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Cosa stanno comprando gli arabi nel calcio?

Torna Loquor, la rubrica a cura di Carmelo Pennisi: "L’allenatore diventa presto un guru, dove da un tempio senza un luogo fisico, e con la complicità di una stampa che sta scavandosi la fossa senza nemmeno rendersene conto"

“Siamo comici spaventati guerrieri”.

Da Il Discorso del Commiato di Joshu

Un noto critico musicale in una recente intervista ha fatto notare come “il blues, se non c’erano i negri, non gli afroamericani ma gli schiavi negri portati dall’Africa, non sarebbe mai esistito. E i bianchi che suonano il blues dovrebbero ricordarlo”. Ecco, a volte non sarebbe male far funzionare il meccanismo del ricordo nelle cose che viviamo e facciamo ogni giorno, giusto per accertare dei fatti su cui costruire il vero. E tra i fatti incontestabili c’è di certo come tutte le fortune del calcio siano nate in Europa, e la cosa non è riconducibile solo al fatto dell’essere stato inventato dalle nostre parti, ma anche, e soprattutto, alla questione sociale a cui esso è legato, e che ne ha creato e corroborato il mito. Le generazioni passate sono state testimoni di ciò, e farebbero fatica a credere a come tutti noi si stia assistendo inerti alla vendita dell’anima del gioco che più di ogni altra cosa rappresenta la storia dell’Europa. Si è tirato un calcio ad un pallone ovunque nel nostro continente, persino nelle pause della guerra di trincea della “Grande Guerra”. Nel giorno di Natale del 1914 soldati tedeschi, francesi e inglesi disputarono nella “terra di nessuno” nei pressi di Yrpes una partita di calcio.

La “no man’s land” era il luogo giusto, lo spazio dove il calcio aveva rivendicato una peculiarità della nostra tradizione culturale: seppur la natura umana è destinata a cercare lo scontro, non si è nemici per sempre. Il calcio dei circoli ricreativi dei lavoratori, delle università, degli oratori, delle sinagoghe reclamava identità come segno tangibile della libertà. Una palla di qualsivoglia materiale e due pietre a delimitare una porta di fortuna, ed ecco poesia ed anarchia varare in mare aperto la nostalgia di tutte le possibilità. Guardi il cielo e sai che tutto ciò che conta è sopra di noi con il suo inossidabile mistero, che il pallone, però, può consentire almeno per un attimo di acchiappare. Quella cosa rotonda che corre per terra e per aria ha la possibilità di renderci meno cinici, e più aperti all’incontro all’interno del sempiterno scontro. In tutto ciò cosa c’entra la migrazione di molti giocatori europei in Arabia Saudita? Cosa stanno comprando realmente i soldi di una ricchezza immensa del tutto casuale e immeritata, il petrolio, attraverso il calcio? Ci fermiamo mai a riflettere su questo o i soldi sono la morfina dell’anima dalla quale dipendenza non si può guarire? “I soldi dell’Arabia sono un bene, possono aiutare gli investimenti da noi per migliorare la situazione”, ha detto Urbano Cairo nel corso della presentazione dei palinsesti de “La7”, e la sensazione, ancora una volta, di avere una elite retorica per convenienza e completamente avulsa dal suo dovere storico di fronte alla propria comunità viene fuori in modo lampante e sintomatico. Il vecchio raggiro del “datemi le risorse, così farò investimenti straordinari e fondamentali” è uno dei giochi più antichi in voga in Italia, e sta andando in scena in questi mesi anche con i fondi del PNRR.

Agli italiani da più di vent’anni promettono investimenti, bassi tassi d’interesse, inflazione sotto controllo, recupero di credibilità sul debito pubblico, una nuova età dell’oro: non serve precisare come al momento stiano le cose. La retorica tanto cara alla classe dirigente italiana(io la chiamerei volgarmente “fuffa”) ci prefigura sempre l’isola che non c’è, un panorama in cui ci vuole degli eterni “Peter Pan” senza nemmeno i suoi ideali, ma confinati nel recinto della nostra ansia di vincere. Mario Monicelli denunciava il raggiro persino nel filone cinematografico del “Neorealismo”, che a suo dire “conteneva una serietà che non era quella del popolo italiano. Era una cosa finta. L’Italia non era quella raccontata dai luchinisti. Non lo erano i contadini e gli operai  che loro mettevano in scena”, ed è davvero incomprensibile come da noi ogni afflato di speranza  si acconci ad un paradiso di balle indescrivibili. Il calcio europeo non è una vergine con il sorriso sempre sulle labbra e fiduciosa nel futuro, esso è piuttosto diventato una meretrice intenta ad avere più “rapporti” possibili in cambio di denaro, visto come la bellezza, la gioventù e la grazia corre nel tempo a sfiorire. Si potrebbe dire come gli arabi e i fondi di investimenti americani abbiano trovato terreno fertile a partire dalla “Legge Bosmann”, con cui i calciatori hanno trovato la loro libertà, accompagnata da una bulimia di denaro mai vista nella storia del calcio. Si allontanano dai motivi del gioco i luoghi sociali, venendo progressivamente sostituiti dagli interessi dei procuratori, con gli allenatori a fargli da testa di ponte all’interno dei club. Eh sì, la cosa è stata studiata proprio bene, quasi dietro ci fosse una regia diabolica invisibile. Tutte quelle conversazioni sul gioco come appuntamento estetico invece che agonistico, hanno proiettato gli allenatori nella stessa landa dove sostano gli artisti e i filosofi nell’immaginario collettivo.

