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columnist
“Il visionario costruisce ciò
che i sognatori immaginano”.
Anonimo
La vita è fatta di aspettative, di progetti, di ambizioni. Tutte cose che cerchiamo con alterne fortune, a volte persino contraddicendo noi stessi. Il calcio è un grande palcoscenico con molti sipari, che si aprono davanti a noi spettatori mettendo in scena il più delle volte copioni prevedibili. Ovviamente sappiamo dell’esistenza dei “dietro le quinte”, solo non ne conosciamo le fattezze e i rumori. Allora non ci resta che immaginare e nell’immaginare sviluppiamo ogni tipo di ipotesi o fantasia. E con il tempo smettiamo di cercare la verità, giungendo a rubricarla come orpello non più tanto importante. Ma i fatti, come ebbe a dire John Adams, sono argomenti testardi; e qualsiasi sia la nostra volontà, le nostre inclinazioni o i dettami della nostra passione, non possono alterare lo stato dei fatti e delle prove. E allora potrebbe risultare più semplice del previsto, ad osservare i fatti, rintracciare chi dal palcoscenico del calcio trasmette notizie ed emozioni vere. Sarebbe facile notare come dal 2000 ad oggi, tranne in un’occasione, i club che hanno vinto la Champions League sono stati sponsorizzati da Nike e Adidas, che fa capire come le multinazionali dello sport pesino sui tavoli da gioco che contano. Essere sponsorizzati da loro vuol dire dare un segnale al mondo del raggiungimento del pedigree necessario per cominciare ad aspirare importanti traguardi. Traguardi che consentono a questi club blasonati l’esercizio dell’inarrestabile moltiplicazione dei capitali. Una moltiplicazione dal corso unidirezionale verso i club “del blasone”, e che accentua ogni giorno di più il divario e la diseguaglianza con chi questo blasone non ce l’ha. Ci troviamo di fronte ad una chiara organizzazione generale, istituzionale, economica e comunicativa in cui l’unica cifra emblematica è la logica sistemica di produzione e del marketing. A quel qualcuno che potrebbe dire che in fondo stiamo parlando di affari, si potrebbe rispondere come sia molto difficile stabilire la linea che separa gli affari dal furto. E quando si parla di furto, sia chiaro, non si parla solo di sottrazione indebita di denaro, ma anche di furto di valori e di tradizioni.
“Oggi è un giorno molto complicato per me, perché a nessuno piace salutare. E men che meno quando devi dire addio alla tua casa, alla tua famiglia e alla vita a cui sei abituato. Non dimenticherò mai la prima volta in cui ho indossato la maglia del Barca”. Sembrerebbe, questa di Xavi Simmons, la dichiarazione di un calciatore e da un passato già vissuto pienamente vissuto con il Barcellona. Un calciatore esperto giunto ad un crocevia importante della propria carriera e proteso a cogliere una nuova grande opportunità professionale. Invece si sta parlando di un ragazzino di sedici anni, che non ha nemmeno annusato il palcoscenico dei grandi, ma che ha pensato di firmare il suo primo contratto professionistico con il Paris Saint Germain, salutando, sotto la regia di Mino Raiola e di un munifico sponsor, quella che ha definito casa sua. La quale casa gli aveva offerto un contratto di duecentomila euro l’anno, evidentemente non considerato adeguato dal ragazzino di origine olandese, che ha preferito abbandonare non solo uno dei club più prestigiosi al mondo, ma anche ciò che considerava la sua casa. Vale così poco, dunque, una casa e una famiglia? Fa riflettere come la proprietà qatarina del Psg, dichiaratamente islamica osservante, abbia potuto passare sopra ogni valore ed ogni tradizione. Spesso l’islam, anche con qualche ragione, critica l’occidente di aver asservito la propria cultura e i propri valori alle logiche dell’edonismo e degli affari. Quale coerenza, quindi, può esserci in un Qatar che finanzia costruzioni di moschee e centri islamici nel satanico, a loro dire, occidente, e poi strappa, con la forza ammaliante del denaro, un ragazzino alla sua famiglia e alle sue abitudini? Ognuno trovi la sua risposta, anche se nel mondo del calcio sembra essersi affermato l’unico precetto che Charles Dickens riteneva esserci nel mondo degli affari: “fatela agl’altri, perché loro la farebbero a