“Gli opposti coincidevano,
Loquor
I video di Pavel Nedved
per non farsi afferrare”.
Marcello Veneziani
L’epica del Leicester di Claudio Ranieri parte da una camera d’albergo di Bangkok nell’estate del 2015, ed esattamente con l’idea di tre giocatori del club delle Midlands (James Pearson, Tom Hopper, Adam Smith), spediti in Thailandia per una vacanza premio ottenuta grazie ad una salvezza insperata in Premier League, di organizzare un festino hard con una ragazza del luogo, oggetto di commenti razzisti nel corso della performance. I tre “geni” pensano bene di filmare tutto l’incontro e di condividere il video con gli amici, perché quando il cervello è solo un mero apparato biologico non si riesce proprio a resistere di rendere la cosa ancora più chiara a tutti i conoscenti, ove mai a qualcuno fosse rimasto ancora il dubbio dell’esistenza di un qualche suo piccolo segnale di vita.
L’opera artistica finisce nelle mani del “Mirror”, al quale non par vero di poter pubblicare il resoconto filmato di tre disgraziati noti solo per una sorte benevola nel dargli un talento particolare nella pratica dello sport più seguito al mondo. La cosa assume un contorno ancora più drammatico/grottesco dato che il padre di uno dei tre sciagurati, Nigel Pearson, è l’allenatore delle “Foxes”, mentre il proprietario del club, Vichai Srivaddhanaprabha, è uno degli uomini più ricchi proprio della Thailandia. In Italia sembrerebbe la trama di un “film di natale” prodotto da Aurelio De Laurentiis (solo in Italia si possono chiamare “film di natale” le vicende cinematografiche dal sapore pecoreccio della coppia Boldi/De Sica) o dai fratelli Vanzina, ma in Thailandia e in Inghilterra la cosa prende una piega assai più seria, con il licenziamento in tronco dei tre fenomeni più l’allenatore travolto dalla vicenda anche perché genitore di uno dei tre sciagurati.
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Con il campionato alle porte e con la grana di aver allontanato l’artefice della miracolosa salvezza della sua squadra, Vichai si guarda attorno alla ricerca di un nuovo condottiero da mettere in panchina e la scelta ricade su Claudio Ranieri e la sua leggendaria capacità di aggiustare le cose, qualsiasi cosa. Tutto il resto diventerà poi, secondo alcuni, la più bella favola dello sport moderno. In quell’estate del 2015 licenziare Nigel Pearson deve essere apparso a Vichai un pericoloso salto nel vuoto, quasi un maldestro tentativo di suicidio sportivo con una prossima retrocessione in Premiership (la serie cadetta inglese). Era impossibile prevedere come avrebbero preso questa decisione i tifosi, forse sarebbero rimasti stupiti da un provvedimento così draconiano rispetto a qualcosa in fondo di molto privato come un festino a luci rosse. E poi perché licenziare l’allenatore, per nulla coinvolto nelle prodezze dei tre fenomeni?
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Questa è una domanda che nell’Italia contemporanea apparirebbe del tutto plausibile, in quanto esiste una modalità di pensiero colpita da sincero stupore di fronte all’importanza eccessiva data a certi avvenimenti rubricati come momenti di legittima goliardia poiché compiuti nella vita privata. Nessun giornale italiano si scandalizzerebbe più di tanto se qualche giocatore decidesse di “divertirsi” un po’, specie se si trovasse in un contesto di vacanza premio. Anzi, se qualcuno provasse ad alzare il dito per ricordare come esista qualcosa chiamata sociologicamente “concetto di ruolo”, ovvero una nostra riconoscibilità precisa in un contesto sociale, sarebbe immediatamente oggetto di contumelie e rubricato come un bacchettone moralista, nel migliore dei casi, oppure come inguaribile invidioso. La qual cosa è ciò che sta succedendo nella triste, e anche un po’ patetica, vicenda dei video di Pavel Nedved postati di recente in rete, in cui si vede il dirigente della Juventus camminare barcollando in stato di ebbrezza per le strade notturne di Torino e in atteggiamenti volgarmente intimi con un paio di ragazze.
