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columnist
Il calcio preso a calci dalla corte europea di giustizia
“Ci impadroniamo avidamente delle cose”
Friedrich Nietzsche
Arriva un momento in cui la misura è colma, tanto da non poter essere più accettata se ancora si possiede un minimo di etica personale e di dignità rispetto alle cose del mondo. Si ha la possibilità nel corso della vita di imparare la necessità di sperare con intelligenza, di non deflagrare di fronte alle proprie debolezze, di non restare indifferenti di fronte al Figlio dell’Uomo che scaccia i mercanti dal tempio. Ciò che i maggiorenti del calcio(tutti, nessuno escluso) stanno pensando di fare con la creazione a dismisura di nuove competizioni calcistiche europee e mondiali per club è una infamia che offende le intelligenze e le capacità di giudizio, nonché una vittoria definitiva sul cuore dell’uomo da parte del mostro televisivo, grigiore dell’anima che ottiene come scalpo il nostro discernimento lasciandoci in cambio la compagnia della nostra mediocrità. Non vedrò mai nessuna delle partite dei tornei nascenti, neanche se a questi un giorno dovesse parteciparvi il mio amato Toro.
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Sarà, mi rendo conto, quasi una ribellione solitaria, un vano tentativo di voler svuotare il mare con secchiello e paletta, ma ho esigenza di non fare svuotare me stesso da chi delle passioni vuole fare uno smodato moltiplicatore di denaro senza pensare alle conseguenze. Sarà come non vedere i reality show sulla musica, strumento diabolico colpevole nel nostro Paese della rovina di un intero movimento musicale un tempo florido e ricco di idee. Non avranno mai il mio consenso, e non me ne frega niente se vorranno apostrofarmi come un passatista, versione in lingua italiana di “boomer”, termine sociologico usato a sproposito da plotoni di incolti imbecilli manipolati a dovere dal mainstream con lo scopo di ottenere un consenso per un nuova ideologia futurista dal sapore dal sapore del ventennio che fu (la storia ritorna sempre, solo che la seconda volta si ripresenta sotto forma di farsa).
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La sentenza della Corte Europea di Giustizia sulla vicenda della SuperLeague(di cui comunque sarà bene aspettare le motivazioni) ha stabilito quanto vado scrivendo da anni, ovvero come Fifa e Uefa non possono immaginarsi come poteri sovra giurisdizionali rispetto al diritto dell’Unione Europea. Sarà bene esser chiari al fine di evitare equivoci: la questione non è essere d’accordo meno con la SuperLeague(come è noto personalmente sono contrario), ma chiedersi fino a quale punto la gente possa essere presa in giro da una stampa approssimativa nel percorso che ha condotto alla sentenza europea di questa mattina. Si tratta di rendere edotti su quale sia il contesto socio/giuridico nel quale il calcio sta crescendo e moltiplicandosi come eventi e come affari, visto l’aver stabilito da parte dell’Europa con la natura della sua moneta, l’Euro, il carattere neoliberista e neomercantile della sua civiltà. E in questa visione di civiltà il monopolio esercitato da Uefa e Fifa è da considerarsi illegale, tutto il resto, quando si appalesa la legge, sono chiacchiere portate via il vento.
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Certo fa riflettere un passaggio della sentenza, “nelle condizioni attuali Fifa e Uefa si trovano in una posizione dominante”, perché imporrebbe di avviare un dibattito necessario su di chi sia veramente il calcio, che, sotto gli occhi di tutti, nel tempo è stato trasformato da fenomeno popolare e sociale ad un processo di consumo con molti passaggi soventi opachi se non addirittura oscuri. La Corte Europea di Giustizia trascura quest’ultima considerazione(a mio parere al centro di tutto) e si concentra “sullo sfruttamento dei diritti commerciali dei diritti relativi” che non possono essere dati in monopolio ad libitum a Uefa e Fifa a danno di nuovi soggetti decisi ad entrare nella competizione di tale sfruttamento e non possono essere limitati in “un ambito di grande importanza per media, consumatori e spettatori televisivi dell’Unione Europea”. Non desti sorpresa in queste righe la mancanza del termine “tifoso”, considerato come la natura dell’Unione Europea, a dispetto di chi ancora si illude del contrario con una pervicacia cieca e sonnambula, sia più finanziaria che sociale.
Ora la palla passa a tutti gli attori del calcio continentale, determinati in queste ore in una gara per piegare la sentenza alle proprie esigenze soggettive; la guerra si preannuncia in apparenza cruenta, con l’Uefa e il Qatar da una parte e la SuperLeague e i fondi americani dall’altra, tutti pronti a millantare di parlare nel supremo interesse dei tifosi e del calcio, mentre c’è chi si frega le mani sulla prospettiva di un futuro moltiplicarsi degli affari nello sport più seguito al mondo. Eh già, non c’è solo la SuperLeague a stimolare la cupidigia, ma anche l’ultima sciocchezza partorita da Gianni Infantino, uno capace di trasformare il calcio mondiale in un circo barnum indigesto, accorto, al contrario dei suoi corrotti predecessori(Joao Havelange e Sepp Blatter), di creare solidi legami politici con i poteri forti(arabi e americani) diventati ago della bilancia di molte manovre politico/finanziarie sullo scacchiere geopolitico mondiale.
