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columnist
NAPLES, ITALY - DECEMBER 23: Konstantinos Manolas of S.S.C. Napoli battles for a header with Andrea Belotti of Torino F.C. during the Serie A match between SSC Napoli and Torino FC at Stadio Diego Armando Maradona on December 23, 2020 in Naples, Italy. Sporting stadiums around Italy remain under strict restrictions due to the Coronavirus Pandemic as Government social distancing laws prohibit fans inside venues resulting in games being played behind closed doors. (Photo by Francesco Pecoraro/Getty Images)
In memoria di Anthony Weatherill, Toro News è lieto di annunciare che la rubrica "Loquor" continuerà. A portare avanti l'enorme eredità di pensiero lasciata da Anthony sarà Carmelo Pennisi, che insieme a lui già collaborava per la stesura della rubrica condividendo opinioni, ideali e sensibilità. Buona lettura!
“L’uomo non è un
atomo sperduto”.
Benedetto XVI
In un sondaggio effettuato qualche anno fa negli Stati Uniti, l’80% della popolazione dichiarò di credere fermamente nel prossimo avvento dell’Apocalisse. Questa cosa, almeno a me, fa riflettere, perché manifesta una presa di coscienza di una meritata punizione divina. Una resa senza condizioni davanti alla miserabilità umana, che pare aver preso, su questo 80%, il sopravvento su qualsiasi forma di ottimismo. E’ il non credere più nella possibilità o di essere migliori, o di poter vedere ancora operare persone erte come un faro di tutte le buone intenzioni del mondo. Ma davvero non esistono più persone perbene? Siamo così deboli di fronte al male, tanto da accettarlo come destino ineluttabile?
Fiumi d’inchiostro sono stati versati fino ad ora sulla crisi di risultati del Torino, avviato a festeggiare un Natale malinconico da ultima della classe. Fiumi d’inchiostro che hanno, e stanno, raccontando di giocatori più presi dal loro destino da evolversi in altri lidi, che ad impegnarsi a fare uscire la squadra granata dall’attuale penosa situazione. E’ un tormento cominciato ormai più di un anno fa, in un caldo agosto di preliminare di Europa League contro il Wolverhampton. Dopo la sua disastrosa partita con gli inglesi, il centrale camerunense Nkoulou ammise di “non esserci con la testa” e chiese a Walter Mazzarri di non essere convocato per la partita con il Sassuolo. Si parlò di una aperta ribellione contro una società colpevole di non averlo voluto cedere alla Roma, e si continuò con la narrazione di reiterate promesse mai mantenute fatte a lui dalla società. Non ho elementi certi per dire quale sia la verità, e in questa sede non è nemmeno così importante stabilirla. Si sa solo che da quel momento è cominciata una discesa tecnico/mentale del roster granata verso gli inferi. Nessuno dei tre allenatori (Mazzarri, Longo, Giampaolo) succedutisi sulla panchina del Toro ha avuto la capacità di far ritrovare le motivazioni necessarie ai giocatori per consentire alla squadra di mantenere o progredire il risultato che l’avevano fatta giungere al preliminare di Europa League. E oggi, in tutta evidenza, il rischio è la Serie B. Le indiscrezioni continue provenienti dalla stampa raccontano di Izzo, Nkoulou e Sirigu determinati a voler lasciare il capoluogo piemontese, per inseguire più lucrosi e ambiziosi contratti. Pur non disponendo, anche qui, di elementi certi per stabilire fino a che punto questa prefigurazione di realtà corrisponda esattamente al vero, si deve pur riconoscere una realtà oggettiva di prestazioni a dir poco opache operate dai tre giocatori in questione dall’inizio del campionato in corso.
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Sembrano realmente aver “staccato la spina” non tanto dal loro essere giocatori, ma addirittura dalla loro professione. E’ sembrata e sembra una dichiarazione chiara: “vogliamo andare via dal Toro. Il nostro disimpegno è l’unico modo che abbiamo per convincere Urbano Cairo ad accontentarci”. Quando vengono a mancare mentalmente i tre migliori elementi di una “difesa” di una squadra, il risultato non può che essere ciò a cui si sta assistendo, ovvero alla difesa più perforata di tutta la Serie A. Lo scorrere del tempo, probabilmente tra qualche anno, aiuterà a chiarire le reali ragioni in campo, ma sarebbe interessante chiedere ai tre giocatori cosa pensano del Natale. Sarebbe un’indagine cultural/antropologica sostanziale dello spirito del tempo, conoscere il loro pensiero su una delle feste più importanti del mondo.
