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Longo, l’allenatore giusto per il Toro. Fra qualche anno (forse)

Longo
Il Granata della Porta Accanto/ Giusta la scelta Mihajlovic, resta il rammarico di perdere un “talento” della panchina su cui non si è ritenuto di puntare. Sarà un arrivederci?
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

Non finirò mai di stupirmi di quante storie incredibili riesca a partorire il mondo del calcio: pensate a De Rossi, campione romano e romanista, una vita nella Roma, da sempre "oscurato" da Totti di cui dovrebbe esserne l'erede (e infatti era ed è soprannominato Capitan Futuro dai tifosi giallorossi), ma che per la longevità del capitano rischia di finire la carriera col rimpianto di non esserlo mai stato. Anche in casa nostra, fatte le dovute proporzioni, c’è un caso che sa di paradosso e riguarda non un calciatore, ma bensì un allenatore: Moreno Longo. Alla guida della Primavera con la quale ha ottenuto risultati  che non si vedevano dai tempi di Vatta, Moreno è oggi il personaggio del Torino FC più amato dai tifosi. Vero cuore Toro, un passato da discreto calciatore nel quale ha potuto anche coronare il sogno di giocare in prima squadra sebbene in anni bui, Longo ha dimostrato di aver forse più talento da allenatore che da giocatore e il suo percorso nel settore giovanile finora lo dimostra. Sentirlo parlare in conferenza stampa, pre o post gara, è da sempre un dolce trastullo per le orecchie dei tifosi, giacché il mister della Primavera non manca mai di rimarcare continuamente tutti i valori del tremendismo granata classico ai quali si ispira e sui quali basa il credo del calcio che insegna e propone ai suoi ragazzi.

Una filosofia ed un atteggiamento che, soprattutto nell'ultimo anno, sono stati spesso contrapposti, nel dibattito tra tifosi, a quelli di Ventura. Ed è qui che nasce il paradosso che, solo l’arrivo di una figura autorevole e simile per impostazione come quella di Mihajlovic, ha impedito che diventasse una vera e propria frattura: finito il ciclo di Ventura e sull'onda della voglia di un ritorno ad un calcio più consono ai valori della tradizione granata, agli occhi di gran parte della tifoseria Longo sarebbe potuto essere la scelta più logica ed apprezzata. Scelta che non si è fatta perché, con altrettante valide ragioni, si è deciso di puntare su di un profilo decisamente di alto livello qual è quello dell’allenatore serbo ex Sampdoria e Milan.

Resta a mio avviso il rammarico di perdere (perché con ogni probabilità Longo andrà via per cimentarsi con la guida di una prima squadra) un elemento che ha le classiche stimmate del predestinato. E consola solo fino ad un certo punto il pensiero e la speranza che un giorno Moreno possa tornare, più esperto e navigato, “a casa” : nemo propheta in patria dicevano i latini e i casi di Claudio Sala, Rampanti, Ezio Rossi o Lerda sembrano confermare come la panchina del Toro non porti bene a chi il Toro ce l’ha nel sangue. Anche Antonino Asta, che come Longo aveva fatto eccellenti cose con le squadre giovanili granata, una volta lasciato il “nido” è partito benissimo con Monza e Bassano, ma si è incagliato sul Lecce, tappa che per ora ne ha arrestato la carriera.

Ovviamente auguriamo a Longo miglior sorte, ma facciamo un passo indietro e poniamoci un paio di domande: lanciare Longo al posto di Ventura sarebbe stato davvero un rischio troppo alto? E la scelta di Mihajlovic sottintende davvero il desiderio della società di fare un salto in alto a livello di ambizioni ed obbiettivi?

A mio parere le due domande sono legate e mi spiego. I recenti casi di allenatori che hanno fatto il salto dalla Primavera alla Prima Squadra (e penso a Stramaccioni, i due fratelli Inzaghi o Brocchi) sono stati caratterizzati da più ombre che luci. La mancanza di esperienza, della famosa “gavetta”, di sicuro è un handicap per questi giovani allenatori, ma determinante a mio avviso è anche il contesto societario in cui operano: nel Milan degli ultimi anni fallirebbe anche Mourinho perché la dirigenza è in stato confusionale e probabilmente non riesce a “proteggere” adeguatamente il proprio allenatore, chiunque esso sia. Chiaro che uno giovane ed inesperto possa patire maggiormente questo clima. Analogamente si può traslare la questione sul Torino. Uno dei meriti innegabili di Ventura è stato quello di far crescere la società, stabilizzando maggiormente i processi decisionali che partivano dal presidente. Se Cairo è davvero cambiato come sembra, scegliere Longo come successore di Ventura avrebbe potuto avere un senso visto anche l’enorme credito che il giovane mister godeva (e gode) coi tifosi.

Ma la stessa cosa vale anche per Mihajlovic: il suo arrivo prelude un certo tipo di campionato che andrà supportato con un certo tipo di atteggiamento societario sul mercato, ma non solo. Ecco quindi che i due quesiti in realtà si fondono in un unica grande domanda: saprà Cairo dimostrare solidità ora che non c’è più Ventura e farsi carico delle difficoltà che il suo allenatore incontrerà nell'arco della stagione? Sarà un Cairo 2.0 oppure rivedremo la vecchia versione del presidente pronto a seguire la banderuola ogni volta che cambia il vento? Ovviamente ci auguriamo che il mantra venturiano della crescita abbia contagiato anche l’editore alessandrino: la chiave di tutto resta lui. Scegliere Mihajlovic implica anche la volontà di “alzare l’asticella”: ma questa è tutta un’altra storia…

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