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Lo svizzero(naturalizzato italiano) figlio di emigrati italiani in cerca di fortuna in terra elvetica, si è proposto come ariete per far sfondare la porta del calcio che conta ad una elite araba, assolutamente incapace di comprenderne il senso sociale ma scaltra nell’afferrarne la portata mediatico/economica situata nell’anima del Vecchio Continente, aiutata anche dal “genio” di Aleksander Ceferin. Non era facile fare peggio dell’altro svizzero, ma Infantino sta riuscendo nell’impresa di rendere il discorso sui soldi sempre più preminente e chiaro, visto come l’argomento ritorni in ogni sua dichiarazione, anche se trattasi di previsioni del tempo. D’altronde la Svizzera ti educa al portafoglio come nessun altro Paese al mondo, pur se lo fa con la sua tradizionale, e fastidiosa, riservatezza complice di ogni intrallazzo finanziario globale. Memorabile e comico fu l’attacco dell’attuale presidente FIFA all’Italia, accusata in un’intervista su “La Repubblica” di dare per i diritti tv del mondiale di calcio femminile “200 volte di meno rispetto a quello maschile… non chiediamo che venga pagato quanto quello maschile, ma che si rispettino le donne che fanno questo sport”.
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E’ un ragionamento talmente paraculo e senza logica da non valere nemmeno un commento ma al massimo una risata, perfettamente in linea con uno costantemente impegnato ad insistere a cicli regolari sul dedicare a Paolo Rossi lo Stadio Olimpico di Roma, che sarebbe come rinominare il “Guaranteed Rate Field”, casa dei “Chicago White Sox”, in memoria di “Shoeless” Joe Jackson. Chi vuole capire capisca, anche se dubito siano in grado di farlo coloro dotati dello stesso orizzonte etico di chi attualmente è seduto saldamente sulla poltrona di Zurigo. Tutti a parlare di nuove opportunità per queste iniziative in via di consolidamento nel calcio, retorica tesa a rendere senza valore ogni nostra passione e ad esaltare ogni nostra debolezza, vero obiettivo della massiccia campagna di marketing partita da tempo ad influenzare le nostre teste. Titilleranno le parti bassi del nostro stomaco e poi corromperanno tutto il resto del corpo intrufolandosi nel nostro portafoglio, convincendoci come sia proprio una buona idea rinchiuderci ancora di più tra le mura di casa a godere di 2/3 abbonamenti per seguire il calcio in tutta la sua multiforme inedita cialtroneria.
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Al magazine tedesco “Die Ziet” l’avvocato Jean Luis Dupont, l’artefice della battaglia giudiziaria vinta da Jean Marc Bosman e quindi uno che la sa lunga, ha dichiarato di essere certo come la sentenza sulla SuperLeague abbia “il potenziale per essere come la Bosman alla decima potenza. Questa volta non si tratta di regolamentare il mercato del lavoro, ma delle condizioni fondamentali in cui possono svolgersi le competizioni”: serve altro per capire cosa sta per succedere? Forse, per approfondire, basterebbe dare un’occhiata alla borsa di stamattina, dove le azioni della Juventus sono salite del 16% e quelle della Lazio del 7% dopo la notizia del pronunciamento della Corte Europea, e i listini difficilmente mentono sul futuro delle intenzioni, artefici di cambiamento di prospettiva e aumento del potenziale giro d’affari. Con “abuso” e “illegale” la Corte Europea di Giustizia ha chiuso definitivamente un’epoca, e ha rimesso al proprio posto Uefa e Fifa con una frase che determinerà quasi tutto nel calcio del futuro: “non c’è una cornice legale che garantisca trasparenza, oggettività, mancanza di discriminazione e proporzionalità da parte di Fifa e Uefa”.
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Da oggi ogni cosa nel calcio è possibile, e quando ogni cosa è possibile nel fantastico mondo neoliberista in genere vincono i soldi e i vari interessi collegati alla finanza. I dirigenti del calcio, convinti di essere autocrati intoccabili di un pianeta a parte, hanno perso la loro partita più importante, ma non sia ciò di particolare rallegramento per noi tifosi. Qualsiasi decisione verrà presa sul calcio da ora in avanti, più che mai sarà frutto di motivazioni scollegate dai nostri interessi. Cambiano i padroni, ma non la sostanza. Hanno voluto fossimo clienti e ci sono riusciti, chiamati entusiasticamente a raccolta attorno all’avidità. “L’avidità, non trovo una parola migliore, è valida, l’avidità è giusta, l’avidità funziona, l’avidità chiarifica, penetra e cattura l’essenza dello spirito evolutivo… essa ha improntato lo slancio di tutta l’umanità”. Parola di Gordon Gekko. Buon Natale, anche a tutti coloro che hanno comprato un pandoro griffato Chiara Ferragni.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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