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Gli stipendi di Conte e Messi

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Loquor / Torna l'appuntamento con Anthony Weatherill. La citazione della puntata è di Jodorowsky: "Viviamo nelle idee, nelle emozioni, nei desideri e nei bisogni"
Anthony Weatherill

“Viviamo nelle idee, nelle emozioni,

nei desideri e nei bisogni”.

Alejandro Jodorowsky

Nella diatriba dai contorni un po’ nebulosi tra Antonio Conte e la dirigenza dell’Inter, risoltasi nel giro di pochi giorni, un particolare ridestato all’attenzione del pubblico mi ha colpito, suscitandomi qualche riflessione: i dodici milioni di euro netti all’anno dell’ingaggio del tecnico salentino. All’inizio della mia riflessione ho provato a resistere tenacemente alla tentazione di avere qualche imprecazione di stampo retorico/populistico contro uno stipendio dai contorni scandalosi, perché non volevo fare con me stesso la figura di colui che si affaccia dalla finestra solo per notare, con invidia malcelata, quanto sia più bello il giardino del re. Ma poi, per puro caso, l’attenzione mi è caduta su una disinvolta analisi di Alfredo Pedullà, noto giornalista sportivo ed esperto di mercato, in cui si è asserito come un arrivo di Leo Messi all’Inter non sia impossibile, grazie alla legge che permette ai lavoratori stranieri appena giunti in Italia di non pagare più di centomila euro di tasse, indipendentemente dall’ammontare dell’emolumento. “ A Messi, grazie a questa legge, l’Inter potrebbe garantire 50/60 milioni di euro netti l’anno con relativa facilità”, ha detto Pedullà, senza che nello studio televisivo di “SportItalia” volasse una mosca di qualche rimostranza.

A quel punto, come sovente mi capita, il mio pensiero è stato invaso da rimandi confluenti in altri rimandi. Alla fine della prima decade del nuovo millennio, in un Messico dove da sempre una grande porzione della popolazione vive sotto la soglia della povertà, erano fioriti quattordici miliardari, tra cui quel Carlos Slim da anni posizionato stabilmente in una delle prime cinque caselle nella classifica degli uomini più ricchi del mondo. L’esempio del Messico racconta di una sperequazione sempre più ampia tra le élite e tutto il resto delle classi sociali, e nelle élite, ormai da alcuni decenni, sicuramente un posto di rilievo sicuramente riservato a chi si occupa di sport ai massimi livelli. E non solo, attenzione, perché gli sportivi sono diventati una notevole forza economica, ma anche perché sono diventati dei potenziali testimonial per ogni qualsivoglia esigenza delle élite dominanti. La potenza della immagine degli sportivi viene usata come mezzo di persuasione estremamente invasiva non solo per indirizzare i nostri desideri, ma anche per modificare la percezione di cambiamenti culturali, quindi anche comportamentali, delle masse. Ma si hanno anche altre urgenze.

I super, e scandalosi, compensi di un Antonio Conte o di un Lionel Messi sono stati, e sono, la spia di uno sconquasso di valori etici e morali di una cultura europea dipanatasi nei secoli, e che fino ad un certo punto della sua storia aveva ben chiaro tutte le questioni di senso, e soprattutto aveva delimitato in modo preciso alcuni confini. Le classi sociali, tutte, respiravano le cascate di idee che il cristianesimo e il socialismo distribuivano a piene mani, solide basi su cui costruire reticoli di opportunità confacenti all’uomo europeo costituitesi dall’esistenzialismo della filosofia greca, dal pragmatismo etico del diritto romano, dall’avvenimento del cristianesimo e dal marxismo che ne è stata una delle più popolari emanazioni. Perché deve essere chiaro come senza la costruzione etico/morale del cristianesimo, una cosa come il marxismo non avrebbe potuto nemmeno essere ipotizzata dalla più fervida delle immaginazioni. Tutte queste tappe importanti della storia della cultura e del comune sentire delle genti europee, hanno avuto tutte il desiderio insopprimibile di realizzare una società dove il “Kata Metron”, la giusta misura degli antichi greci, fosse la stella polare di ogni tipo di raggiungimento di un sentire la felicità. Il calcio ha sempre avuto ben presente come non si possa sentire o provare felicità se nel corso della sua messinscena sussiste il problema della prevaricazione. Questo perché lo sport moderno, formidabile invenzione europea, ha sempre avuto ben chiaro una verità incontrovertibile: non si può provare felicità di fronte all’annichilimento dell’altro. Piaccia o meno, e su questa aspirazione che il Vecchio Continente ha camminato nel corso dei secoli.

