Toro News
I migliori video scelti dal nostro canale

Loquor

Cosa rimane dopo un rigore non dato

Cosa rimane dopo un rigore non dato - immagine 1

Torna un nuovo appuntamento con la rubrica "Loquor", a cura di Carmelo Pennisi

Carmelo Pennisi

 

“Siamo comici spaventati guerrieri”.

Stefano Benni

 

Il più grande problema del rigore non concesso al Torino nell’ultimo match contro l’Inter è aver sancito un clima di impossibilità di avere fiducia nella classe arbitrale, componente essenziale e vitale del gioco del calcio. Non essendo credibile come al VAR non abbiano visto il fallo evidente di Ranocchia su Belotti, il “collegio giudicante” (arbitro in campo più addetti al VAR) di Torino Inter ha aperto ogni possibile scenario o congettura sul suo scellerato comportamento: sono incompetenti? Subiscono il fascino del potere? Sono ciechi? Chissà… certo se l’Inter dovesse vincere il campionato grazie al punto scippato domenica all’Olimpico “Grande Torino”, una macchia indelebile rimarrebbe sul campionato 2021/22 e sulla credibilità dell’intero sistema calcio, perché nessuno riuscirà mai a credere come la decisione di non dare il penalty domenica sera sia stato il frutto di un ragionamento fatto in buona fede. Ogni forma di potere (democratico, autocratico, plutocratico, aristocratico, ecc…) non può prescindere dall’essere considerato autorevole, non può sganciarsi dal sacro principio di avere un motivo per cui esso decide per conto e in nostra vece.

Nemmeno la più feroce delle dittature può farlo, che infatti conta ogni volta su una massiccia opera di propaganda al fine di legittimarsi. E visto come nell’era di internet non si possa più nemmeno contare sull’oblio, quella sorta di “damnatio memoriae” che ha sempre caratterizzato alcune vicende del calcio preservando tutti i suoi protagonisti dalle loro malefatte, si può comprendere come certe ferite probabilmente non si rimargineranno mai e lasceranno un’ombra di discredito sul nostro sport più amato. Ma è veramente così? Possibile nessuno si renda conto della necessità di una sufficiente aurea “reputazionale” positiva per vestire i panni di giudice? E’ incredibile come nel nostro Paese possa oggi succedere tutto e il contrario di tutto e avere come riscontro il “niente”. Non ci sono mai “conseguenti dimissioni”, non si è chiamati a rendere conto di un qualsiasi operato e, anzi, si continuano a prendere lauti compensi a prescindere dai risultati; l’unica cosa a contare pare sia il posto di potere occupato, raggiunto sovente perché parte di un “sistema” in cui tutti si proteggono. In questo clima è perfettamente coerente un Ministro della Repubblica, Roberto Cingolani, che dichiara con tranquillità sconvolgente come gli aumenti dei prezzi dei carburanti siano ingiustificati e in alcuni casi addirittura una truffa.

Dimissioni di Cingolani dal Governo perché non disponibile a partecipare all’incapacità di impedire il raggiro? Ma neanche per idea, anche perché per la stampa nostrana sembrerebbe non essere una notizia così rilevante: siamo nella fase storica in cui è importante preservare la stabilità. Ci sono pandemie, guerre, Recovery Fund da gestire, non si vorrebbe davvero mettersi a pensare a una cosa come la salvaguardia della credibilità? Tanto la reputazione più che dai fatti viene creata dalle parole, e ogni volta ci sono le giuste parole a contribuire con successo al motivo perché proprio tu sia stato nominato “Arbitro Internazionale” a rappresentanza del nostro calcio, nonostante la tua incapacità chiaramente manifesta. È l’autoreferenza per conto terzi (lo so, è un ossimoro, ma rende l’idea della situazione), perché nel clima di conclamata complicità ad ogni livello trovare qualcuno disponibile a dichiarare al mondo, con ogni mezzo, quanto tu sia bravo e assolutamente legittimato nell’occupare il posto di prestigio, è quasi un gioco da ragazzi. In questo disgraziato Paese si usano addirittura premi letterari e cinematografici per soddisfare ogni tipo di autoreferenza presente in noi. Trovare  qualcuno disponibile a sostenere “quanto siamo bravi”, questa è la “missione prioritaria” di tutti i cercatori di successo di vita italici. E dopo un po’ i fatti oggettivi non contano più, sono sostituiti dal suono di parole compiacenti. “Ma sì, in fondo Ranocchia può aver toccato il pallone prima di abbattere Belotti, non si può mai essere sicuri di niente in questo sport… sappiamo come è fatta la dinamica del calcio”. Si badi all’utilizzo del plurale, perché nella propaganda è sempre meglio nascondere il “il crimine” nella logica del branco: è così con cui tutto viene protetto dal dubbio.

