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Giù le mani dal Covid

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Loquor / La rubrica di Anthony Weatherill torna e cita Sant'Agostino: "Le parole non sono state inventate perché gli uomini si ingannino
Anthony Weatherill

“Le parole non sono state inventate

perché gli uomini si ingannino”.

Sant’Agostino

Il 15 giugno 1215 Re Giovanni Senzaterra(“Lack Land”) su un vasto prato di Runnymede, una ridente località nei pressi di Londra, concesse ai nobili in rivolta  la “Magna Charta”, che di fatto sanciva una rivoluzione copernicana  nei diritti feudali che regolavano i diritti con la Corona. Questo documento, considerato il primo atto sottoscritto a garanzia delle libertà individuali, stabiliva come anche il re dovesse rispondere alla legge. Da quel giorno dell’estate del 1215 si stabilì che i sudditi del Regno erano di certo sottoposti all’autorità di un re ma non più al suo arbitrio. E’ in quel momento che nasce lo stato di diritto, e non sarebbe stato più possibile negare l’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge come concreta ed auspicabile aspirazione. La “Magna Charta” pone, attraverso la legittimazione di un parlamento come istanza suprema di un popolo, un limite invalicabile per ogni tipo di potere, oltrepassato il quale tutte le genti avrebbero avuto la contezza di trovarsi davanti ad una dittatura. Da quel momento ogni inglese venuto al mondo sarebbe stato disponibile anche a morire non per un sovrano, ma per l’Inghilterra.

L’Habeas Corpus, cioè il principio legale e costituzionale in cui un arrestato deve conoscere la causa del suo fermo e di vederlo convalidato da un magistrato, fu il completamento di un percorso in cui l’Inghilterra indicò una robusta diga contro ogni prevaricazione e abuso di potere. Ma se un tempo il potere assoluto da temere era quello dei sovrani, sempre inclini alla tentazione di darsi all’autoritarismo, oggi le cose, quando si tratta del potere, si sono fatte più complicate e nebulose. La sensazione,in molti settori dell’opinione pubblica, è quella di essere soggetti ad una progressiva sottrazione di libertà da parte di elite guidate da obiettivi chiari e meno chiari.  Nel piano più alto dello sport italiano, ossia quello del presidente del Coni Giovanni Malagò, si cominciano ad avvertire i primi malumori dissonanti dall’attuale governo. Malagò qualche giorno or sono si è chiesto perché, in tema di ripresa delle attività, non si possano affrontare contemporaneamente sia quella della scuola, che quella dello sport. “Non si parla solo di calcio ma degli altri sport,professionistici e non,che sono davvero in difficoltà e non hanno gli introiti dei diritti tv a farla da padrone”, ha detto l’uomo più potente dello sport italiano. Come sono lontani i tempi in cui Malagò si sbracciava per far vedere all’opinione pubblica come fosse estremamente empatico con tutte le misure anti covid del “Governo Conte”.

Erano i giorni dello slogan surreale “andrà tutto bene”, mentre tutto attorno deflagrava, creando le premesse di una delle più spaventose crisi economiche e sociali che l’Italia abbia mai conosciuto. Erano i giorni delle continue polemiche con il calcio e con Gabriele Gravina, reo agl’occhi del presidente del Coni di provare disperatamente a cercare una soluzione per la ripresa dei campionati di calcio. Era facile sparare sul presidente della Federcalcio, perché l’emotività pubblica aveva aderito completamente, e assai acriticamente, alla necessità di chiudersi in casa senza porsi un perché, e senza essere più capace di pensare una frase preceduta da un “ma”. I potenti d’Italia, o i supposti tali, avevano ben compreso come il potere main stream avesse deciso di dettare la linea della paura come deterrente perfetto contro ogni “perché” potesse farsi largo nell’opinione pubblica. C’era un virus sconosciuto da contenere e, per la prima volta dopo decenni, si era deciso di tenere  pubblico il conto dei decessi per un morbo che continua a fare paura come nemmeno era successo in società più primitive, prive persino dell’aiuto della chimica attraverso i medicinali. I Malagò della situazione, essendo consci del turbamento e della rabbia presenti nella pubblica opinione, avevano usato parole facili per non farsi accusare di essere “ignoranti”, “negazionisti”,”cinici davanti alle morti”, e quant’altro da una collettività, cinta da  un’atmosfera da “fine del mondo”, potesse generare come accusa. Bisogna tenere presente come oggi si viva in una società dove prima degli oneri delle responsabilità, contano i “like” sotto un video o una foto su instagram.

Ma dopo la sbornia delle parole facili a dirsi per ingraziarsi i terrorizzati, la realtà è tornata a bussare alla porta anche dello sport.  In una situazione in cui studi autorevoli sostengono che, forse, i tassi di crescita nello sport pre-covid potrebbero tornare non prima del 2025, Malagò ha compreso come un dirigente sportivo di alto livello, non sia proprio un passante al quale basta chiudersi in casa nell’illusione sia la soluzione ad ogni problema. In Italia milioni di persone  a vario titolo in relazione con lo sport, fosse anche solo quello di semplice spettatore, attendono una soluzione allo stato di blocco totale voluto da tutte le decisioni governative in difesa dalla pandemia da corona virus. Ma il presidente del Coni, forse per la prima volta nella sua vita, sta scontrandosi contro un potere che, diventato “leggermente” arbitrario, ha come principale caratteristica quello di essere sfuggente e difficilmente inquadrabile. Perché la “Magna Charta” ha sì cominciato il lungo cammino dell’occidente verso la possibilità di ogni individuo di appropriarsi della sua libertà rispetto al potere, ma non ha potuto chiarificare,per ovvie ragioni, come e in quante modalità il potere si sarebbe manifestato nel corso dei secoli. La questione è importante perché, partendo dal principio della necessità di avere una forma di potere a portare un ordine e una visione nelle questioni sempieterne di una qualsiasi organizzazione sociale, risulta importante e decisivo essere perfettamente a conoscenza di chi e in nome di che cosa il potere si esercita. Malagò, a mio avviso giustamente, chiede lumi sul perché mentre il Ministro dell’Istruzione si occupa della riaperture delle scuole, il suo omologo dello sport non possa occuparsi della ripresa dello sport in Italia.

E’ la sensazione sempre più evidente, con il quale il presidente del Coni si sta scontrando, è quella di come non sia Vincenzo Spadafora, l’attuale Ministro dello Sport, il vero decisore di una possibile ripresa dello sport in Italia. E non solo allo stato attuale non si capisce da quale parte dovrebbe arrivare il via libera allo sport italiano, sono oscuri anche i motivi per cui lo sport continua a rimanere bloccato ai nastri di partenza. “Molte associazioni sono disperate. E’ anche vero che non mi occupo della parte tecnica post coronavirus: se il Cts ha dei motivi per fare questo non possiamo che rispettarli”, era una delle tante dichiarazioni rilasciate fino a qualche tempo fa da Malagò, dove l’attenzione del lettore dovrebbe cadere su un presidente del Coni che sottolinea di essere all’oscuro (“se il Cts ha dei motivi”) sulle strategie governative della gestione post coronavirus. D’altronde si sa come per molto tempo su tutte le relazioni del Cts sia stato posto il “Segreto di Stato”, e come solo dopo molte rimostranze delle opposizioni solo alcune di esse siano state rese note. Non rendere la conoscenza delle motivazioni di provvedimenti di restrizioni di qualunque forma di libertà, è una violazione chiara, da parte del potere di un qualsiasi Stato, dei principi dell’Habeas Corpus, garantiti in Italia dall’art.13 della Costituzione. Dovrebbe essere evidente, a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di seguire la lettura dell’articolo fino a questo punto, come ad un alto dirigente di un’importantissima istituzione dello Stato, siano tuttora tenuti nascosti i motivi delle restrizioni a cui è sottoposto il mondo, quello dello sport, da lui presieduto. Nessun presunto rispetto delle morti può consentire ad un potere politico un azione così soverchiante e palesemente anticostituzionale. Perché se giustamente si deve rispetto a chi ha lasciato la vita di fronte ad un virus maledetto, altrettanto rispetto si deve per chi ha sacrificato la sua vita,e sono stati tanti, per cui tutti noi si potesse godere dell’Habeas Corpus. La libertà è il valore più alto di tutti, perché non sostanzia la lunghezza di una vita, ma la sua qualità. “Trovo vergognoso che tante associazioni sportive non possano usare le palestre scolastiche, si è deciso di mettere in competizione lo sport e l’istruzione”, è stato l’urlo impotente di Malagò, caduto lontano dall’attenzione della pubblica opinione, che in questo frangente pare poco incline ad accettare qualsiasi tipo di controversia sulla questione covid. Ma Solone, uno dei più importanti giuristi dell’antichità, aveva giudicato la mancanza di controversie tra i cittadini alla stessa stregua di un crimine. Non può esserci libertà senza dibattito, e senza libertà non può esserci vera vita. Questo dal 15 giugno 1215 sembrava essere chiaro, ma è bastato un virus per cancellare 800 anni di storia, o almeno così parrebbe. Non sarebbe male cominciare ad interrogarsi su cosa veramente si voglia per le generazioni future. Senza paura, senza pregiudizi e, soprattutto, senza rabbia.

Di Anthony Weatherill

(ha collaborato Carmelo Pennisi)

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.

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