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Nel clima di relativismo morale in cui siamo immersi da più parti si sta sostenendo come nel privato si possa fare ciò che voglia, concetto sdoganato e affermatosi in Italia in questi ultimi due decenni a causa di note vicende. Appare normale un “privato” in cui si possa perdere ogni freno inibitorio, in fondo è giusto ogni tanto rilassarsi dopo giornate di lavoro assai faticose, e poi ognuno di noi, sostengono i relativisti morali, avrebbero voluto essere al posto di Pavel Nedved a palpare il seno a due belle ragazze ed essere ripresi goliardicamente da uno smartphone. E in questo clima da declino etico/morale di una civiltà se non si è disposti ad ammettere ciò è solo perché pervasi da invidia e “rosicamento” incontenibile. Lo spirito del tempo, o almeno una larga parte di esso, vorrebbe costringere ad essere tutti complici, come quando qualche secolo addietro si metteva il “postribolo” più o meno al centro della città sancendo così l’uso comune necessario e inevitabile delle “meretrici”. La logica del “così fan tutte/i” di mozartiana memoria sta riscuotendo un successo incredibile dalle nostre parti, perché è un rassicurante metodo di assoluzione da qualsiasi colpa. È l’inebriarsi di aver rotto qualsiasi recinto portando in trionfo un’anarchia sociale presto confusa con il concetto di libertà. Gli inglesi sono degli inguaribili bacchettoni e puritani, per questo hanno licenziato Nigel Pearson e i tre giocatori, di certo non perché quando rappresenti una squadra in qualche modo sei una sorta di “cartolina” di una città, di una tradizione, di una memoria.
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Queste cose, per i fautori “nel privato faccio quel che voglio”, sono residuati ridicoli del secolo scorso. Ora la società è progredita, si è addirittura liberata. Poco importa, tra l’altro, come Nedved, nel contesto dei video, non si trovasse esattamente nel privato ma in mezzo ad una pubblica strada e in una festa in un altrettanto pubblico locale. Secondo i fenomeni della libertà ad ogni costo quando chiudi la porta dello “Juventus Stadium” irrompi nel privato assurto a sacro ed inviolabile. Alcuni giornali (si veda ad esempio il Corriere della Sera) raggiungono vette di complottismo quasi comico nel tentativo maldestro di percorrere trame complottistiche con stilemi letterari alla Robert Harris, ecco quindi farsi largo il motivo vero per cui quei video un po’ datati sarebbero stati dai in pasto alla rete: l’ex giocatore ceco è un uomo di Andrea Agnelli senza se e senza ma. Dopo averci regalato questa sorprendente rivelazione, il quotidiano di Via Solferino si dice quasi certo di una operazione da fango mediatico messa in piedi non tanto per colpire il dirigente juventino, ma per mettere ancora più in crisi la figura del suo presidente reo di essersi preso nove scudetti consecutivi e di stare dando battaglia per il progetto della SuperLeague. “I nemici, volendo, non mancano” chiosa enfaticamente il “Corrierone” riuscendo nell’impresa di far apparire Andrea Agnelli un eroe assediato insieme ai suoi colonnelli. Lirismo comico puro.
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Non meno comico è, da parte di alcuni, aver addossato la principale responsabilità dell’accaduto a chi ha postato i video in rete, riuscendo nel classico esercizio di guardare il dito che sta indicando il precipitare della Luna, invece di osservare la rovinosa caduta. Non aver compreso come la struttura etico/morale non possa essere distinta tra un momento pubblico e uno privato, poiché essa è fondata su soggetti che danno senso compiuto alla società, è lo psico/dramma messo in scena da tempo in tutte le rappresentazioni del nostro Paese. È la bugia delle bugie imposta per la semplice comodità di avere una scappatoia per una facile assoluzione dall’aver trasgredito i doveri di un ruolo che comporta onori e oneri. “Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto” scriverebbe il poeta John Donne, sottolineando come nessuno sia un’isola. Non si tratta di crocifiggere Pavel Nedved, sia chiaro, ma di ricordare a lui e a tutti noi l’esistenza della “responsabilità”.
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Nel licenziamento in tronco di Nigel Pearson, apparentemente incolpevole delle sciagurate gesta dei suoi tre giocatori, si riscontra quella visione esistenziale vittoriana ancora in vita in Inghilterra tesa a difendere strenuamente l’uomo comune, la verità della tradizione e le favole. Bisogna ritrovare la capacità di essere persone ordinarie anche quando la straordinarietà (l’essere ad esempio un potente dirigente di un club calcistico o un allenatore) potrebbe far pensare di poter essere anarchici senza doverne trarne le conseguenze. Questa tendenza all’anarchia delle persone straordinarie ha portato come risultato dei tempi assai ingiusti, a cui si dovrebbe porre prima o poi rimedio. Se non lo si farà, usando le parole di Gilbert K. Chesterton, “ciò graverà pesantemente sui vivi. E non sarà sui morti che graverà il disonore”. L’onore… questo sentimento così dimenticato.
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