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Loquor

100 giorni dalle Olimpiadi di Parigi. L’attesa azzurra

Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 
Torna l'appuntamento con 'Loquor', la rubrica di Carmelo Pennisi

“La speranza non ha quasi mai

                                                                               a che vedere con la ragione”.

Vasilij Grossman da “Vita e Destino”

 

100 giorni ci separano dalle Olimpiadi di Parigi, e saranno giorni di vigilia olimpica mai tormentati come stavolta, dove riesce davvero difficile trovare attorno a noi qualcosa che possa ricordare la pace. Ieri nell’Antica Olimpia si è svolta l’accensione della fiaccola che dovrà arrivare a Parigi per accendere il braciere ufficiale dei Giochi nel corso della cerimonia d’apertura, a segnare una patina di sacro difficile da individuare nello sport moderno, da tempo ostaggio di interessi politici ed economici di varia natura. Eppure, bando al cinismo fornito dalla realtà vera e non dai fuochi fatui dei simboli, questa estate miliardi di persone saranno davanti a schermi tv, computer di varia grandezza e smartphone a godersi delle emozioni che la competizione umana da sempre riesce a donare. Lo sport ha la capacità di portare grandezza ed eternità, forse perché il traguardo è concreto, visibile e tremendamente reale. E poi, utilizzo scellerato del doping a parte, è l’unico posto dove la sensazione di come il talento e il sacrificio per esaltarlo siano le uniche cose a contare. Non ci sono buone relazioni o surrettizi metodi di fama facile procurata a poter procurare una vittoria: c’è l’atleta e c’è il destino, e basta. Emanuel Macron dice che vuole pace, ma poi accusa la Russia di volerli in qualche modo sabotare e prepara un piano b ove mai la prevista cerimonia d’apertura sulla Senna non soddisfacesse i canoni di sicurezza richiesti e quindi si rendesse necessaria un’alternativa allo scenario del fiume più romantico del pianeta. Si cerca il sacro ma non si rispetta il sacro in nessun modo, e l’Eliseo vuole a tutti i costi una prova muscolare della Francia davanti agli occhi del mondo, un Paese che vuole stupire e vuole in ogni modo trovare un nuovo spazio geopolitico nel mondo. Sono 4,4 miliardi la cifra monstre messa a disposizione del Comitato Organizzatore, e tutto dovrebbe andare a beneficio della cartolina della Francia più che dell’Unione Europea.

Giusto così, chi scrive non si è mai illuso di stare vivendo negli Stati Uniti d’Europa. Ma questi sono altri discorsi, più seri e duraturi di una manifestazione che certo può regalarti l’eternità ma rimane fortemente connotata dall’effimero e dal transitorio. Vedremo sport e vedremo evento, e spesso sarà difficile trovare una vera separazione tra le due cose. Vedremo drammi e vedremo felicità, a ricordare ancora una volta in modo chiaro come la rosa abbia le sue spine. Vedremo racconto e vedremo meta racconto, perché c’è comunque il mistero nascosto nelle pieghe di ciò che si sta vedendo. E poi ci saranno fiumi di parole, con il rischio di andare a coprire l’unica cosa davvero a contare, ovvero ciò che vedremo con i nostri occhi. Immagini di atleti intenti a dare tutto e anche di più, perché niente regala più motivazioni di quando scendi in campo per la bandiera del tuo Paese. E’ realizzare il sogno più profondo ed ancestrale posto nel fondo dell’anima di ognuno di noi. Puoi fare tutti i discorsi politicamente corretti che vuoi sull’abbattimento delle frontiere, sulle patrie ormai concetti desueti, sul vogliamoci tutti bene appassionatamente sotto una bandiera arcobaleno, ma poi… poi c’è la terra e c’è il sangue, c’è la memoria e ci sono i simboli, e c’è tutta la tua gente ansiosa di avere un po’ di felicità e ristoro attraverso una tua impresa sportiva.

