“le cose peggiori incontrano
columnist
Le rovine lasciate dagli Agnelli
sempre il massimo successo”
Erasmo da Rotterdam
C’è qualcosa di intrinsecamente malvagio per qualsiasi tipo di aggregazione sociale, e lo scrivo con tutta la cautela possibile, in alcuni fatti a cui abbiamo potuto assistere in alcune recenti partite del calcio della Serie A. Laddove la malvagità si è manifestata, più volte, come rappresentazione soverchiante manifesta di un potere, che fa dei propri interessi l’unico comune denominatore. A guardarsi attorno, e non solo nel calcio, il sentimento più diffuso sembra essere la rassegnazione, che fatalmente porta a guardare, tutti, al noto atteggiamento del tirare a campare. Siamo, dispiace dirlo, sulla soglia di un clima da gravità irreversibile di cui la pubblica opinione pare non avere contezza. Questo perché le regole, sempre di più, sono diventate meccanismi formali di giudizio soggettivo, utili paraventi per nascondere l’evidente nudità del re, sempre più assurto al rango di imperatore. Un arbitro che decide di sorvolare su un evidente fallo di mano, addetti al VAR che non gli impongono di consultare le immagini dell’azione del presunto fallo, il giocatore reo del fallo che in diretta televisiva ammette il tocco di una mano che, a suo dire (e con manifesta slealtà sportiva), non poteva tagliarsi; tutte queste cose sarebbero ben poca cosa di fronte allo scempio andato in onda su Dazn nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo dell’ultimo “Derby della Mole”.
Nella postazione della piattaforma digitale a pagamento di video streaming on demand, una giovane giornalista era accompagnata, nel commentare il resume delle immagini del primo tempo del derby, da due opinionisti, elevati a tale mansione per il loro passato da ex calciatori (uno addirittura un ex campione del mondo). Quello era il momento in cui i tifosi della squadra penalizzata dalla mancata concessione del rigore, aspettavano almeno il ristoro di un commento che avrebbe dato loro almeno una parziale parvenza di giustizia. Ma i due ex giocatori (sulla giovane giornalista meglio tacere), con l’aria più candida e sbrigativa del mondo, si sono accodati al pensiero dell’autore del fallo di mano: il tocco di mano incontestabilmente c’è stato, ma il giocatore non poteva certo tagliarsi il braccio. Eh no, miei egregi opinionisti (avrete notato come non stia chiamando nessuno per nome. Non lo meritano), secondo l’attuale regolamento sul fallo di mano in aerea di rigore, quel braccio il giocatore bianconero avrebbe dovuto proprio tagliarlo, ovvero tenerlo dietro la schiena. C’è da chiedersi perché quei due opinionisti/ex calciatori hanno palesemente mentito, ben sapendo di mentire. Come è possibile che un “potere terzo”, categoria al quale il giornalismo appartiene di diritto, non senta il bisogno di operare un tentativo di verità?
“Quando, dunque, io vedo accordare il diritto o la facoltà di fare tutto a una qualsiasi potenza, si chiami essa popolo o re, democrazia o aristocrazia, si eserciti essa in una monarchia o in una repubblica, io dico: qui c’è il germe della tirannide; e cerco di andare a vivere sotto altre leggi”. Così scriveva Alexis de Toqueville in pieno ottocento, in cui il problema della soddisfazione dei diritti individuali, all’interno di società auspicate finalmente democratiche, si cominciava ad avvertirlo come un pericolo all’aspirazione della vita democratica stessa. Quando si parla di diritti individuali, si parla di possibili estensioni di poteri difficilmente quantificabili, se non si erge un potere super partes con chiare funzioni di controllo, a stabilirne dei limiti oltre il quale un diritto dei pochi facilmente potrebbe prevaricare le speranze dei molti. Se così non fosse saremmo in balia del mero arbitrio. Questo potere super partes dovrebbe essere sempre pronto a ricordare come esista, immutabile in ogni tempo, una legge naturale e universale, riferimento principe che, usando le parole di Aristotele, “con i suoi divieti distoglie dal male”. Insomma il più bravo, anche se è il più bravo e ne si ammiri il talento, non può prendersi tutto. E se nella corsa nel prendersi tutto, da parte del più bravo, addirittura molti corrono, senza essergli stato richiesto, a servirlo in questa rincorsa, allora la faccenda si fa veramente pericolosa. Eh sì, perché non credo che Andrea Agnelli abbia telefonato ai due opinionisti di Dazn per imporgli o prefigurargli idee corruttive, in cambio di un commento di parte sulle vicende del derby. Credo, invece, che ormai, pur di ingraziarsi l’imperatore Agnelli, vari operatori del calcio facciano a gara per compiacerlo.
