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I “ma anche” di Urbano Cairo

"Capita di imbatterti in una intervista a Urbano Cairo e ti chiedi cosa sia rimasto realmente dello spirito del calcio originario..."

“La politica è un problema esclusivamente economico”

Charlie Chaplin

Capita di imbatterti in una intervista a Urbano Cairo e ti chiedi cosa sia rimasto realmente dello spirito del calcio originario nel caravanserraglio di interessi e di idee che ormai affollano il nostro orizzonte quotidiano. “Sono un po’ milanista e un po’ torinista” dice il presidente del Toro e subito ti vengono in mente tutte quelle persone della sinistra nostrana guidate dalla convinzione profonda di proclamarsi progressisti, capitalisti e atlantisti. Non si riesce a trovare un filo logico in questo modo di porsi nemmeno facendo ricorso alla categoria filosofica del “pensiero debole” di Gianni Vattimo o alla “fine della storia” di Francis Fukuyama. La sensazione, assai palpabile, è quella di un paraculismo di maniera, adatto a rimescolare continuamente le carte e far si che si cada comunque sempre in piedi. Non importa la coerenza e non importa nemmeno il dna, importa esclusivamente il risultato che si vuole raggiungere. Cairo appare l’amico della porta accanto mentre si fa intervistare da Alessandro Alciato, distribuisce sorrisi e aneddoti con la sicumera di chi sta dicendo la verità. E nel suo intimo probabilmente ne è veramente convinto, come nella più classica situazione da “sindrome da Silvio Berlusconi”.

Essere un po’ e un po’ di due squadre è qualcosa che non si può sentire nel calcio, è provare a limonare con i tifosi granata in realtà perfettamente consapevoli come lui, Cairo, in realtà sia tifoso del Milan e senza un po’. Niente di male provare a sedurre, per carità, ma infastidisce leggermente questo prendere la sacralità del calcio e svilirla in  nome di una storia immaginaria piacevole da raccontare, come se poi Claudio Lotito non fosse tifoso della Roma e Aurelio De Laurentiis del suo ego spropositato. Gerry Cardinale si è preso il Milan e non ha provato a dire di averlo fatto per onorare una promessa fatta a suo nonno emigrato in America ma con i rossoneri nel cuore. Gli americani sono americani, e quando si tratta di affari non hanno bisogno di giustificarli con nessun tipo di sentimentalismo di facciata. Fare affari per loro, da buoni epigoni della cultura protestante, è il senso del sacro a cui ogni buon americano aderisce sin dalla nascita.

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E’ difficile capire cosa pensi sul serio il proprietario del Corriere della Sera, unico editore della storia di cui non si riesce a individuare quali siano gli ideali politici ai quali realmente tenga. Capace di mettere in piedi l’unica tv bolscevica dell’occidente, roba da far impallidire la “Pravda” dei giorni gloriosi della “Terza Internazionale”, non ha mai mostrato il pervicace furore di un Carlo De Benedetti perennemente a caccia di fascisti o di berlusconiani doc. La lotta ideologica pare non interessargli, forse perché “un pò e un pò” è il vero sentimento esistenziale a cui si attiene. Lui fa l’editore con occhio al profitto, e finché quest’ultimo è salvo i giornalisti dettino la linea politica a loro più gradita. Tanto lo sanno tutti che lui c’entra con il bolscevismo come Rocco Siffredi con la verginità. Gli piace da morire il “ma anche” coniato da Walter Veltroni, subito arruolato come penna dorata della “Gazzetta dello Sport” non appena quest’ultimo ha lasciato la politica. Un presidente del Toro che assolda uno juventino doc a pennellare storie di calcio è un vero colpo da maestro.  Devono essersi capiti al volo lui e il Valterone nazionale, il quale un giorno negò in una celebre intervista di essere mai stato comunista, o forse solo un po’ prima di essere conquistato dal mito di Robert Kennedy e da un atlantismo che avrebbe fatto venire i capelli dritti ad Enrico Berlinguer.

