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Arriva la giustizia europea sulla SuperLeague
“Credo che il bene
debba prevalere”
Margaret Thatcher
In un contesto della peggiore crisi economica in occidente dal 1922 e della vigilia dei mondiali di calcio più assurdi e controversi della storia, sta praticamente passando sotto silenzio la vigilia del pronunciamento di Athanasios Rantos, Avvocato Generale della Corte Europea di Giustizia, sulla questione “SuperLeague” atteso per il prossimo dicembre. Scorrendo bene il percorso di quanto sta accadendo nell’aula di Giustizia Europea, è facile scorgervi la ripetizione dello stesso schema della battaglia legale della “Sentenza Bosman”, all’epoca (era il 1995) trattato da tutto il mondo sportivo e istituzionale europeo con un atteggiamento incomprensibile di superficialità trasudante di velleitarismo. In pratica, per dirla con parole semplici, nessuno riteneva sul serio che un oscuro calciatore, Jean Marc Bosman, e il suo avvocato riuscissero ad abolire per sempre il vincolo sportivo fino a quel momento totalmente a favore delle esigenze dei club calcistici a discapito di quelle dei calciatori, sovente trattati alla stessa stregua di una merce.
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L’evento giuridico è talmente importante ed epocale da far risultare un po’ troppo retorica e intrisa di enfasi drammaturgica la citazione di Eric Cantona a favore dei critici della “SuperLeague” fatta da Donald Slater, il legale scelto dall’UEFA: “non puoi essere un campione senza lottare, la concorrenza dovrebbe essere aperta a tutti e il merito, non il denaro, deve determinare l’esito”. Detta così, nel contesto di un dramma teatrale e nella sequenza topica di un film, la cosa farebbe scattare applausi e qualche lacrima a rigare il viso delle anime più sensibili. Piuttosto che il pranzo in alcune occasioni è la pancia ad essere servita, ignorando la sostanziale differenza tra l’esigenza ad un certo punto di dover mangiare e il contesto socio/culturale di un pranzo, nei secoli trasformatosi da routine biologica ad avvenimento declinato sotto molteplici forme ed esigenze (un pranzo ed una cena di Natale, ad esempio, non sono in tutta evidenza delle esigenze biologiche.
Non è il soddisfacimento del bisogno della fame a stabilirle e guidarle). Seguendo il verbo dell’ex stella del Manchster United tutto diventerebbe estremamente facile e chiaro, più o meno come con Adamo ed Eva nel “Giardino dell’Eden” e dell’unico frutto che non avrebbero dovuto mangiare perché così Dio, Creatore della vita e del Diritto conseguente, aveva stabilito. Ma, come è noto, quel frutto venne mangiato e quella trasgressione di un Diritto stabilito diede il via alla storia infinita che ci ha condotti fino a qui, di fronte ad un avvocato greco della Corte Europea dal curriculum inesauribile e apparentemente affidabile. Il buon Rantos si starà certamente rompendo la testa, attraverso anche colloqui riservati interminabili, sul come trovare una “quadra” di fronte alle esigenze formali di tutte le parti in causa. Perché una volta asciugate le lacrime procurate dalla citazione “cantoniana”, la realtà “delle eterne parti in causa” si ripresenta più testarda che mai, e impone ad Emmanuel Kant un inquietante quesito, sulla scorta dell’amletico dubbio del Prefetto della Giudea Ponzio Pilato di fronte all’Uomo di Nazareth, nella sua “Critica della Ragion Pura”: “che cosa è la verità”?
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Su questa “quisquiglia” su cui da secoli le migliori menti stanno dibattendo senza sosta, a volte con modi alquanto violenti e prevaricanti, ecco comparire all’orizzonte l’attacco alla lacrima da emozione letteraria a ricordare come il denaro non sia semplicemente un mezzo creato per stabilire misura e merito, ma anche un coacervo di interessi chiari e occulti. Il denaro ha sostituito le armi su vari campi di battaglia e l’unica questione rimasta aperta è stabilire quanti e quali vittime si sia disposti ad accettarne come prezzo legittimo. Per quanto molti di noi si sia istintivamente ed empaticamente inclini alle ragioni emotive della frase di Cantona, bisogna saper attuare un attimo lo sforzo di ricordare esattamente il “modus operandi” socio/economico/culturale nel quale il pronunciamento dell’Avvocato Generale andrà a collocarsi.