E quanto ci renderebbe felici, a noi italiani, una vittoria di Jannick Sinner nel torneo di tennis olimpico? Non abbiamo mai avuto la possibilità di aspirare ad una cosa simile, ma ora la cosa sembra essere ad un passo e abbiamo cominciato a contare i giorni da qui alla finale di uno degli sport più affascinanti e seguiti al mondo. Saremo lì tutti con Jannick sul court, perché finalmente vogliamo quel che la storia fino ad oggi ci ha negato con una pervicacia sorprendente. Se poi Sinner domenica 14 luglio mi regalerà la gioia sportiva più grande della mia vita, ovvero un italiano finalmente vittorioso nella finale del Torneo di Wimbledon sul “Centrale” più famoso ed iconico del mondo, certo lo prenderò come un buon auspicio per tutta la spedizione azzurra olimpica. Ma poi ci sono le certezze  garantite sempre dalla scherma, il confermare la felicità di essere sempre la nazione con la stoccata vincente per restare in cima al mondo. E poi c’è la pallavolo… la pallavolo… qui il destino ci deve proprio qualcosa, perché l’oro meritato Olimpia c’è l’ha sempre negato, influenzati forse da un cattivo sortilegio proveniente da chissà quale invidia oscura. Ma sono tanti i giovani e le donne in trepida attesa dell’appuntamento sublime con il tricolore, anche quelli che perderanno, soprattutto quelli che perderanno. Sono loro, con i loro sacrifici, a ricordare al nostro Paese l’orgoglio di esistere ancora: con le nostre tradizioni, i nostri vezzi, i nostri difetti, e tutta la nostra storia. Ne hanno bisogno gli attempati come me per rammentare che in fondo non hanno buttato la  vita inutilmente, ne hanno bisogno i giovani per capire e interiorizzare la necessità e il dovere di rendere onore in ogni modo possibile all’Italia. Il nostro Paese.

In quest’ultima cosa sì che c’è qualcosa di sacro e anche di inviolabile. Lo sport non consente di farci dimenticare chi siamo, nemmeno di fronte ad una montagna di soldi e di interessi. Saranno i giorni, quelli prossimi di Parigi, in cui l’Italia si vestirà idealmente d’azzurro, il colore di Casa Savoia che fu scelto dal “Casato Reale” come segno di devozione alla Madonna. Ripeto, lo sport non consentirà mai di farci dimenticare chi siamo veramente e da dove veniamo. Vorrei una estate roboante d’azzurro e mi piacerebbe, da qualche parte, che Lazzaro si ripresentasse di nuovo davanti alla nostra porta. C’è lo ha raccontato una delle saghe cinematografiche più mitologiche, Rocky, quanto sia importante per il nostro buon umore la conferma dell’esistenza della possibilità di poter risorgere. Niente è mai veramente perduto, nemmeno quando ci danno per morti. Marcel Jacobs e Matteo Berrettini (se riuscirà a qualificarsi al fotofinish) sono quelli su cui punto per avere delle emozioni che potrebbero rimanere scolpite nel cuore. Infortuni e maldicenze a non finire hanno colpito questi due atleti, martoriati nell’animo prima ancora che nel fisico. Diciamoci la verità, noi tifosi a volte possiamo essere veramente stronzi (perdonate l’uso del francese) e senza memoria, e coltiviamo con abnegazione uno dei più celebri aforismi di Aristotele: “la cosa che invecchia prima è la gratitudine”.

Ma cosa è lo sport? Cosa è veramente? 8 ottobre  2000, sul circuito di Suzuka la Ferrari di Michael Schumacher si gioca il mondiale contro la Mc Laren-Mercedes di Mika Hakkinen. E’ di nuovo Italia contro Germania, e la Ferrari sono 21 anni che non porta il titolo mondiali piloti a Maranello e tutti gli italiani, causa fuso orario con il Giappone, hanno fatto una levataccia per vedere il Gran Premio perché la Ferrari non è solo una automobile, ma è il cuore dell’Italia intera che batte all’unisono. Dal 37esimo al 40esimo giro si compie la storia e Schumi esce dai box, dopo un cambio gomme da leggenda durato solo sei secondi, davanti a Mika Hakkinen e vola verso il mondiale, con i meccanici del “Cavallino Rampante” pazzi gioia che si abbracciano e piangono nei box per la commozione. Nella conferenza stampa del dopo gara il pilota tedesco dice una cosa, prima ancora di celebrare se stesso e parlare della gara, che rimarrà per sempre scolpito nel cuore e nella mente degli italiani: “chissà che festa staranno facendo in questo momento in Italia”. E mentre le campane di Maranello suonano come dopo ogni vittoria della “Rossa”, Candidò Cannavò scrive sulla prima pagina della Gazzetta dello Sport: “all’alba di una luminosa domenica d’autunno, la Ferrari si riconcilia con la storia. Tramonta il mistero di un amore immenso e disperato, senza l’abbraccio della felicità, e sboccia su questa romantica storia il trionfo che un’Italia senza confini, aspettava da 21 anni”. Qualche giorno dopo, in un mitico concerto all’Arena di Verona dei “Jamiroquai”, una ragazza tira, dopo averla baciata, a Jason Kay la bandiera della squadra corse della Ferrari, che il leader della band britannica prima sventola urlando “Italiaaa!!!” e poi adagia con cura davanti a lui, nel tripudio generale di una felicità incontenibile.  Ecco cosa è lo sport, ecco cosa andranno a fare i nostri ragazzi a Parigi la prossima estate. Auspichiamo di certo che ritornino con più medaglie possibili, ma ci aspettiamo, soprattutto, che si battano con onore per una “Italia senza confini”. E questo è tutto.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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