voi”. Il cinismo sembra ormai aver preso definitivamente il sopravvento sul calcio, in una sequela orribile di cadute verso il basso del più perverso dei nichilismi. Un nichilismo feroce che pare aver preso anche il linguaggio dei tifosi, sorpresi ad usare frasi come “sbarazziamoci di questo giocatore”, come se si stesse parlando più di una merce che di una persona. Tutto pare essere senza redenzione, ma poi, improvvisamente, ecco il calcio, il magnifico sport del calcio, capace di far fiorire una storia che parla di amore per il gioco e visione di vita. Il Daniele De Rossi che prende un aereo per Buenos Aires e va a firmare un contratto da “soli” 800.000 dollari l’anno per il Boca Juniors, e lo straordinario racconto dell’amore per un sogno e per il gioco del calcio. L’ex giocatore della Roma, lo sanno tutti, poteva accettare contratti ben più munifici negli States o in Cina, in fondo nella sua carriera ha dimostrato ed ha avuto tutto quello albergante nei sogni e nei desideri di un ragazzo che tira calcio ad un pallone. Nessuno avrebbe potuto criticarlo se avesse deciso di monetizzare al massimo gli ultimi anni della sua carriera da calciatore. Ma per quanto possa sembrare strano agl’italiani stessi, che sono spesso i massimi critici di loro stessi, sovente nella storia delle vicende umane ecco arrivare dall’Italia una persona, un fatto, a risposta a tempi considerati estremamente difficili e disperati. De Rossi è il primo giocatore italiano ad andare a misurarsi nel massimo campionato argentino, e lo fa perché vuole giocare nello stadio che fu di Diego Armando Maradona. Lo fa perché, in tutta evidenza, ha ancora amore da esprimere per questo gioco. Il nuovo giocatore del Boca è una risorsa da non disperdere per il calcio italiano, specie quando appenderà gli scarpini al fatidico chiodo. Azzardo per lui un radioso futuro di allenatore, perché solo chi ha la forza di una visione e il coraggio di portarla avanti può essere credibile nella gestione di uno spogliatoio formato da persone ricche di talento e ambizione, ma che in fondo rimangono sempre dei ragazzi appena affacciatesi alla vita. De Rossi, con la sua scelta davvero atipica per un mondo che ormai ha convinto tutti noi come “l’unica cosa che contano sono i soldi e tutto il resto è conversazione”, ha tracciato un segno ai suoi connazionali verso un orizzonte davvero interessante, e che è davvero molto italiano: riprendiamoci i nostri sogni e le nostre speranze, senza paura. E’ significativa la dichiarazione del presidente del Boca Juniors, Daniel Angelici: “per Daniele qui sarà una sfida importante da giocatore in un altro Paese, come un tempo facevano i migranti andando incontro ad una terra sconosciuta”. Che bello parlare di sfida, uno stato dell’anima sovente presente nella storia degli italiani. Cosa sarebbe la vita degli uomini senza le sfide? De Rossi, dopo la fine traumatica del suo rapporto con la Roma, fuori dai cancelli di Trigoria aveva detto ai tifosi che se loro volevano, lui non avrebbe firmato per nessuna altra squadra, che la sua storia di giocatore di calcio sarebbe finita in quel momento. Ma i tifosi sanno riconoscere i gesti d’amore, e mai si sarebbero sognati di stoppare l’ultimo desiderio di uno dei figli più grandi che la Roma sportiva abbia mai avuto. E’ giusto che colui che fu giovanissimo campione del mondo provi l’emozione della sua infanzia, quella di salire gli scalini che portano nel prato dello stadio del Boca. Nel cuore di quella Buenos Aires, intrisa di tango e di tutta quella follia poetica di cui gli argentini sono dotati. “Sono certo –ha detto Angelici – che quando De Rossi vedrà cosa succede nella Bombonera, si renderà conto che è il luogo del calcio”. Goditi il tuo sogno, ragazzo di Roma; goditelo perché te lo meriti. Perché a volte il tempo sembra non aver una ragione per essere vissuto, e si ritira dalle persone, dalle cose e dai luoghi. Ma tu, Daniele, stai dando al tempo un motivo per non ritirarsi dai luoghi a noi cari. Vivi il tuo sogno e ritorna presto a casa. Si ha bisogno di persone che riannodino fili andati perduti.
Di Anthony Weatherill
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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