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In questo modo ritengono, e probabilmente hanno ragione, di fare una carriera sempre più luminosa e redditizia nel settore in cui operano. Andrea Agnelli vede e lascia fare, perché i servi sciocchi sono sempre utili nella scalata di un potere, di un qualsiasi potere. Hanno il pregio di essere fedeli, perché il terrore di perdere quel po’ di privilegio e di denaro che una carriera all’ombra dell’imperatore assicura è un ottimo deterrente contro ogni forma di spirito critico. Siamo oltre la paura di una ritorsione punitiva e aggressiva dell’imperatore, e siamo oltre il Don Abbondio manzoniano pauroso dei “Bravi” di Don Rodrigo. Siamo all’acquiescenza consapevole del non disturbare il manovratore, nella speranza di trarne vantaggi. Praticamente, nel calcio italiano, è cessato ogni tipo di opposizione o ribellione nei confronti di una Juventus negli ultimi anni spesso aiutata dentro e fuori dal campo. Ma perché la società bianconera non teme la reputazione di “Mangiafuoco” che ormai si è fatta? Andrea Agnelli, con le sue azioni e le sue dichiarazioni, ha mostrato di avere le idee molto chiare. La sua è una mentalità neo liberista, stile “Scuola di Chicago” di Milton Friedman per intenderci.
Una mentalità che ha spinto i grandi capitalisti di questo mondo, ed Andrea Agnelli è uno di questi, ad instaurare il ciclo vitale del prendere tutto quello da poter prendere. Non importa l’etica, non importa il bene comune, non importa lo Stato, non importano le regole: conta solo il bene della tua impresa. La cosa paradossale che alla gente tutto questo è stato spacciato come il nuovo avanzante, e la gente ci ha creduto, e ci sta credendo. Lodare una società di calcio gestita come ad un’azienda, fa sentire molti tifosi di essere dei sofisticati progressisti(ah, la vanità). Forte di questa mentalità dominante, il presidente bianconero è partito alla caccia del mondo, per imporre a miliardi di potenziali consumatori il prodotto Juventus. Un prodotto declinato in merchandising, diritti tv, hotel, parchi tematici,ristoranti, e tutto ciò che la mentalità neo capitalista ha inventato, sta inventando e inventerà. Vincere la Serie A(sfruttandola come rampa di lancio) in modo continuo e smodato, è servito alla Juve per crearsi il capitale e l’immagine di super potenza calcistica legittimata a sedersi al tavolo dei club di calcio che contano a livello mondiale. In questa operazione di promozione globale, la Juventus ha avuto molti “partner”.
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Il Credito Sportivo a finanziargli l’operazione Juventus Stadium, il Comune di Torino concessore a pochi spiccioli di ampi spazi del suo territorio per le numerose operazioni commerciali e immobiliari che sono nate e stanno nascendo attorno allo Stadium, un marchio sportivo di valore mondiale che l’ha letteralmente ricoperta di soldi come sponsor tecnico, un marchio interno al Gruppo FCA che continua ciclicamente ad aumentare il compenso per il suo marchio apposto sulle maglie di Chiellini e compagni. Tutto ciò in barba a qualsiasi regolamento del FairPlay finanziario, e in barba a qualsiasi legge necessaria a regolare la libera concorrenza. Il risultato è stato la distruzione del senso della competizione del campionato di Serie A. Bisogna dirlo con forza: al Paris Saint Germain e alla Juventus è stato consentito, con la loro debordante forza economica e politica, di annullare il valore competitivo della Serie A e della Ligue 1. In questi due campionati ormai si gioca per arrivare secondi. Si è dilapidato il valore massimo del gioco del calcio, e cioè la possibilità del più debole di sperare qualcosa contro il più forte. E se non c’è competizione non c’è neanche il tifoso, mutato antropologicamente, da Agnelli, al rango di consumatore. Esattamente come il consumatore di videogiochi da lui citato e temuto. Ma una domanda sorge spontanea: quando si ribelleranno gli eterni secondi? Possibile che ad Aurelio De Laurentiis e colleghi vada bene questa situazione? A far pensare è la “cattiveria” con cui il figlio di Umberto sta procedendo, in uno spirito bulimico che non ha mai portato fortuna a chi lo ha preceduto nello stesso atteggiamento, piuttosto solo rovine.
In tale situazione ben si capisce perché i servi sciocchi proliferino: meglio accontentarsi di qualche ricco osso da sgranocchiare e mettere da parte qualche di più, che rischiare di vedere una mano che leggermente si ritrae, non riuscendoci, per non procurare un contatto da rigore con il pallone. Magari se quelli di Dazn chiederanno ad Agnelli un parere sugli intrepidi opinionisti del derby, questi non potrà che riservargli benevolenza. E si sa, all’imperatore basta un sorriso o un mugugno per determinare un destino. Le parole, in un contesto da semi dio, sono già qualcosa di troppo. Ci sarà qualcuno che proverà a riportare il semi dio nella condizione di uomo? Ci sarà un giudice a Berlino? Lo si speri anche per il bene della Juventus.
Di Anthony Weatherill
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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