“Il Capitalismo? Libera volpe
Loquor
Air: ai piedi della Nike o Nike ai tuoi piedi?
in libero pollaio”.
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Che Guevara
“Una scarpa è solo una scarpa finché qualcuno non ci mette un piede”, la storia del film “Air” di Ben Affleck potrebbe essere racchiusa tutta qui, in questo aforisma da spot, se non fosse che siamo di fronte ad una pellicola “trappola”, a un manifesto del mondo americano animato più dal senso di anarchia sconfinata, che da onesto racconto. Sei nell’eterna prateria della “frontiera” dove John Wayne ha sempre ragione e “Geronimo” è l’usurpatore dei suoi sogni, il freno a mano tirato messosi di traverso tra il “vecchio” e il “nuovo” preteso dall’America, e sapientemente organizzato dai paradigmi liberisti più sfrenati. Il marketing sfonda ogni valore costituito, e le battute scartavetrano il buddismo riducendolo a cornice da avanspettacolo a servizio di un raider del materiale sportivo, Phil Knight, rappresentato prima ritroso a seguire idee da nuova via dell’oro di Sonny Vaccaro (cognome italiano e cervello tipicamente Made in USA, allevato in funzione del dollaro), poi illuminato dall’incoscienza/coscienza del business americano, ovvero sacrificio della certezza in nome dell’incertezza foriera di possibili grandi guadagni. Gli americani sono abili nel fare cinema, loro forma d’arte per eccellenza, e sono capaci di operare manipolazioni profonde, mentre vogliono drammaturgicamente convincerti di come sia l’epopea il loro vero obiettivo. Nei loro western i nativi americani sono pupazzi violenti da strapazzare per affermare la supremazia della civilizzazione bianca. Stupefacente è stata la loro capacità di istituire il “Giorno del Ringraziamento”, ricordo imperituro di quando i “Padri Pellegrini” giunti nel “Nuovo Mondo” con la “Mayflower” riuscirono finalmente, dopo due anni di carestia tremenda, ad avere il primo raccolto, grazie alle indicazioni salvifiche di quei nativi a cui avrebbero riservato uno dei genocidi più feroci della storia umana. “La gratitudine è la cosa ad invecchiare prima”, direbbe il filosofo, e se c’è una cosa che i discendenti dei “Padri Pellegrini” sanno fare bene è non tanto cancellare la memoria, ma modificarla e mistificarla con storytelling disegnati con maestria. In tale contesto ci si autoassolve con la stessa facilità con cui si beve un bicchiere d’acqua, in fondo tutto è stato fatto in nome del progresso e della modernità, versione edulcorata ed esistenziale del concetto di business.
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L’America ha nel futuro la sua stella polare, ha preso il processo dialettico hegeliano e lo ha riempito di tutti i dollari necessari per farlo accettare non solo come destino ineluttabile, ma auspicabile e necessario. Nel Paese più anti marxista del mondo, il “denaro che assume vita propria” preconizzato dallo studioso di Treviri trova la realizzazione completa e riempie di significato morale ogni azione. Se si accetta tutto ciò, allora “Air” diventa il film sportivo perfetto, proprio perché non si parla di sport ma del denaro da esso generato. Il modello è la tv commerciale, dove i programmi sono solo una pausa tra un blocco pubblicitario e l’altro. Phil Knight, il fondatore della “Nike”, assume Sonny Vaccaro perché vuole vendere più scarpe da basket di “Adidas” e “Converse”, e per questo bisogna individuare il giusto “pollo da batteria”(il giocatore) a cui far abbracciare la causa “swoosh” (la “virgola capovolta” diventata oggi il 18esimo marchio più conosciuto e autorevole del mondo) dell’azienda di Beaverton. Si punta su un ragazzo del North Carolina, “terza scelta” ai draft dei “Chicago Bulls”, in fondo non molto considerato dagli addetti ai lavori: si punta su Michael Jordan. Ben Affleck e Matt Damon, produttori e interpreti del film, hanno deciso di lasciare fuori “His Airness” dai personaggi da interpretare, nell’evidente tentativo (riuscito maldestramente) di deificarne il mito, di renderlo una voce proveniente dall’altrove della grandezza. E’ Hollywood bellezza, quel luogo santificato dalla propaganda USA a cui tutto è concesso purché gli interessi della patria siano portati avanti con decisione e senza reticenze. Ecco quindi Adi Dassler, fondatore dell’Adidas, essere tacciato come nazista, semplificando pro domo America una questione così complessa, il sistema industriale tedesco davanti al regime criminale di Adolf Hitler, da far invidia a gente come Ivy Lee, Gustave Le Bon e Edward Bernays. Ad Affleck non importa diffamare la persona che fece calzare le sue creazioni all’afroamericano Jesse Owens alle Olimpiadi di Berlino, indispettendo non poco il Fuhrer del “III Reich Millenario”. Quel Jesse Owens che pur coperto dalla gloria di quattro medaglie d’oro olimpiche conquistate, continuava ad essere oggetto di discriminazione e segregazione razziale nel suo Paese.
