravante), che candidamente ammette di aver assegnato una competizione mondiale ad un Paese dal clima proibitivo? Forse gli si potrebbe chiedere quale ragione a favore dello sviluppo dell’atletica ha portato a ritenere il Qatar un ideale luogo per un appuntamento così importante per la regina degli sport olimpici. Un Paese, il Qatar, povero di abitanti e completamente fuori dal mondo persino nel suo stesso continente. E allora perché proprio a loro? Quale prospettiva fu vista dai lungimiranti, si fa per dire, dirigenti della Iaaf nell’assegnare a questo piccolo emirato il mondiale? Non perdiamo tempo, e quindi non tediamo troppo il cervello nella vana ricerca di un aspetto etico e di sviluppo dello sport da parte di Coe e sodali, si è trattato solo di soldi. Di molti soldi. Ancora una volta l’anomalia cresa del Qatar ha colpito, devastandolo, l’ordine naturale delle cose. Ed è solo l’anteprima di ciò che succederà ai mondiali di calcio 2022. Uno spettacolo che andrà in scena in un mondo artificiale, plastificato.
Non saranno i mondiali voluti dalla passione di un popolo, ma solo dalla noia patrizia di persone che non hanno mai tirato un calcio ad un pallone in un cortile di periferia. Perché di periferia, nel Qatar contemporaneo, hanno solo i lavoratori stranieri sottopagati e a cui hanno ritirato il passaporto. Ci penserà la strapagata televisione, nel 2022, a far esistere un mondo che non esiste. Succede così quando un’improvvisa, e soprattutto immeritata, ricchezza abnorme bussa alla porta. Si perde senso dell’orientamento e si pensa di poter far tutto, ma proprio di tutto. Tanto il nichilismo contemporaneo ha sancito da tempo, e con interventi culturali massicci e mirati, che così deve essere. Da quando negli anni 50 il Qatar ha scoperto di avere una ricchezza spropositata nel sottosuolo, un intero popolo un tempo dedito alla pastorizia e alla pesca ha deciso fosse giunto finalmente il tempo di godere. E non importa a quale prezzo. E così hanno cominciato a corrompere forse il feticcio più caro al mondo occidentale: lo sport. Il tutto con la complicità interessata(leggi ingenti profitti) della televisione, che ha ridotto e imposto in modalità onnipresente lo spettacolo sportivo al consumo tv, ponendolo alla stessa stregua di una dose massiccia di anfetamina consumata in qualche anfratto oscuro della contemporaneità. Ma, sin dai tempi di Adamo ed Eva, dove c’è un corruttore c’è anche il corrotto. Ed ecco che i dirigenti, pronti sin dai tempi di Primo Nebiolo(l’inventore dell’atletica come evento spettacolo) a farsi corrompere l’anima , letteralmente vendere a peso d’oro la loro manifestazione sportiva più importante ad un Paese che dell’atletica, e dei suoi riti, gli importa veramente poco. Ai qatarini, disertori regolari della visione live di qualsiasi evento sportivo portato nel loro territorio a suon di molti quattrini, piace solo essere la club house dello sport mondiale. In fondo i soldi in qualche modo bisogna pur spenderli, specie se c’è qualcuno pronto a soddisfare qualsiasi tua voglia o desiderio. Siamo alla riproposizione, in salsa mediorientale, delle vicende trattate nel romanzo di Tom Wolfe “Il Falò delle Vanità”, che trattava del materialismo e dell’edonismo imperante nella Wall Street degli anni ottanta. Nel racconto di Wolfe i nuovi ricchi, diventati tali grazie alle ardite speculazioni finanziarie molto di voga in quegli anni, entrano in conflitto con i cittadini comuni, che ai primi rimproverano uno stile di vita mai condiviso e moralmente approvato. E l’America di Ronald Reagan ad essere messa sul banco degli accusati, una società dove non solo la ricchezza deve essere esibita,ma dove viene elevata ad unico fine dell’esistere. Perché il vero problema che la contemporaneità si rifiuta, in modo eutanasico, di affrontare è proprio la questione dell’impiego del denaro.
https://www.toronews.net/columnist/loquor/il-valore-delle-parole/
L’anomalia qatarina, anomalia proveniente da una società rigidamente teocratica, si è insinuata nel “logos” occidentale contemporaneo definitivamente secolarizzato. Ed è questo paradosso, ad osservarlo attentamente, a colpire fortemente: una società permeata dal concetto di Dio e una società permeata dalla rimozione del concetto di Dio, si incontrano sul pianale dello sport, e ne azzerano i valori costitutivi. “Bisogna aumentare i fatturati”, questa è la parola d’ordine imperante tra tutti gli addetti ai lavori del pianeta sport. E questi fatturati bisogna aumentarli per pagare gli emolumenti, in continua lievitazione, di coloro che vivono di sport. Par di capire che per pagare l’avidità di chi, a tutti i livelli, ha reso lo sport una professione, bisogna trovare fonti di guadagno sempre più disposte a pagare il conto salato. La platea televisione provvederà a giustificare il tutto, e in parte pagherà questo continuo aumento del conto. Lo pagherà sia in termine economico, che di perdita di valore dello sport stesso. Nessuno pare accorgersi di questo fatale cambiamento, o forse nessuno gli da la necessaria importanza, perché ormai il denaro ha oscurato il concetto delle variazioni di tempo, stabilendo come unica categoria temporale il presente. Un presente ovviamente da consumare. Da dove veniamo non importa, e del futuro importa ancora meno. Si aspira solo ad essere corrotti, per vivere meglio, con più potere e agi, un presente che solo qualche forza diabolica può far aver ritenuto essere eterno. Ma chi ha i soldi, chi gestisce potere, cosa lascerà ai posteri come ricordo di quest’era? Una volta chi aveva i soldi tendeva a voler essere ricordato, appunto perché era perfettamente consapevole come il suo presente non sarebbe stato eterno. E allora si adoperava, con il suo potere e il suo denaro, a lasciare qualcosa di costruttivo per i posteri. Oggi, in un occidente dove sempre di più i suoi valori costitutivi vengono destrutturati, pare difficile individuare un lascito per il futuro. Rimane solo spazio per piccole lotte di resistenza, nella speranza che il denaro esca dal presente, per tornare a costruire futuro. La canadese Lyndsay Tessier, a poche ore dalla conclusione della sua maratona mondiale da incubo, così ha descritto lo scenario della gara: “vedi qualcuno a terra lungo il percorso, ed è spaventoso, pensi che potresti essere tu nei successivi 500 metri”. I personaggi alla Sebastian Coe hanno ridotto lo sport ad un terribile scenario da mondo distopico. Gli atleti che corrono con la paura di svenire per il caldo e l’umidità, questo è il ricordo a futura memoria dei mondiali di atletica 2019. Lo stadio di Doha desolatamente vuoto nel corso delle gare è ciò che forse meritiamo. E’ stata la rappresentazione plastica dove una classe dirigente corrotta abbia condotto la civiltà contemporanea: nel vuoto. Vergogna, e che i posteri possano avere pietà di noi.
Di Anthony Weatherill
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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