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NUSA DUA, INDONESIA - NOVEMBER 15: Crown Prince Mohammed bin Salman of Saudi Arabia takes his seat ahead of a working lunch at the G20 Summit on November 15, 2022 in Nusa Dua, Indonesia. The new British Prime Minister aims to articulate his foreign policy vision here while grappling with economic instability at home. (Photo by Leon Neal/Getty Images,)
“Le ricchezze conferiscono gli onori”
Ovidio
Scottie Scheffler, l’attuale numero del golf mondiale, quest’anno dopo aver guardato sul suo conto in banca i 21 milioni di dollari guadagnati nei vari eventi del “PGA Tour” pare abbia esclamato: “è troppo per colpire una pallina bianca”. Ma questo è niente rispetto alla notizia che ha scosso negli ultimi giorni il golf e l’intero sport mondiale, ovvero la capitolazione, a fronte di 500 milioni di ingaggio, del golfista numero 3 del mondo, Jon Rham, al corteggiamento della “LIV Golf League”, il nuovo baraccone stroboscopico messo su in piedi dall’Arabia Saudita per impadronirsi di uno degli sport più amati dagli sponsor e più seguiti al mondo. In soli due anni i soldi di Mohammed bin Salman, uno che a Vladimir Putin potrebbe insegnarli qualche trucco inedito da tiranno, hanno letteralmente comprato l’anima di giocatori già molto ricchi e per niente bisognosi di farsi corrompere da un regime che, se la Corte di Giustizia dell’Aja fosse davvero una cosa seria e non un manganello a comando di interessi fin troppo opachi, dovrebbe rendere conto di malefatte assai censurabili sia dal punto di vista etico che da quello penale. Ma i soldi hanno raggiunto un tale potere di seduzione, di suggestiva possibilità di estraniarsi dal mondo reale, di adrenalina da delirio di onnipotenza, da dover necessariamente interrogare anche tutta l’audience globale, cioè tutti noi, su a cosa realmente stiamo dedicando molta della nostra attenzione.
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L’occidente si sta consegnando pezzo dopo pezzo a dei satrapi assoluti, a degli archetipi di potere combattuti, a partire dalla Rivoluzione Francese, con determinazione e un prezzo di sangue impossibile da quantificare per quanto è stato alto. Un numero imprecisato di studi, di libri, di articoli, di carriere stroncate, di guerre, di tumulti sono stati impiegati per respingere l’idea di una ristretta di cerchia di persone, dotate di grande disponibilità di ricchezza e di sovranità territoriale incontrastata, con la disponibilità della vita altrui a proprio piacimento. Le corti portati sui vari patiboli rivoluzionari dovevano essere un monito per chi avesse ritenuto in seguito di poter inseguire il troppo oltre il troppo già detenuto. Gli arabi stanno azzerando tre secoli di storia di lotta e di idee, e c’è ancora qualcuno con il coraggio di parlare di una nostra superiorità come civiltà rispetto al medioevo in cui la cultura araba continuerebbe ad essere collocata. Non ci stiamo rendendo conto di essere quella declinante aristocrazia rurale russa di fine 800 di cui parla Fedor Dostoevskij in “Delitto e Castigo”, capace di partorire un soggetto carico d’odio e rancore come Rodion Raskolnikov che uccide una vecchia usuraia convinto di usare i suoi soldi per una buona causa e per non scivolare nell’appartenenza alla vita ordinaria. Raskolnikov vuole appartenere alla categoria degli uomini come Napoleone Bonaparte, quella dell’umanità straordinaria, molto ristretta, dispensata dal seguire le leggi morali e che portano benefici all’umanità, anche se attraverso guerre e molte morti. “Uccidiamo (in questo caso la cultura europea) per essere straordinari” è il motto dei governanti arabi privi non solo di scrupoli e di coscienza ma anche di assoluto senso della storia. Si stanno impadronendo dello sport mondiale come mezzo più semplice per portare via l’anima culturale e sociale di un occidente in ginocchio davanti ad una valanga di soldi conquistati senza fatica e merito, e indifferenti di fronte a qualsiasi tipo di razionalità del diritto.
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Calciatori o golfisti poco importa, la necessità è quella di spostare l’asse del mondo verso i loro programmi. L’islam, usato come cloroformio del dubbio, si occupa e si occuperà di rendere tutto ciò accettabile al discernimento residuale rimasto a disposizione delle opinioni pubbliche mediorientali. Catalizzare l’attenzione sull’occidente cattivo reo di appoggiare Israele ai danni del popolo Palestinese, serve a compattare anche i più riottosi davanti a questo accumulo scandaloso di potere e ricchezza riservato a pochi. “Il golf è amore, radici e tradizione” diceva fino a poco tempo fa Jon Rham proclamando fedeltà eterna al “PGA Tour” contro l’inganno del circuito separatista “LIV”, è fa riflettere come l’opinione pubblica gli abbia davvero creduto, in uno strano convincimento collettivo che lo sport, chissà perché, sia un’isola felice rispetto al nichilismo corrosivo impostosi in tutti i temi e sottotemi della società contemporanea, la stessa disponibile a rendere accettabile l’idea, in cambio ovviamente di denaro, di poter rendere disponibile un utero per generare figli da consegnare ad altre persone. Si lavora tutti per un cliente e si paga per soddisfare un sogno o un desiderio, qualsiasi esso sia.