Il regista di “Air” usa la clava contro una multinazionale straniera concorrente della Nike, pur di arrivare allo scopo di creare il mito di Phil Knight e Sonny Vaccaro. La sceneggiatura scritta da Alex Convery si scopre sovranista contro l’Adidas, e poi ribadisce “l’Arena Culture” come caposaldo del capitalismo industriale e finanziario americano: Nike, mettendo sotto contratto Michael Jordan e concedendogli, fatto inedito nella storia delle sponsorizzazioni, una percentuale su ogni scarpa venduta, prima umilia la concorrente “Converse”, fino ad allora la numero 1 americana nel mercato delle scarpe nel basket, poi se la compra. La folle e violenta “corsa dei carri” per accaparrarsi i terreni gratuiti dell’Oklahoma di “Cuori Ribelli” di Ron Howard, è roba da piccola disputa da sagra paesana in confronto. Il messaggio mandato al mondo è chiaro, il capitalismo “Stars and Stripes” impone di non guardare i metodi bruschi e le vittime lasciate per terra, esso è il prolungamento di un “Protestantesimo weberiano” (vera anima dell’America) incline a considerare i vincitori come a dei benedetti dalla grazia di Dio. Può, quindi, essere additata una grazia come un peccato? E dove sta la coerenza dell’azienda di Beaverton che, nello stesso tempo, sostiene finanziariamente il movimento antirazzista “Black Lives Matter” e produce il suo materiale nei Paesi del Sud del mondo, con paghe da fame, lavoro minorile e gravi violazioni dei diritti dei lavoratori? Nell’America fantozziana del “politicamente corretto” si censurano, in osservanza della “cancel culture”, stuoli di libri, film, monumenti, e poi si accetta una operazione filmica in cui, in nome dell’esaltazione di un brand, si violenta uno sport e tutti i suoi significati sociali. Si fa agiografia, dove c’è stata distruzione. Una roba ben spiegata da Phil Knight/Ben Affleck: “… faccio una meditazione per il perdono di me stesso. Probabilmente abbiamo creato un precedente pericoloso. Ora tutti gli atleti vorranno una percentuale. Poi vorranno delle azioni. E poi… vaffanculo, troppe paranoie! Avremo distrutto il mercato, ma ci siamo divertiti”. Distruggere contesti non era una novità per Vaccaro (“Ti ho assunto per le tue idee, Sonny”. Knight/Affleck dixit), lo aveva già fatto nel modo sportivo dei college, pagando gli allenatori per far indossare le “Nike” ad atleti inavvicinabili dalle sponsorizzazioni, a causa delle ferree regole dello sport universitario. Il mercato entra nel tempio, tutti sono felici e l’idea dal sapore corruttivo di Vaccaro viene considerata geniale.
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Il giovane Michael Jordan all’inizio diffida (“pensavo fosse un esponente della mafia. Non mi andava di avere a che fare con un tipo così losco”), poi divengono grandi amici, in fondo il 25% sulla vendita di ogni prodotto Nike con il suo nome ha contribuito in modo probante al suo patrimonio odierno stimato sui due miliardi di dollari. Niente in confronto dei 48 miliardi di Phil Knight, ma pur sempre un mammasantissima dei conti bancari. “Il suo contributo (di Michel Jordan) all’umanità è più grande di quello di Bill Gates”, ha dichiarato a “Repubblica” un abbacinato Vaccaro, a cui l’articolo del quotidiano più Liberal e più di sinistra del Bel Paese ha dedicato un articolo con intervista di Emanuela Audisio, una delle sue firme migliori. I tempi cambiano insieme alle simpatie ed empatie, e i successi imprenditoriali affetti da pirateria e sopraffazione, seducono chi un tempo avrebbe pensato prima di ogni cosa al salario da 10 centesimi l’ora dell’operaio del Vietnam o del Bangladesh intento a cucire le scarpe rosso/bianche di Michael Jordan. Oggi i ricchi, sportivi illustri compresi, prima si impossessano di tutto il plusvalore prodotto possibile, poi con una piccola parte di esso istituiscono fondazioni (su cui non sarebbe male prima o poi indagarne i meccanismi) con cui fanno beneficenza, poi spacciano per epocali riforme dello sport delle autentiche rapine legalizzate. Nei complicati incastri relazionali/affaristici ad Hollywood, quando occorre, è stato assegnato il compito di rendere tutto più simpatico e epico. Alla tv e internet la funzione di rintronare con la pubblicità. La stampa italiana e i blogger di settore intenti ad elogiare “Air” sono l’ennesima firma stantia della nostra decadenza e della nostra complicità al celebre motto di Nike: “Just Do It”, fallo e basta, tanto nessuno te ne chiederà il conto e l’autoassoluzione farà il resto. Buona visione del film (girato male, montato peggio, scritto in formato fiction tv generalista, colonna sonora da pianola, povero di dettagli, claustrofobico e agè nelle inquadrature).
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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