È stato un cammino doloroso, pieno di ombre e di lutti, e anche sovente contraddittorio. Ma le dichiarazioni di principio degli europei, hanno sempre teso a cercare quel senso del limite, giusta premessa per tutti di trovare un posto agevole nel mondo e una legittima speranza di contendibilità dei privilegi. Aver reso contendibili i privilegi è stata una delle ragioni del successo del calcio, come punto di equilibrio tra realtà e sogno nonché come uno dei massimi punti d’incontro pacifico di un intero continente. L’aspetto culturale in comune ha fatto sì come ognuno conoscesse un limite oltre il quale era inopportuno andare. Ma da un po’ di anni in Europa c’è stato un progressivo ed inesorabile sgretolamento dell’identità culturale, con la conseguente perdita di qualsiasi orientamento filosofico/esistenziale. Ognuno da queste parti, ormai, fa come meglio crede, e dà le opinioni che crede, senza aver nessun punto di riferimento se non sé stesso e i suoi bisogni soggettivi. C’è stata una totale, e scellerata, rimozione dei bisogni oggettivi, salutata con giubilo dalle generazioni disgraziate degli ultimi cinquant’anni. Fatto morire il concetto di Dio e aver riposto in un cassetto, come un inutile orpello, gli interrogativi marxiani solo perché era caduto un muro dalle parti di Berlino, ha aperto le strade ad altre forze culturali, dotate di compattezza identitaria e di chiarezza di obiettivi.

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Non deve sorprendere, quindi, se le società desiderose di accaparrarsi le costose prestazioni calcistiche di Leo Messi siano in mano alla Cina e a stati mediorientali. Paris Saint Germain, Manchester City e Inter sono, di fatto, diventate oggetto di investimenti statali, con una ingente potenza di fuoco economico possibile solo per uno stato. Nessuno si è reso conto come questi stati (Qatar, Emirati e Cina) siano entrati a piedi uniti su un meccanismo, quello del calcio del Vecchio Continente, costituito da regole, rispettate da tutti perché culturalmente riconosciute, garanti del suo sano perpetuarsi. I fondi sovrani di questi stati hanno trasformato un bisogno cultural/esistenziale come il calcio, in un semplice mezzo per il raggiungimento di scopi. Ecco perché il Qatar non ha avuto scrupoli di inondare inopportunamente il calcio europeo di soldi asimmetrici con il reale stato dell’arte della sua economia; l’obiettivo era, ed è, il raggiungimento di un proprio scopo egemonico nello scacchiere geopolitico mondiale. I soldi, purtroppo, trovano sempre un’avidità in attesa di farsi corrompere, tesa a guardare esclusivamente il proprio orticello. Pare come uno dei problemi di Messi, in questo momento, sia andare a giocare in un posto dove si paghino meno tasse possibili, per lucrare al massimo un talento ricevuto gratuitamente dall’Eterno, esattamente come gratuitamente dall’Eterno i Paesi mediorientali hanno ricevuto in abbondanza giacimenti di gas naturale e petrolio.

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C’è qualcosa di perverso, a mio parere, nell’essere avidi attraverso qualcosa ricevuto in dono. Ma forse, con l’età, sono diventato eccessivamente moralista. Per un conglomerato cinese, di cui la famiglia Suning è solo gestore per conto dello stato, deve essere sembrato normale fare un investimento di più di venti milioni di euro (perché questo è lo stipendio reale di Conte a carico dell’Inter) su un allenatore, perché è sulla nuova “Via della Seta” che la Cina sta investendo, e niente deve sembrargli troppo oneroso per questo fine. Il silenzio negli ospiti presenti nella puntata di “SportItalia” sull’assurda ipotesi di stipendio di Leo Messi all’Inter, più che omissivo è stato segno di indifferenza. E c’è qualcosa di osceno nell’indifferenza, perché da sempre questo è segno tangibile della perdita di umanità. Ma qualche sacca di resistenza, almeno nel calcio, pare ancora esserci. Il Bayern di Monaco vincitore della Champions con una squadra non costata poco, ma il giusto per permettere al club bavarese il 27° bilancio in utile di fila, è un inno al ritorno a pensare da europei. L’Atalanta della famiglia Percassi che sta costruendo qualcosa di tangibile nel tempo per un territorio, è un rievocare la grandezza etico/morale dell’Italia dei Comuni. Il Manchester United di Ole Gunnar Solskjaer tornato a puntare sui giovani, è un aver riscoperto le radici primarie del club mancuniano. Sono sacche di resistenza, ma sono lì a dimostrare come l’anima dell’Europa non sia ancora morta. Nonostante gli stipendi di Messi e Conte. Nonostante il silenzio indifferente di uno studio televisivo.

(ha collaborato Carmelo Pennisi)

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Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.

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