Non esistono più “hombre vertical” nella società dell’autoreferenza, dove l’unico coraggio a concedersi è quello di essere ammirati dalla resistenza degli ucraini. E’uno stato catartico che giunge a farci sentire le pallottole di Putin fischiare sopra le nostre teste: la vita è tutta una “gaming chair”. La conseguenza oscena  dell’incapacità al potere e del verosimile innalzato al posto del vero, è lo scadimento progressivo, e al momento inarrestabile, della qualità della nostra vita nazionale, con conseguente perdita di punti di riferimento certi e anche di qualche criterio assoluto di cui ogni tipo di società ha bisogno. Persino l’arte fotografica è stata retrocessa al rango di gossip, lo smartphone ha indotto un quadro da decifrare, ovvero il momento fermato da uno scatto fotografico, ad essere un momento di socialità “pop” sopravvenuto ad inebriare qualsiasi forma di isteria collettiva. Finita l’isteria collettiva condita da fiumi di parole inutili (“cosa si saranno detti tra loro gli arbitri di Torino Inter? Fateci sentire gli audio!”), si rimane nella devastante condizione depressa di un dopo party esageratamente alcolico e puntellato da qualche sostanza stupefacente.

LEGGI ANCHE: Il Derby

Frastornati, bisogna rimettersi in piedi e trovare una giustificazione per rendere digeribile la decisione di andare al prossimo party e continuare ad accettarne la depressione conseguente. Si sta perdendo il valore dell’importanza del “background”, del passato da consegnare al futuro, perché le orme lasciate sul terreno non hanno più importanza, visto come la terra sia stata sostituita dalla sabbia. Nel deserto del nostro scontento ci siamo affidati al “Ghibli”, il vento caldo mediorientale capace di inghiottire e mettere in difficoltà interi eserciti, ma anche di cancellare ogni traccia del nostro passaggio. Si vorrebbe far finta di niente e a questo punto affidarsi al caso, decidendo di stare al gioco assegnatoci dalla storia e rassegnarci così all’automatismo. Vogliamo la ripetizione dell’evento, convinti come qualcosa di diverso da tutti i precedenti possa accadere. Illusi nel ritenere un errore semplicemente un fastidioso fantasma creato dal caso. Quello è il momento in cui, per dirla alla Jean Paul Sartre, si rischia di far diventare “la libertà una prigione senza muri”. Quella è la classica situazione dove degli arbitri decidono come un’ingiustizia possa essere un giusto prezzo da pagare per non disturbare il “Re” e averne da lui vantaggi, tanto il “Ghibli” presto si alzerà e cancellerà ogni traccia dalla nostra memoria o, peggio, ci farà accettare l’automatismo come un dato di fatto: domani, poi, sarà sempre un altro giorno.

“Non c’è più nostalgia degli dei”, direbbe Marcello Veneziani direttamente dalle pagine di un suo splendido libro, e quindi non si ha più la necessità di far trionfare la verità, meglio rimanere con il rancore e il sospetto incorporato e accettare il “fato” delegato, erroneamente, ad un semplice lancio di dadi su un tavolo. Gli arbitri di Torino Inter ci hanno imposto ancora una volta l’impotenza di fronte  agli eventi, ci hanno ricordato quanto siamo soli davanti alla colonnina di una pompa di benzina, di fronte alla scelta se essere defraudati senza motivo o fermare l’automobile fino a data da destinarsi. “Comprendere per deliberare”, è uno dei leit motiv della politica pragmatica, ma forse non si ha più la forza di deliberare. “Forse”, l’unica cosa certa rimasta a congiungere  le nostre vite. E perdonate se ho usato, ancora una volta, un ossimoro. Oggi va così: scriviamo nell’acqua, dopo aver parlato al vento.

 

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

tutte le notizie di