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FLORENCE, ITALY - AUGUST 28: Dusan Vlahovic of ACF Fiorentina gestures during the Serie A match between ACF Fiorentina and Torino FC at Stadio Artemio Franchi on August 28, 2021 in Florence, Italy. (Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)
“Vivo per la generazione
che verrà”.
Vincent Van Gogh
Qualcuno mi ha fatto notare come Bernadeschi, Chiesa e Vlahovic abbiano fruttato, via Juventus, 180 milioni di euro alla Fiorentina, una cifra forse congrua per dimenticare concetti ormai considerati desueti come lealtà, rispetto, decenza e deferenza verso la componente mistica della vita che, per quanto negata da scientisti e positivisti di varia natura, esiste come tra le più tangibili realtà. Matteo Renzi sconsolato, si è chiesto se si possa fare qualcosa per fermare l’emorragia di campioni viola prima o poi attratte dalle sirene bianconere e definendo Dusan Vlahovic una questione dannatamente seria, sotto lo sguardo attonito di un giornalista di La7 giunto con un microfono sotto la sua bocca per ascoltare un parere sul prossimo Presidente della Repubblica e non per raccogliere una rabbia appena sopita su un trasferimento di un calciatore. “Perché sempre alla Juventus?”, è stato il grido di dolore del politico toscano, come se fosse ignaro di una cosa definita “libero mercato” fatta esondare nel mondo del calcio senza nessun tipo di ritegno o guarentigia anche sotto il silenzio complice della politica. Diogene il Cinico afferma come il mercato sia quel luogo appartato dove gli uomini possono ingannarsi l’un l’altro, ma nemmeno il fondatore della “Scuola Cinica” poteva immaginare questa contemporaneità in cui non solo il mercato vive in modo tutt’altro che appartato, ma addirittura ogni giorno sposta il confine del “tutto è possibile” quando si tratta di affari.
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“Ormai è tutto un business del cazzo!”, tuonava Iggy Pop all’auge del suo successo e sarebbe interessante provare a stabilire, ancora una volta, quale sia la vera natura di una squadra di calcio, giusto per capire se gente come Dusan Vlahovic sia una normale merce messa in mostra sugli scaffali del libero mercato oppure, invece, l’icona temporanea di un sentimento legato a una maglia. E’ difficile oggi stabilire il reale stato del “sentiment” dell’opinione pubblica sulla questione, tanti sono stati i cambiamenti nei valori e nel costume prodotti dall’era digitale irrotti nella società in modo così vorticoso da aver generato l’inizio di una nuova “Era”.
I calciatori non sono un mondo a parte, ma sono esattamente figli di questo tempo dove la parola appartenenza ha assunto una valenza negativa, una sorta di catena da rompere per poter partecipare liberamente a tutte le esperienze offerte dal mondo. Quando un aereo riesce a portarti in soli 12/13 ore in Cina il valore del viaggio vissuto da Marco Polo regredisce, nella scala delle considerazioni, ai modi di fare di un “boomer” della fine del ‘200. La rabbia dei tifosi della Fiorentina è cieca di fronte a un ragazzo di ventuno anni cresciuto a Belgrado impossibilitato a capire lo sfregio operato verso una maglia e città operato a metà campionato per trasferirsi nel club più detestato della città che fu luogo confortevole del potere dei Medici. Firenze, per il buon Dusan, è stato solo un salire su un aereo della Ryan Air per spostarsi, a prezzi non proibitivi, verso un altro universo assolutamente da conoscere e da vivere.
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Quando si è deciso di affidare alla televisione le sorti del gioco più seguito al mondo, si sarebbe dovuto immaginare come il mezzo, che ai suoi albori aveva abbagliato un mago della propaganda come Joseph Goebbels, in poco tempo avrebbe asportato la natura social/culturale dalle sue vicende per ridurre il tutto ad uno spettacolo drammatico stile Gladiatori nel Colosseo. Il calcio non è più importante perché esprime differenze a cui un tempo si affidavano contenuti esistenziali atte a lenire tutte le inquietudini tramutate in certezze alla fine del processo di identificazione, esso ormai si è trasformato in materia per storie da Instagram e occasione infinita per dare cittadinanza a ogni tipo di spot pubblicitari. L’anima del tifoso esiste ancora, certo, ma è sempre più annacquata dalla sua digitalizzazione, e quindi se per la cessione di Roberto Baggio alla Juve fu la strada il teatro della furia dei tifosi Viola, oggi è la tastiera di un computer ad accogliere l’annichilimento dei tifosi 2.0 sempre più traballanti su un filo immaginario teso nel vuoto creatosi tra la cultura figlia di tutto il ‘900 (alla base dello straordinario successo del calcio tra la gente di ogni classe sociale) e il consumo moltiplicato all’infinito, operato nel minor tempo possibile, imposto alle masse in questi primi venti anni del nuovo millennio.