Ci si acconcia una storia per far accettare una evoluzione, attenti a non dare mai l’idea di aver abbracciato qualcosa di definitivo in modo da essere pronti alla filosofia dell’un pò questo e un pò quello. A volte ha la capacità, in nome di chissà quale strategia di marketing o di un maldestro tentativo di accaparrarsi la simpatia dei tifosi granata, di fuorviare completamente le attese delle persone, ed ecco allora organizzare l’inizio del Giro d’Italia il 4 maggio con una tappa a Superga e dintorni. “Omaggio ai 75 anni della tragedia di Superga” dice con un sorriso a trentadue denti tipico del venditore di spazi pubblicitari, un omaggio che forse sarebbe stato più opportuno fare il 5 o il 3 maggio per non disturbare una giornata sacra per ogni tifoso granata che si rispetti. Ma se sei un po’ del Milan è comprensibile come si possano prendere simili scivoloni. Il sorriso bonario e l’armamentario a volte da fancazzista scompaiono quando si parla dell’unica cosa con cui ha veramente empatia, ovvero i fatturati e i ricavi. Il volto gli si trasfigura e la postura diventa una via di mezzo da quella immaginata da William Shakespeare per il suo Shylock de “Il Mercante di Venezia” e lo Zio Paperone disegnato da Walt Disney. Si vede che soffre a parlare di denaro, esattamente come un maratoneta a fine gara in evidente crisi da debito di ossigeno. Non sa più cosa fare per convincere lo Stato italiano, e quindi la fiscalità generale, a concedere al calcio degli aiuti economici, non esitando ad attaccare a testa bassa il cinema, che deve stargli proprio sulle scatole, reo di godere di un “tax credit” che lui vedrebbe bene spalmato anche sul mondo del calcio. E’ una eresia concettuale ed economica che sorprende in una mente brillante come quella di Urbano Cairo, al quale va riconosciuta una patente da fuoriclasse come editore.

Mettere il calcio a livello del cinema fa davvero impressione, considerato come il calcio abbia una potenza di fuoco e di seduzione da far impallidire la settima arte. L’ossessione per il “tax credit” sta facendo perdere di vista al presidente del Toro, e non solo a lui, una possibilità ben più interessante e con un plafond ben più capiente di una agevolazione fiscale. I fondi del PNRR potevano e potrebbero ancora essere una occasione unica per pensare ad un progetto di sistema per riformare e rilanciare il nostro sport nazionale. E’ davvero incredibile come la Lega Calcio e la FGCI non abbiano ritenuto di seguire l’esempio di Margaret Thatcher dopo la stesura del “Rapporto Taylor”, che mise a disposizione un fondo cospicuo per rinnovare o costruire ex novo le infrastrutture necessarie per la fruizione del calcio. Il successo della “Premier League” parte da quella storica decisione della “Lady di Ferro”. Legare la questione infrastrutturale alla riqualificazione urbana e alla valorizzazione dei territori poteva, e potrebbe, essere una delle idee che il governo sta disperatamente cercando per mettere a frutto con profitto una mole di soldi presi a debito attualmente difficile da capire come collocare. Inoltre sarebbe una grande occasione per una patrimonializzazione di tutti i club della nostra massima lega professionale. Parliamo di finanza d’impresa e di espansione, e non di un modesto ricorso alla leva fiscale. Ma Cairo è persona da “contenimento”, da “possesso palla” lasciato agli altri in attesa che la buona stella faccia scendere i suoi miracoli anche sui suoi affari. L’idea è quella di convincere la politica, attraverso la tecnica dello stordimento portata avanti nel Vangelo dalla vedova sul giudice, di salvare il calcio italiano attraverso modeste elargizioni di denaro.

Lo schema, molto in voga dalle nostre parti, è quello classico della questua, perché, mi si perdoni la malizia, la questua ha il pregio di non lasciare mai tracce del suo utilizzo. Cairo prova a dire ad Alciato che con i soldi della questua si potrebbero costruire gli stadi di proprietà, ma si capisce dal tono della voce e dall’espressione del viso come non ci creda minimamente. Alciato non prova nemmeno per sbaglio a chiedergli quale sarebbe la sua idea di calcio, e nemmeno un accenno sull’aumento continuo dei ricavi che puntualmente finiscono nelle tasche di tutti i protagonisti dello sport più seguito al mondo prova a fare e non nella diminuzione dell’indebitamento dei club(sembra la stessa storia del nostro debito pubblico). Il giorno in cui si è smarrito il giornalismo, si sono smarrite anche le notizie e la voglia di procurarle. Cairo ha una sua cifra di simpatia e a tratti ti sembra persino bonario, la sua intenzione di metterti a tuo agio appare evidente. E’ come una rubrica di un periodico per casalinghe: rassicurante, accogliente e prodigo di consigli per vivere meglio il quotidiano. Alla fine dell’intervista ti chiedi cosa realmente ti abbia voluto raccontare, se ti abbia concesso qualche suggestione a cui appenderti per provare a sognare. Ma non riesci a trovare niente perché ormai i presidenti delle squadre di calcio sono semplicemente dei “razionalizzatori” di risorse. Tutto è un pò e un po’, un “ma anche” che se davvero si appalesasse allora sì che arriverebbero vittorie epiche. Il calcio contemporaneo è in mano a ragionieri più che ai filosofi, e in questo contesto vale una sola massima: la cosa più rischiosa da fare è stare al sicuro. E su quest’ultima cosa Urbano Cairo davvero non teme rivali.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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