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columnist

Il cambiamento del calcio

Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 
Loquor / Torna l’appuntamento con la rubrica di Carmelo Pennisi

“Resisteremo. Quale che sia il prezzo da pagare”.

                                             Winston Churchill

Sarà difficile, un giorno, spiegare il perché di tanti cambiamenti in corso nella gestione del calcio, non assolutamente ascrivibili, a mio parere, ad un teorema di svolta, cosa normale in un “processo dialettico” hegeliano, quanto piuttosto ad un lavoro profondo di sradicamento di tutte le convenzioni(etiche e morali) su cui la civiltà europea si è basata per anni. Da quando il calcio si è tramutato da “valore d’uso”, ovvero da un bisogno reale degli uomini, in un “valore di scambio”, ovvero in un bisogno artificiale del“mercato”, è come se fossero venute giù metaforicamente persino le guglie dei campanili dell’Europa cristiana. Sta avvenendo una sorta di apostasia(ripudio del proprio credo) dello sport più amato e seguito dalle genti europee, da tutto ciò che ne ha causato il successo nelle varie comunità cresciute, appunto, sotto i campanili.

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L’orgoglio del campanile da qualche tempo, in un processo iniziato precisamente chissà in quale momento, ha messo in vendita la sua anima nell’ effetto domino “mercatistico”, che avendolo elevato a “merce” lo ha ridotto ad un feticcio. L’effetto domino “mercatistico” ha cambiato in modo irreversibile(o forse siamo ancora in tempo?) il ruolo dell’orgoglio del campanile, carburante fondamentale del successo del calcio, facendolo diventare referente non più del bisogno reale della gente(“valore d‘uso”), ma del bisogno del mercato di aumentarne continuamente il “profitto”( unico scopo del “valore di scambio”) attraverso nuovi scenari sempre più diversificati e disancorati da quella guglia del campanile sotto i quali sono avvenuti per secoli i “sabati del villaggio” di leopardiana memoria. E si deve ammettere come le vicende del calcio ormai abbiano un valore solamente quando sono scambiabili con la moneta, e siano sempre più alla ricerca di “spettatori”(evolutesi in consumatori) da sostituire ai “tifosi”. I quali tifosi stanno, in tutta evidenza, vivendo la fase della loro estinzione, come i dinosauri dei tempi che furono. Ma i dinosauri furono vittime  di un asteroide presentatesi improvvisamente da chissà quale cosmo. Vittime di una “natura” che, come è noto, non ama i “processi dialettici”, e di conseguenza nemmeno i processi di “sintesi”. La natura è una sentenza senza appello, alla quale nulla si può  opporre. La meteorite abbattutesi sui tifosi del calcio è di quelle altamente distruttive, persino della memoria.

Del “tifo” che fu, in un futuro lontano,  i nostri posteri non troveranno, temo, nessuna traccia da esporre in qualche museo dedicato ai fenomeni primitivi. Sarà l’Era in cui il marketing avrà vinto definitivamente la sua battaglia,  sostituendo il “Talmud”, piuttosto che la “Bibbia”, piuttosto che il “Corano”, come mezzo di interpretazione e santificazione del mondo. Vivere ad ogni costo e consumare il calcio come“spettatori”, questo sarà riservato all’uomo della fine di questo  millennio, dove la liturgia ufficiale di quel mondo, trasformato non in modo dialettico ma apocalittico, avrà sancito definitivamente la vittoria  su due malattie terribili: il Covid19 e il tifo calcistico. Le vicende dei tifosi di calcio hanno seguito, a guardarle davvero con attenzione, l’agenda imposta dall’abolizione nel 1971 del “Gold Standard”(ovvero l’abolizione dell’obbligo della convertibilità della moneta in oro), voluta da “qualcuno” associatesi con “qualcun altro”. E’ il momento in cui il denaro ha una  mutazione quasi escatologica, e si tramuta da “simbolo” in ”bene”. Aristotele sosteneva come non se ne potesse detenere una quantità spropositata, perché era davvero incomprensibile, per il grande pensatore greco e i suoi contemporanei, convincersi di arricchirsi possedendo un simbolo. I mercati finanziari di oggi sarebbero arcani misteriosi per una civiltà devota al “Katà Metron"(la giusta misura) con deferenza assoluta. Ma l’European Club Association(Eca) sta tirando la volata definitiva verso un calcio irrotto, improvvisamente(ma le meteoriti apocalittiche questo fanno), nella categoria dei simboli, a totale servizio del denaro diventato, nel frattempo, uno dei beni più ricercati. Se non il più ricercato.

Da quando nel 1972(guarda caso un anno dopo l’abolizione del “Gold Standard”) l’Eintracht Braunschweig raggiunse un accordo commerciale con la “Jagermeister”, con relativa esposizione del “logo” della nota bevanda alcolica sulla maglia della squadra della seconda città della Bassa Sassonia, il cammino del calcio continentale nella sua mutazione da bene a simbolo è stato inesorabile. Il perfetto consumatore prefigurato da gente come Andrea Agnelli, è quello accettato dagli abitanti del deserto rispetto ad un bicchiere d’acqua, diventato, in un contesto di aridità, mezzo di valore di scambio inestimabile e soggetto a mutazioni di mercato. I signori del calcio figli dell’abolizione del “Gold Standard”, hanno fatto diventare le loro squadre  proprio come l’acqua del deserto. Hanno preso il valore popolare intrinseco del calcio, e lo hanno fatto diventare un comodo mezzo di scambio per moltiplicare il loro bene-denaro. