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Igli Tare e i miracoli del calcio che fu

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Torna l'appuntamento con 'Loquor', la rubrica di Carmelo Pennisi: "Igli Tare è stato fuggitivo, profugo, esule, un solo paio di scarpe, un giardiniere, ma il suo destino è sempre stato lì, su un rettangolo da gioco..."
Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 

“Cavolo. Sei bravo”

Thomas Hassler

Qualcuno ha scritto come “nessuna rivoluzione si compie davvero senza una conquista simbolica con cui inoltrarsi nella leggenda”. Inoltre servono un vecchio e nuovo mondo verso cui la gente possa confrontarsi e scorgervi in esse le necessarie differenze al fine di orientarsi nelle decisioni. Nel calcio che sta cambiando vorticosamente, con proprietà e TV alla ricerca forsennata di nuovi ricavi, si fatica a trovare tracce di sacro e miti, di racconti da perpetuare in un futuro che dovrebbe a sua volta ipotizzare un altro futuro. Manca un racconto convincente, qualcosa a legare le vicende contemporanee a tutta la storia del calcio fin qui conosciuta. La sensazione è quella di “consumare” più che di vivere le vicende dello sport più seguito al mondo, ormai privo di ogni attesa visto come ogni giorno vada in scena una partita, illudendosi di stare a giocarsi veramente qualcosa. Il desiderio di provare a impossessarsi uno strapuntino di gloria è l’unico lusso rimasto alla portata di tutti, l’unico gancio con il reale ormai scevro da ogni esigenza del sacro. Ecco perché perdere è diventato più inaccettabile rispetto al passato, e non basta più una storia che ci faccia stare bene almeno per un attimo. Il Grande Torino, Gigi Meroni, sono archetipi di un calcio lontano apparentemente ormai morto. Non si sa come sostituirli. Nemmeno dalle parti del Manchester United sono stati in grado di sostituire George Best e Bobby Charlton, e non basta la grande passione per l’Arsenal di Keir Starmer, leader dei laburisti e secondo molti prossimo inquilino del numero 10 di Downing Street, per rivitalizzare attraverso i media il mito del racconto del calcio.

I troppi soldi e l’eccessiva accessibilità all’evento lo hanno fatto diventare come le previsioni del tempo, qualcosa da vedere con l’occhio sinistro mentre il destro si assopisce dalla stanchezza di una giornata appena trascorsa. Eppure qualche storia da raccontare rimane, se saputa cercare, per rinvigorire il calcio come metafora della vita; colpisce, per esempio, la storia personale di Igli Tare, determinato a diventare calciatore in Europa mentre il regime comunista feroce di Enver Hoxha stava crollando rovinosamente insieme al “Muro di Berlino”: "In accordo con i miei genitori sono fuggito dall’Albania per raggiungere la Germania e provare così ad avere un futuro diverso come calciatore. La Repubblica Ceca era quella più vicina alla frontiera tedesca, e giunto lì ho cercato dei contatti con la malavita ceca che ti garantiva attraverso un pagamento di entrare in Germania. Mi ricordo la neve, mi ricordo il freddo che faceva mentre rimanevamo nel bosco ad aspettare finché qualcuno veniva. Sarebbe potuto succedere di tutto, anche morire, ma è andata bene". Di lì il racconto dell’ex calciatore e oggi dirigente sportivo diventa il motivo per cui a qualcuno un giorno è venuto in mente di inventare il calcio. Esso è uno sport strettamente collegato al concetto di “Resurrezione”, speranza di un giovanotto appena giunto in terra straniera senza nemmeno i soldi per comprarsi un paio di scarpe da corsa, e quindi costretto a correre lungo il fiume, per mantenersi in forma, con le scarpe con cui aveva attraversato illegalmente un confine: "La gente mi guardava strano a causa di quelle scarpe lì. Ma io mi dicevo che non stavo facendo niente di male, stavo solo cercando di correre anch’io". Il futuro attaccante di Brescia, Bologna e Lazio trova un contratto con una squadra di Serie C dopo essere riuscito a convincere il suo allenatore a fargli fare un provino. I soldi sono pochi, quasi niente, ma è un inizio di rientro nel calcio dopo la fuga dall’Albania e occasione di richiesta di asilo politico.

Poco male, l’allenatore gli procura un lavoro di giardiniere con cui tirare avanti e sperare un giorno di realizzare il sogno che ti porti dentro. "Non potevo deludere i miei genitori - racconta Tare - , dovevo tenere duro per ripagarli di tutto. Ho avuto paura, ma ho sempre creduto nel destino e della mia capacità di saper cogliere le opportunità se mi fossero giunte". È una storia da film e di Provvidenza quella di Igli Tare, che in parte ha camminato sulle gambe del gestore di vari locali notturni frequentati da dirigenti del Karlsruhe, che prende in simpatia il giovane profugo albanese procurandogli un provino per il club allenato allora dall’iconico coach Winfried Schafer. Quello degli anni '90 era ancora un calcio delle possibilità, ancorato alla tradizione non traumatizzata dalla “Sentenza Bosman”, che dall’inizio del nuovo millennio consegnerà ai procuratori e ai debiti monstre le sorti del calcio mondiale. Era un mondo senza eccessivi filtri a sbarrare la strada e bussando la porta di un club poteva anche capitare che ti venisse aperta. "La mia è stata una favola che non succede mai - racconta oggi Tare -, e quando da direttore sportivo della Lazio mi si è presentato Onazi con un prete ho pensato di dover restituire qualcosa. Il ragazzo era stato rifiutato da otto squadre in Europa e veniva da una realtà africana molto difficile. In lui ho rivisto la mia storia e dopo il provino ho deciso di fargli firmare il contratto con la Lazio. Se lo meritava, infatti poi ha avuto una buona carriera". Eh già, perché il provino con il Karlsruhe poi era andato bene, dopo una fastidiosa presa in giro di Thomas Hassler che aveva invitato Schafer a provinare anche il suo vicino di casa (poi cambierà idea). L’attaccante albanese si scopre forte e in Germania si trova bene, anche perché ha realizzato il suo sogno portato avanti da adolescente; ha la sensazione che si avverte tra le pagine di “Moby Dick” di Herman Melville, dove l’uomo si trova quasi smarrito e furioso di fronte al dilemma dell’ignoto ma conscio della possibilità di riscatto da un momento all’altro. Il sogno però è la Serie A, perché ogni albanese che si rispetti porta nel cuore il nostro Paese e ne onora la lingua imparandola.

L’Italia per loro è l’Isola che non c’è stanziata davanti alla loro costa, è l’America sognata dai nostri emigranti per quasi tutto il '900. Si sente invecchiato il giocatore di Tirana, e poi in quel momento il nostro campionato è considerato ancora il migliore e il più ricco del mondo. Tare confessa alla moglie come il sogno italiano rimarrà, appunto, un sogno. "Niente ci è dovuto, ma avrai la tua occasione" è la splendida battuta di un film recente (“Father Stu”), e il calcio un tempo era proprio figlio dell’idea che ogni muro può essere abbattuto, ogni resurrezione può essere alla portata. Una settimana dopo la sua dichiarazione di resa, Tare viene sorprendentemente comprato dal Brescia e si ritrova ad essere marcato da Paolo Maldini, autentica leggenda del calcio mondiale, sul prato di San Siro. L’occasione è arrivata ed è anche una esplosione di gioia e orgoglio per tutta la comunità albanese presente in Italia: "Dopo il mio esordio in Serie A mi ricordo molto bene i momenti con gli albanesi. Ovunque andavo per strada uscivano dai negozi e dai ristoranti e volevano baciarmi le mani perché erano molto felici che finalmente un loro connazionale li poteva rappresentare nella miglior maniera possibile. Non ero più un semplice giocatore, rappresentavo il mio Paese e volevo farlo nel migliore dei modi perché sapevo che così avrei aiutato la mia gente". Cosa era il calcio, che sorta di tuffo nel cuore e nell’anima, perderlo nella sua essenza originaria è una ferita dai risvolti amari ed imprevedibili. Lo senti parlare, vedi i suoi occhi illuminarsi di cielo, e capisci come questo figlio di un ex ufficiale dell’esercito albanese, molto noto nel “Paese delle Aquile”, passa quasi ogni momento a ringraziare il destino quasi sentisse di avere un debito con la sorte praticamente inestinguibile. "Vedo la mia storia come un dare motivazione a tanta gente giovane, un invito a non vedere nella vita niente come una sconfitta. Devi avere una voglia e un desiderio di non mollare mai perché tutto si può realizzare, e tutto si può fare meglio": Igli Tare è stato fuggitivo, profugo, esule, un solo paio di scarpe, un giardiniere, ma il suo destino è sempre stato lì, su un rettangolo da gioco. La sua storia avrebbe reso pazzo di gioia uno come Albert Camus, ed io la vorrei dedicare a tutti gli adolescenti del mondo: non abbiate paura delle montagne, perché se anche nascondono le stelle esse stanno sempre lì. Dobbiamo solo prenderle.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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