A ciò è stato ridotto il mistero della maternità o l’amore per uno sport. “Dire che gli sportivi sono pagati troppo – scrive il tabloid inglese “The Guardian”- è come sottolineare che il mercoledì segue il martedì”, ma la pioggia di soldi arabi in caduta libera su golfisti e calciatori stanno rendendo tutti questi contratti credibili a livello etico e stanno dando un senso distorto del valore delle cose, perché i fatti, se nessuno li ferma sanzionandoli in qualche modo, diventano moneta corrente del pensiero accettabile. Non siamo più alla fine del 700 dove la classe lavoratrice e proletaria coltivava il giusto risentimento di essere tenuta a disparte da ogni tipo di possibilità offerta dal mondo, che poi Karl Marx ha ordinato scientificamente nel suo “Capitale”, da una classe dominante incapace di distribuire un po’ dei suoi privilegi, siamo di fronte ad una opinione pubblica in fila davanti agli “store” della Nike per comprarsi le “Air Jordan” a 180 euro, delle scarpe il cui costo di produzione, nelle filiere terziste del Vietnam o del Bangladesh, varia tra i 5 e i 10 dollari, il cui 40% degli introiti vanno a Michael Jordan determinato a far fruttare la sua gloria cestistica anche dopo la fine della sua leggendaria carriera. Ma è evidente come le teorie comunistiche dell’eguaglianza sociale e del “kata metron” della Grecia classica siano andati ormai completamente a ramengo, persino il “Nuovo Testamento”, caposaldo di tutta la cultura occidentale, pare essere stato raso al suolo dalla bulimia di soddisfare l’empatia indotta per ogni simbolo del successo e dall’avere nuovi dei da soddisfare. Con un gigantesco passo del gambero, dalle nostre parti si è tornati ai piedi del “Monte Sinai” del “Vecchio Testamento” ad adorare il “vitello d’oro” ora usato per spericolate operazioni di marketing e far fare soldi a questi nuovi dei e ai loro accoliti. “Non mi sorprende che tanti (giocatori) se ne vadano – andava dicendo Rham fino a poco tempo fa -, centinaia di milioni sono una grande ragione, ma a me attrae la storia, giocare nei luoghi di Seve Ballesteros e Jack Nicklaus”. Ma gli arabi, edotti sul ragionamento di cui sopra, sanno come dalle nostre parti principi e valori siano stati sostituiti dal “gioco al rilancio”, e offrono al golfista basco 500 milioni per tre anni per mettere da parte tutta la retorica da imbonitore di casa d’asta e accettare l’inevitabile vendita del proprio talento e dei propri valori: “devo pensare da padre e da marito - dice ora Rham con una retorica familiare tra il comico e il provocatore -, tre anni di Lega saudita valgono la pensione”.
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Nelle tante parole e tesi ormai in circolazione nel mondo dello sport globale il comico, il tragico e il grottesco si sostituiscono continuamente come nel più classico gioco delle tre carte. L’approdo di Rham nella “LIV” è stato definito dal quotidiano “La Vanguardia” “il momento più trascendentale della storia del golf”, e non deve sorprendere l’uso disinvolto della metafisica da parte di una stampa colpevole di aver trasferito intere masse di persone dal culto della religione al culto dell’evento mediatico. Il funerale di Lady Diana Spencer, a suo tempo, non fu il momento in cui si saluta un’anima ascesa al cospetto del Creatore, ma un’occasione di isteria collettiva da “vitello d’oro” e un correre a comprare la canzone di Elton John cantata dallo stesso nel corso dell’officio funebre di colei che era stata la Principessa del Galles. Si usano le celebrità per mistificare la vita e fare soldi, e con questo sistema si è reso lo sport una “Cornucopia” riservata a pochi ma senza nessun limite da riservare ad un conto corrente bancario. “El Pais”, organo principe della stampa spagnola, ha definito la seduzione dell’immenso ego di Rham “la follia calcolata dell’Arabia Saudita nel suo piano megalomane di diventare l’impero sportivo mondiale”, di rimando “L’Equipe” ha pubblicato un dossier sulla nuova forza del calcio saudita usata come leva per favorire l’asse del potere verso il Medio Oriente. Dietro il nuovo drammatico conflitto israeliano/palestinese c’è anche questo, ovvero l’Islam pronto a lasciare morti sul campo o a comprarsi tutto ciò che del globo è criterio universale. Soldi e fede granitica in Allah che tutto vede e a tutto provvede, così gli arabi stanno vincendo e noi si sta drammaticamente perdendo. Tutto in nome di ricchi contratti mai così lucrosi fatti nella storia dello sport e che ha mandato in soffitta il romanticismo dei Seve Ballesteros e degli Alfredo Di Stefano. Ah, “LIV” non è un acronimo ma il numero romano ad indicare le 54 buche che vengono giocate nei suoi tornei, e non è nemmeno un omaggio arabo alla nostra cultura, è semplicemente l’ultimo sberleffo di una lunga serie di sberleffi.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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