L’allenatore diventa presto un guru, dove da un tempio senza un luogo fisico, e con la complicità di una stampa che sta scavandosi la fossa senza nemmeno rendersene conto, comincia a far girare “il verbo” attraverso dei tifosi ormai immersi nella società del marketing e dello spot, convinti sul serio di essere in ascolto di trattati monumentali di filosofia estetica e di spiritualità calcistica. Intanto gli allenatori passano alla cassa, contribuendo non poco a far lievitare i costi del mercato, e pian piano persino club storicamente economicamente forti come Barcellona e Real Madrid vengono portati sul baratro del fallimento economico. Il successo della “Premier League” è la conferma di un calcio approdato nelle logiche del neo liberismo; solo gli inglesi, nel Vecchio Continente, hanno la capacità di capire il denaro e di intercettarne le logiche, finendo per annichilire, al solito, la voglia di “grandeur” di francesi e tedeschi. L’Italia ha “ballato” poco, e di quei vent’anni (80 e 90) in cui i club nostrani hanno calcisticamente dominato il mondo, ne sono incomprensibili i motivi solo a chi ignora le manovre geopolitiche e finanziarie in quei frangenti in corso. Sono gli anni di una nostra insperata supremazia ma, come sempre nella nostra storia, il caos politico imperante ha impedito di fare ragionamenti lucidi e di prospettiva sul nostro sport nazionale, con l’aggravante del crollo della I Repubblica che si è portata con sé molta della forza della nostra classe imprenditoriale, sia in termini di visioni che di capacità di cassa. Intanto l’euro comincia a fare il suo lavoro di decrescita felice(non dichiarato. Anzi, ufficialmente avrebbe dovuto farci più ricchi e più liberi di tempo. Poi, siccome i fatti alla fine sono sempre più forti delle balle, si è trasformata la narrazione di questa moneta: ora è un’arma difensiva per renderci meno poveri. Accontentiamoci), azzerando di fatto la capacità economica della classe media imprenditoriale, l’unica vicina a quel mondo calcistico sociale ormai in estinzione(Dovrebbe far riflettere come gli europei Bernard Arnault e Amancio Ortega, tra gli uomini più ricchi del mondo, non abbiamo mai pensato di investirvi). Ci sono molte cose a covare sottotraccia e non molto messe in chiaro dalla stampa, una di queste è la voglia crescente di Sky di abbandonare il mercato italiano considerato più fonte di perdita (presente e futura) che di soddisfazioni di prospettiva. Ecco allora la creatura di “Comcast” (gigante delle telecomunicazioni e dei media company) fare un passo indietro rispetto ai diritti tv delle Serie A, contribuendo alla deflazione del costo del suo prodotto e lasciando campo libero a “DAZN” di Len Blavatnik, un personaggio con più passaporti in tasca di quanto una tasca possa contenerne (alla fine ha scelto di prediligere quello britannico). Blavatnik, con il suo socio storico Mikhail Fridaman (con cui condivide una vicinanza stretta a Vladimir Putin), è uno dei più attivi nel campo della filantropia a livello mondiale, e forse intervenire in soccorso, in sostituzione di Sky, di una asfittica Serie A rientra in questa sua attività (spero perdonerete questa mia malizia).

Secondo Urbano Cairo non bisogna preoccuparsi troppo dell’esondazione dei capitali arabi nel mercato europeo (“Tanto poi ritorna a livelli più equilibrati. Anche lo Shakthar Donetsk prese Lucarelli per delle cifre spaventose come anche la Russia”), e sorprende la superficialità usata dal più importante editore “puro” italiano nell’affrontare la questione, ignorando completamente l’affondo geopolitico nascosto dietro le spese pazze condotte nel calcio da parte degli arabi. Forse il presidente del Torino dovrebbe leggere più attentamente le pagine dei giornali da lui editati, e farsi qualche domanda in più sulle manovre strategiche sempre più avvolgenti dei Paesi aderenti all’acronimo “BRICS”, o su Spagna e Italia vicine ad un crollo verticale preoccupante e che potrebbe impattare fortemente su tutta l’area del Mediterraneo. Il calcio, al solito, è una spia piccola o grande dipende come si guardino le sue vicende. I ricordi aiutano a capire da dove veniamo e come eravamo, utili strumenti di difesa quando la vita si fa caos. In un mercato calciatori italiano povero come mai di denaro e di visioni, appendiamoci alla speranza di Stefano Benni. “E’ come nel blues: si può scivolare su altri accordi, variazioni di melodia o di malinconia, ma si ritorna sempre all’accordo iniziale, quello che racconta la storia”. Poi dici perché continuo a leggere romanzi…

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.