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columnist
In questi ultimi due giorni è venuta alla ribalta una notizia che è a dir poco sconcertante e dirompente: un funzionario della FIGC (alcune notizie stampa avevano fatto circolare il nome, poi smentito, di Carlo Tavecchio) potrebbe essere il nuovo presidente della lega calcio di Serie A. Questa ipotesi di nomina, che porrebbe fine al lungo vuoto di potere creatosi dopo le dimissioni di Maurizio Beretta, è tenacemente portata avanti da Urbano Cairo e Claudio Lotito.
A una prima valutazione fatta in modo superficiale, parrebbe uno tra i più classici “uscito dalla porta (della FIGC) e rientrato dalla finestra (lega Calcio Serie A)”. Ma le cose stanno veramente così? Cerchiamo di analizzare per un attimo, attraverso qualche elemento, ciò che ha portato una vecchia volpe come Urbano Cairo ad esporsi così palesemente verso una soluzione che non sarebbe molto gradita dal mondo del calcio(le polemiche sul pessimo operato dei funzionari FIGC ed ex FIGC vanno avanti da anni, e l’eliminazione dell’Italia dai prossimi mondiali non ha certo migliorato il clima).
Secondo una ricerca condotta qualche tempo fa da Stage Up (una società di servizi per lo sport) e Ipsos (uno dei più noti istituti di rilevazione statistica) il mercato dei potenziali tifosi delle squadre del nostro massimo campionato, vede con grande simpatia un club medio e ambizioso (e ben gestito) come il Torino. Dentro questa ricerca ci sono molti dati interessanti (come l’incremento dei tifosi del Napoli di Sarri collocabile intorno al 61%, o come quello che solo il 17% degli 8.316.000 tifosi della Juventus risiedono in Piemonte), ma la cosa che più risalta agli occhi, a chi sa leggere i numeri e le tendenze, sono le grandi possibilità di crescita che hanno club come Torino e Bologna.
Questo tipo di ricerche, di cui un esperto di marketing pubblicitario come Cairo sicuramente è a conoscenza, devono avergli posto improvvisamente una conseguente riflessione: come si può far crescere il fatturato del Torino in una logica di non-mercato in cui langue la Serie A? La domanda non è banale, anche perché i costi di gestione di una squadra di calcio, se ci si pone come obiettivo quello di provare a farle vincere qualcosa, stanno lievitando ogni anno che passa.
Lasciando perdere gli evidenti casi di doping finanziario(come quelli di Paris Saint Germain e Manchester City), una società come il Torino si trova a convivere nella stessa città con un club che ha i seguenti numeri: parco giocatori stimato intorno ai 470 milioni di euro, 161 milioni di euro in beni immobili, 33 milioni di euro cash depositati in banca, un potenziale d’investimento della famiglia Agnelli di 403 milioni di euro. Sono numeri che danno l’idea dell'inarrivabilità della vetta juventina, e non solo per il Torino Calcio. Urbano Cairo, a cui nemmeno il più feroce dei detrattori può negargli una certa abilità imprenditoriale(non si portano in utile Corriere della Sera e La7, due aziende che da decenni versavano in cronici bilanci in rosso, se non si è capaci di vedere in modo chiaro ricavi, utili e debiti), non può andare contro il suo dna di imprenditore di successo, tra l’altro in un settore delicato come la comunicazione e l’editoria, settori che conferiscono prestigio e potere.
Ecco, allora, come debba essersi posto il problema non tanto di raggiungere la vetta finanziaria bianconera, ma piuttosto di incrementare il fatturato del Torino Calcio, unico modo per cominciare ad ipotizzare di allestire, prima o poi, una squadra in grado di competere per qualche vittoria di prestigio. Da qui la nascita dell’alleanza con Claudio Lotito, che ha le stesse esigenze dell’imprenditore alessandrino, per cercare di portare in Lega A un progetto strategico che possa favorire anche i club di medio livello. Infatti insieme ad una persona del pianeta FIGC presidente potrebbe giungere in Lega A, in qualità di amministratore delegato, il costaricano Javier Tebas, specializzato nel rilancio di campionati di calcio sotto il profilo economico. Tebas verrebbe dalla Liga spagnola, dove è riuscito a incrementare del 30% vendendo collettivamente i diritti tv, cosa che aveva già fatto con successo nella Superliga argentina. Giunto che la Liga prendeva 800 milioni di diritti televisivi, pare che ora Tebas stia discutendo un prossimo accordo sulla base di 2,3 miliardi di euro, che favorirebbe soprattutto le squadre medio piccole.