Il problema non risiede nell’atavica voglia dei tifosi di avere una squadra forte e dei risultati appetibili (questo va avanti dalla fine dell’800), ma di stabilire ancora una volta la differenza intercorrente tra la vaga “dottrina della felicità” e i “criteri formali” necessari per un buon andamento delle attività umane. Dimenticarsi come la “Sentenza Bosman”, seppur giusta e sacrosanta, abbia di fatto dato il via ad un avvitamento dei costi del calcio verso l’alto e all’affermarsi della supremazia della categoria dei procuratori, vuol dire chiudere gli occhi su quanto la trasformazione del calcio stia avvenendo solo e in nome delle logiche del denaro. Una trasformazione impossibile da non tenere conto quando, prima o poi, il diritto comunitario emetterà una sentenza definitiva sulla querelle tra i fautori “SuperLeague” e l’Uefa.
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Non si potrà ignorare l’ingresso dei fondi di investimento e delle Corporation negli affari del calcio continentale, e quindi la Corte non si potrà astenere dal porsi il problema di come un evento sportivo così influenzato da una dimensione episodica non possa, sic et sempliceter, essere lasciato nell’ansia di veder crollare improvvisamente, magari per un rigore non dato, progetti, investimenti e ambizioni. Da più parti si invoca un rispetto per chi immette valore nel gioco producendo ricchezza, e magari invece di essere ostacolato con regole di un mondo ormai scomparso andrebbe protetto e incentivato. Chi sta sostenendo i club della “SuperLeague” fa notare, inoltre, come anche l’UEFA sia una organizzazione privata, e quindi la giurisprudenza dovrebbe trattarla come un qualunque competitor in un mercato dove la libera concorrenza dovrebbe essere tutelata dai conflitti d’interesse. L’organizzazione calcistica europea è accusata, in sostanza, di fare utili come una qualunque società privata sfruttando l’equivoco sottointenso, ma non giuridicamente giustificabile, di essere un ente super partes.
Qui il concetto di verità invocato da Kant entra indubbiamente in crisi, perché rispetto alle aspettative di tutte le parti in causa, tifosi compresi, diventa veramente difficile verificare chi stia perseguendo un arbitrio rispetto agli interessi generali. Come si rintraccia il “principio universale della libertà” di kantiana memoria, necessario per assicurare un diritto giusto, al fine di regolare dei reciproci arbitri? Il lettore non si inganni, la questione non è solo una disputa filosofica fine a se stessa, ma bensì è il cuore del problema in scena in questi ultimi due anni nel calcio europeo. Esiste la libertà di preservare il calcio nella sua natura sociale presente fin dalla genesi di questo sport, ed esiste la libertà d’impresa a garanzia degli investimenti. Trovare l’incastro giuridico per farli convivere è la sfida titanica davanti alla quale si trova tutta l’istituzione europea, Corte di Giustizia compresa. Si deve e si dovrà essere consapevoli come non esista una “parte morale” in comune tra queste due visioni del mondo, e commettere l’errore fatto con la “Sentenza Bosman”, ovvero non riconoscere il calcio come una attività imprenditoriale anomala e quindi normarla di conseguenza, sarebbe il colpo mortale assestato alla purezza del suo svolgersi. Leggendo alcune delle carte presentate al giudizio di Athanasios Rantos, facendo un excursus sul “Trattato di Lisbona” e su qualche dispositivo messo in atto dalla Commissione Europea fino ad oggi, si evince fin troppo bene che se non si interviene a livello normativo europeo il progetto “SuperLega” non potrà essere fermato.
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Non importa se la quasi stragrande maggioranza dei governi europei siano ad essa contrari, perché rimane solo una intenzione retorica di fronte al dato di fatto rappresentato dalla costruzione socio/economica/giuridica voluta dall’Unione Europea. Il pronunciamento atteso per dicembre probabilmente metterà la parola fine al calcio come lo si è conosciuto per più di un secolo e forse è giusto così. “Direi che questo caso è 100 volte più importante della decisione Bosman- ha detto di recente Jean Louis Dupont, che di Marc Bosman fu il legale-, che riguardava solo la liberalizzazione del mercato del lavoro calcistico, mentre la SuperLeague riguarda il mercato della produzione”. Per il celebre avvocato belga si tratta solo di rottura del monopolio dell’UEFA, non del caos. E non dovrebbe occorrere sottolineare come tutte le rivoluzioni, compresa quella americana, siano quasi sempre cominciate dalla contestazione di monopoli. Molte cose sono cambiate nel Vecchio Continente e molte ancora ne cambieranno, il calcio è fra queste cose. Agli storici sarà dato il compito di stabilire se sarà vera gloria o defraudazione di un patrimonio.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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