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Appassionati o tifosi?

Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 
Loquor / Carmelo Pennisi prende in mano la rubrica che ha realizzato per anni con Anthony Weatherill: “A questo nuovo mondo dove solo i soldi e il potere non invecchiano mai, e dove sostano gaudenti poche elite privilegiate, ci si può ancora...

In memoria di Anthony Weatherill, Toro News è lieto di annunciare che la rubrica “Loquor” continuerà. A portare avanti l’enorme eredità di pensiero lasciata da Anthony sarà Carmelo Pennisi, che insieme a lui già collaborava per la stesura della rubrica condividendo opinioni, ideali e sensibilità. Buona lettura!

Decisero amichevolmente

di essere nemici”.

Stanislaw Jerzy Lec

 

“Sono una tifosa Granata e ormai nonna, e sono in curva “Maratona” da oltre 50 anni”, mi scrive una gentile tifosa (che ringrazio per i complimenti), ed ha subito il potere di darmi un’idea molto reale di cosa sia davvero l’amore per una squadra di calcio. Mi dona un’istantanea della sua vita, dove tre elementi vanno a fondersi in chiara armonia: la partecipazione attiva ad un amore (il Toro), il ruolo sociale a cui tiene di più (l’essere nonna), il concetto del tempo che passa (50 anni di “curva”) senza mutare l’amore per la squadra del cuore. Perché l’amore per una squadra di calcio ha una connotazione unica: si cristallizza nel tempo.

Sposto l’attenzione dalle parole della tifosa Granata a quelle pronunciate alcuni giorni or sono da Andrea Agnelli, e mi trovo di fronte ad un concetto completamente ribaltato: “Lo spettacolo calcistico ha tutto per continuare a prosperare, dai protagonisti agli investitori e agli appassionati. Queste tre componenti sono le fondamenta sulle quali ricostruire”. La semantica del figlio di Umberto ci porta a vedere le cose sotto un’altra prospettiva, dove la frequentatrice della “Maratona” non è più una “tifosa”, ma un’appassionata. E sempre la semantica del presidente della Juventus, annuncia “Urbi et orbi” come il calcio attualmente sia distrutto, perché solo così si spiegherebbe l’intenzione di “ricostruirlo”. E’ incredibile come le parole possano disegnare scenari nuovi e a volte anche con una spruzzata di umorismo. Nel suo intervento sul mensile “Linkiesta Forecast”, Agnelli si dilunga su un analisi para-sociologica dei giovani, l’attuale “Generazione Z” post Millennials, “che ha valori, oltre che interessi molto diversi da chi l’ha preceduta”. Sono quei giovani, sempre secondo il presidente della Juventus, che “non si avvicinano allo sport e non giocano più tra i dilettanti”.

Si noti come la “nonna” granata e il suo esistenzialismo, a questo punto, non solo non sia presa in considerazione da chi dovrebbe, a suo dire, ricostruire il calcio (“Ma non per assecondare i desideri di un gruppo avido di investitori”), ma addirittura venga prefigurata come il problema. Lei, la “nonna” granata, è chiaramente il calcio distrutto che gli Agnelli&Friends ricostruiranno, forse perché semplicemente è fra quei testimoni ancora in grado di raccontare cosa era, e cosa dovrebbe essere il calcio. Il momento oggi, e non solo nel calcio, si è fatto veramente difficile, perché la semantica dominante, controllata e addomesticata con la moneta, ha cambiato nel nostro orizzonte i contorni del nostro “nemico”. Umberto Eco sosteneva come avere un nemico sia molto importante, “non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il nostro valore”. Nell’elaborare la fenomenologia del nemico, l’intellettuale alessandrino arrivò a teorizzare la necessità e il bisogno, in mancanza di esso, di costruirlo. “I nemici – sosteneva Eco – devono essere diversi da noi e devono comportarsi secondo costumi che non sono i nostri”, e prefigurava una delle disgrazie del nostro Paese proprio nel fatto di non avere veri nemici.

Prendendo per buona questa analisi di Umberto Eco, si può comprendere una delle componenti principali, forse la più importante, del perché il calcio ha avuto un successo travolgente in tutti i continenti nel corso di svariate generazioni. E si capisce perché una persona intenta a seguire la vicende della propria squadra del cuore non è stato chiamato, negli anni, “appassionato” o “consumatore”, ma tifoso. Bisogna prendere atto come la semantica, nel corso della storia, quasi mai sia stata utilizzata per descrivere il vero, ma piuttosto per inscenare una realtà virtuale atta a soddisfare interessi precisi. Quando qualcuno viene a disegnare un mondo dove tutti, in nome di una supposta pace, si possa stare insieme appassionatamente abbattendo ogni differenza, ogni frontiera e ogni singolarità di mercato, sta in realtà mettendo le basi per soggiogare e rendere schiave ogni tipo di libertà e mente. Tutto ciò in nome del denaro e del potere, che con la pace nulla c’entrano.