Questi numeri non sono sfuggiti ad Urbano Cairo (con interessi imprenditoriali ed editoriali anche in Spagna), che ha convinto Lotito a puntare decisamente sul manager costaricano per rilanciare un campionato di Serie A sempre più in crisi a livello finanziario, mettendogli accanto una figura, quella dell’uomo FIGC, astuto conoscitore dei meandri istituzionali che gestiscono le vicende dello sport più amato d’Italia, in modo da tranquillizzare tutte le componenti del calcio italiano(ma sia chiaro che a comandare sarebbe Tebas, non l’uomo FIGC).
Fino a qui lo scenario su come si pensa, da parte di alcuni, di far crescere i fatturati dei club italiani. Ma l’azione di Urbano Cairo, scherzosamente e ferocemente soprannominato “Braccino” da alcuni tifosi granata(per la sua innata ritrosia a voler spendere ingenti somme sul mercato calciatori), rischia di ricalcare il solito e atavico errore commesso da molti proprietari di società di calcio: legare in modo pericolosamente esclusivo ai diritti televisivi l’incremento dei fatturati dei club calcistici italiani. Perché il presidente del Torino, che secondo molti opinionisti e voci di corridoio starebbe apprestandosi a diventare il nuovo uomo forte del calcio italiano, continuerebbe nell’insana politica di delegare alla televisione l’unica speranza di crescita del suo fatturato calcistico?
Le ipotesi che si potrebbero fare sono tante, ma io credo in quella di un Urbano Cairo che non ritiene il calcio un mercato vero, un mercato che potrebbe consentire una società come il Torino di essere gestita come una vera e propria azienda. E’ strano come imprenditori di successo come i fratelli Della Valle (possessori tra i più ingenti patrimoni d’Italia), stiano tenendo la Fiorentina in condizione di modeste ambizioni sportive. I Della Valle e Cairo (che si sono scontrati per la proprietà del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera. Proprietà ritenuta da sempre strategica nella mappa del potere italico) non sono imprenditori di secondo piano(a voler essere franchi, uno come Aurelio De Laurentiis è un nano imprenditoriale rispetto a questi), quindi chiedersi il perché di una conduzione a basso profilo di Fiorentina e Torino porta, a mio modesto parere, ad una sola risposta: secondo le proprietà di questi due club il calcio italiano non porta sufficienti utili che giustifichino investimenti importanti.
Se questa valutazione risponde al vero (e sotto certi aspetti lo è), allora mi sento di affermare con certezza che non è la strada della vendita dei diritti televisivi quella maestra. Il caso Liga, tra i tanti che potrei citare, è proprio quello che dimostra la mia tesi. Se si guarda ai movimenti di mercato di Siviglia e Valencia, i club più prestigiosi al di fuori dell’asse Barcellona/Madrid, ci si accorge come questi, aldilà dell’incremento della valutazione dei diritti televisivi, continuino a rimanere relativamente modesti. Il dato più evidente che l’ultimo campionato vinto fuori dall’asse Barcellona/Madrid è stato quello del Valencia nel 2003/2004.
Per il resto è stato un monologo Barcellona/Real Madrid, con l’unico acuto dell’Atletico Madrid nel campionato 2013/2014. A conti fatti il metodo Javier Tebas non sembra aver portato significativi cambiamenti nell’unica cosa che nel calcio dovrebbe contare: la possibilità di sognare che il più debole possa realmente avere la meglio sul più forte. E’ da sempre nel dna dei tifosi di calcio questo sogno, ed è proprio questo sogno che gli attuali padroni del calcio stanno tentando di distruggere.
La soluzione Tebas/Uomo FIGC potrebbe essere dannosa perché ancora una volta si dimentica che un mercato, perché diventi un mercato sano e redditizio, deve tenere conto dei veri bisogni dei suoi clienti, che in questo caso sono i tifosi. I tifosi non hanno bisogno solo della televisione, ma anche di stadi nuovi e vivibili, di un merchandising più accattivante e vario, e di altre cose che li renderebbe membri veramente attivi delle fortune economiche delle società per cui tengono.
Sofocle ha detto che “non si può conoscere veramente la natura e il carattere di un uomo fino a che non lo si vede gestire il potere”. Sembra che Urbano Cairo, nella sua parabola umana, sia in questo momento l’uomo chiamato a gestire del potere. Spero che non lo gestisca come i vertici della Qatar Investments nel Paris Saint Germain. Spero non lo gestisca come Florentino Peres nel Real Madrid. Spero non lo gestisca come Roman Abramovich nel Chelsea.
Spero non lo gestisca come lo sceicco Mansour nel Manchester City(società che nelle due ultime sessioni di mercato è arrivato a spendere un miliardo di euro). Spero, per il bene del Torino e del calcio italiano, che in Urbano Cairo si scopra un uomo diverso da chi lo ha preceduto.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherill, originario di Manchester e figlioccio dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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