Quale reale significato riveste, per costoro, lo scambiarsi gli auguri davanti ad un albero addobbato da luci intermittenti e ricolmo di doni? Facciamo regali ai nostri affetti per una mera convenzione nominalistica (è Natale, quindi la concezione meccanicistica della vita ormai pervasiva in ogni nostro comportamento ci impone di farli), o perché vogliamo dirgli attraverso un oggetto di essere pronti ad essere a loro disposizione senza pretese? Essere disposti a dare in modo del tutto gratuito, vuol dire aver compreso la necessità di fare qualcosa per la felicità degli altri proprio quando non si obbligati a farlo. Stabilisce un legame indissolubile con il soggetto al quale stiamo donando, e il dare finisce per rappresentare un’estensione di noi. Gesù, venendo al mondo, sa già che il suo percorso lo porterà inevitabilmente di fronte al “Golgota” a chiedersi: devo salire veramente sulla croce? Ne varrà veramente la pena? Le generazioni di persone per cui eventualmente lo farei, hanno sul serio le chance per essere migliori? I regali che ci scambiamo nella festa natalizia dovrebbero, teoricamente, essere una concreta manifestazione di fiducia e apertura verso gli altri. Quindi l’Uomo di Nazareth dovrebbe, apparentemente, aver trovato una risposta alle sue domande angosciose, che nell’ora del “Calvario” lo fecero addirittura precipitare per un attimo nel dubbio: “Padre, perché mi hai abbandonato?”. Ma, soprattutto, il regalo è un linguaggio che sa parlare.
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Anche su Andrea Belotti si è scritto tanto nell’ultimo periodo, persino per fare un suggestivo raffronto tra lui e Paolo Pulici, altra icona granata di ogni tempo. Non so quanti abbiano riflettuto sul fatto come di un’eventuale discesa del Toro nella serie inferiore, uno di quelli ad averne un qualche vantaggio sarebbe proprio l’attaccante di Calcinate, poiché sarebbe libero di accasarsi in una squadra di vertice e con un ingaggio di sicuro ben maggiore di quello attualmente percepito. In conseguenza di ciò, l’attaccante della Nazionale avrebbe tutto l’interesse a risparmiarsi nelle performance nell’attuale campionato, avrebbe ottimi buoni motivi per risparmiarsi fisicamente e tirare indietro le gambe per non rischiare infortuni, che potrebbero mettere a serio rischio un lucroso e ambizioso contratto futuro. Il Torino pare essere in piena Apocalisse, un mondo ormai in piena dissoluzione? La questione non ha molta importanza per Belotti, che continua a giocare e migliorarsi con un impegno e una costanza da essere indicato come esempio positivo a quegli americani convinti come nel mondo ormai non ci sia più nulla da salvare. Credere nel Natale, vuol dire credere nel domani, e se si crede nel domani necessariamente si deve credere all’importanza dell’oggi. Combattere tenacemente anche quando tutto appare ormai perso e senza senso, è prerogativa di quelle persone mai dome davanti alla propria debolezza e miseria. E’ provare ad essere giusti, nella convinzione come il “bisogno” umano non sia solamente quello materiale. Segno una caterva di gol, quindi voglio il Real Madrid e soldi con la pala. Essere giusti vuol dire provare ad uscire dal giusto razionale, e quindi comprensibile al nostro egoismo, per entrare nel giusto irrazionale, perché invisibile alla vista e al tatto. O meglio invisibile alla vista degli occhi o al tatto delle mani, ma con la possibilità di recuperare questi due sensi con il cuore.
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Vedere giocare Belotti nello sfascio del Torino attuale, è un riconciliarsi con un passaggio fondamentale della Bibbia. Abramo che riesce a convincere Dio a risparmiare la distruzione di una città anche se trovasse solo dieci uomini giusti, è Andrea Belotti testimone come nel calcio non regni esclusivamente la legge del mercimonio. E’ un dono riposto sotto l’albero di natale di noi tifosi: sperare e credere ancora nella bellezza del gioco. Abramo fu sepolto ad Hebron, che in ebraico significa “amico”, e nella sua azione di essere vivente cercò sempre di “convincere” il suo Dio, del quale era amico privilegiato, a tenere in considerazione l’esistenza degli innocenti, di coloro che ogni giorno si svegliano e tenacemente tengono lontana ogni ipotesi di “Apocalisse”. Andrea Belotti, più modestamente rispetto ad Abramo, può essere considerato un po’ il nostro Babbo Natale. Con la sua slitta e le sue renne, forse non potrà curare tutti i malanni del calcio e del Toro, ma sicuramente da una possibilità, per chi ha occhi per vedere e un cuore per sentire, di comprendere il vero senso di un dono. Belotti, con il suo modo di giocare e di impegnarsi nella tempesta, è come un monito e quasi una preghiera. La speranza è con lui e quindi con noi, poiché sta scritto: “la preghiera di un giusto ha una grande efficacia”. Da un umile stalla di Betlemme fino ad un campo di calcio. Buon Natale a tutti. Ma davvero di cuore.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con Anthony Weatherill della rubrica "Loquor" su Toro News, annovera tra le sue numerose opere e sceneggiature quella del film "Ora e per sempre", in memoria del Grande Torino.
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