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Con una media di 19.000 spettatori a partita all’Artemio Franchi (uno stadio che ne può accogliere 44.000) è facile comprendere anche alla mente più sprovveduta come coloro disposti a essere protagonisti della Storia si stiano riducendo di numero in modo progressivo e inesorabile, relegando lo stadio al ruolo di riserva indiana custode del tempo che fu. Se all’inizio degli anni ‘90 la cessione di Roberto Baggio alla Juventus poteva essere il primo stadio del processo della “Finestra di Overton”(la fase in cui un’idea è “Impensabile”), dall’inizio del nuovo millennio, quello della fantasmagorica “Generazione Z” (adoro quando il marketing utilizza categorie sociologiche per creare appartenenza nel consumo), la Fiorentina ha spedito alla corte degli Agnelli giocatori del calibro di Bernadeschi, Felipe Melo, Chiesa e ora Vlahovic, sancendo così la fine del circo, con le sue regole ferree ed empatiche sopravvissute per lungo tempo, a favore dello smartphone elevato a feticcio del mondo che verrà: attraverso di lui tutto è un casting a servizio degli uffici marketing del pianeta. Dusan Vlahovic alla Juve sgomenta solo chi è rimasto ancorato a un mondo dove un musicista veniva da un percorso di formazione variegato e autonomo, e non da reality show con il compito di portare sul palco del Festival di Sanremo cantanti o band di cui si parla di tutto, dal trucco alla mise eccentrica, tranne della qualità e della ricerca della musica proposta. Parlare di musica richiederebbe un tempo esteso che questa contemporaneità non è più disposta a concedere, e il turbamento di Vlahovic alla corte dei bianconeri passerà nell’attimo fuggente tra una notizia e un’altra notizia, per poi tornare nella quiete rassicurante della cuffietta collegata allo smartphone. Prendere letteralmente a calci la mistica è diventata una tale consuetudine da non comprendere fino in fondo il significato della scelta di comprare forsennatamente tutto su Amazon o di disertare lo stadio, luogo dove ciclicamente si compie un rito ancora tanto amato e seguito.
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Si trova sempre una buona scusa per scegliere di chiudersi in casa, e ad essere sinceri è proprio il rifiuto alla vita a impressionare chiunque abbia la ventura di mettersi ad osservare sul serio la realtà contemporanea. Il tempo libero (arte, musica, sport, libri, cinema, teatro) è stato appaltato alla teoria del consumo rapido, efficiente e controllato, e tutto è stato fatto con la nostra approvazione complice. Dusan Vlahovic, firmando per i bianconeri, ha scelto esattamente come sceglierebbero quasi tutti i suoi contemporanei posti davanti all’enigma se scegliere la forma o la sostanza: la forma dei soldi e dell’ambizione ha fatto dimenticare in fretta ogni possibile riferimento alla sostanza, che nel calcio è altro rispetto ai soldi dall’inizio dei tempi del gioco più seguito al mondo. Il giocatore serbo è figlio del “calcio spezzatino” in tv per invogliare una potenziale audience a consumare più eventi possibili e andando ad occupare così quanto più tempo libero possibile nell’interesse del mercato pubblicitario e di quello, molto ben più lucroso e molto più ben nascosto, dei dati da noi forniti ogni volta partito un click da un nostro dispositivo digitale. Il “calcio spezzatino” ha avuto il potere di stravolgere il consumo delle vicende delle gesta “pedatorie” allo stesso modo in cui il “binge-watching” (visione senza sosta di una serie tv) inventato da Netflix ha cambiato ogni regola di consumo dell’audiovisivo in tv: è il trionfo della marathon viewing, è l’annichilimento fino alla stupidità delle nostre coscienze. Tutto ciò, per motivi magari da raccontare in un altro scritto, ha creato uno squilibrio reale tra il rischio di insolvenza finanziaria cronica e la grande mole di denaro a debito messa in circolazione nel sistema calcio.
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Dusan Vlahovic alla Juve è il risultato perfetto del quadro fin qui delineato ed è proprio per questo che forse sarebbe quasi inutile gettargli una croce addosso. Il calcio è diventato un colosso dell’Economia dell’Attenzione e si è dotato di un ecosistema coordinato atto a massimizzare a vantaggio dei suoi protagonisti ogni relazione finanziaria da lui prodotta. Dovrebbe intervenire la politica per bloccare lo scempio in atto, ma ho il sospetto come essa consideri quanto si stia avvenendo il futuro ineluttabile. Il futuro… quanto è manipolabile il futuro. Qualcuno ha detto come la forza di gravità spieghi in modo chiaro perché qualcosa cade al suolo, ma come stia a noi decidere se far cadere dall’alto un incudine o un salvagente. Questa decisione, se presa, potrebbe ancora ridefinire tutto. Almeno spero.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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