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Nel progetto di “massificazione” mondiale in atto, di cui è ostaggio anche lo sport, si vuole convincere la gente dell’esistenza di un mondo migliore e libero da ogni affanno rottamando secoli di storia, colpevole di avere avuto sempre un nemico ad impedire al mercato di espandersi per soddisfare giusti bisogni. Ah, la semantica, riesce a far dimenticare persino Gesù che dice “amate i vostri nemici”, con ciò stabilendo come eterna l’esistenza del nemico. Riesce a rimuovere dalle menti il racconto omerico dell’astuzia di Ulisse, che con un Cavallo di legno offerto agli dei riesce a convincere i poveri troiani dell’inutilità di continuare a farsi guerra, mentre si preparava a far scomparire Troia persino dalla carta geografica. Come si deve esser beato di soddisfazione, il re di Itaca, mentre ascoltava, nascosto nel ventre del Cavallo, i discorsi ebbri di gioia dei Troiani, decisi a portare all’interno della loro città il dono fatale lasciato dai greci sulla spiaggia davanti alle “Porte Scee”. Quei discorsi, quella semantica, furono l’inizio della loro fine. A nulla valse l’avvertimento di Laocoonte (“questa è macchina contro le nostre mura innalzata… e sulla città graverà”), perché la sua fine a causa di enormi serpenti marini apparsi improvvisamente dal mare, convinsero i troiani della bontà del Cavallo come dono giunto direttamente dagli dei, a cui Laocoonte aveva mancato di rispetto.

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Friedrich Nietzsche invitava ad amare i nemici, “perché essi tirano fuori il meglio di te”, e sarebbe alquanto stupito da Agnelli e i suoi sodali, intenti a trasformare uno sport geneticamente nato per essere un confronto tra “nemici”, e quindi teso a tirare fuori “il meglio”, in uno show globale dal contorno televisivo sempre più marcato. Dove il calcio, retrocesso al gusto della “Generazione Z”, diventa sempre più il “dramma” di un videogioco, dove una volta abbandonata la consolle e il joystick tutto è come se non fosse mai avvenuto. Quando nel calcio si è cominciato a parlare di “qualità” e “spettacolo” (grazie Sacchi e Guardiola) e non più di “madridismo” franchista e di “blaugrana” repubblicano, è stato l’inizio della fine. Sacchi e Guardiola, riempiti di onori e di denaro, sono stati gli alfieri contemporanei (gli intellettuali organici al sistema di gramsciana memoria), della filosofia dagli attuali padroni del calcio, così ben descritta dal figlio di Umberto nel suo ultimo intervento editoriale.

“Il numero di club che daranno vita al vertice del movimento (Champions e SuperLega) dovrà essere ridiscusso, perché l’offerta di calcio sia adeguata alla domanda e garantisca la qualità. Bisogna raggiungere il pubblico, il grande carburante dello show, con nuovi modelli di distribuzione. Il calcio del futuro ha il dovere di coltivare la protezione degli investimenti e i livelli di remunerazione”. E sono queste ultime agghiaccianti parole di Agnelli, a scoperchiare il “Vaso di Pandora” di tutta la nauseante semantica utilizzata nel corso degli ultimi decenni, per rendere accettabile una competizione trasformata in uno show, e la protezione non del gioco ma dei guadagni, abnormi, dei protagonisti. Viene utilizzata la sociologia del marketing, per dare nomi a fantomatiche nuove generazioni, come fossero staccate da tutto il percorso dell’umanità. E le nuove generazioni stanno cascando nella trappola, esattamente come i troiani con il cavallo pensato da Ulisse, non rendendosi conto come il loro nuovo, nel mondo sempre più imposto da gente come Agnelli, è solo un momento destinato a diventare “l’attimo” diventato vecchio.

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A questo nuovo mondo dove solo i soldi e il potere non invecchiano mai, e dove sostano gaudenti poche elite privilegiate, ci si può ancora opporre? Difficile rispondere a questa domanda, anche perché è veramente complicato stabilire quanta autonomia psicologica e intellettuale sia rimasta ai contemporanei. Magari, per la maggioranza delle persone, le parole di Andrea Agnelli sono il futuro accettabile che arriva. Il futuro vissuto tra le mura di casa, dove finalmente ci hanno rinchiuso senza più nemici, senza più malattie, senza più dolore. Nemmeno lo stadio vuoto ormai fa più impressione, a sancire una soglia di tolleranza ormai pronta ad accettare qualsiasi cosa. La “nonna” granata e i suoi 50 anni di “Maratona” rimangono ancora uno spiraglio per cercare almeno di capire, anche cose come “noi” e gli “altri”. Arthur Schopenauer ebbe a dire che “gli amici si dicono sinceri, ma in realtà sinceri sono i nemici”. Quanto conta ancora la sincerità nella nostra vita? Sarà il caso di rispondere a questa domanda. Sarà meglio.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News, annovera tra le sue numerose opere e sceneggiature quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.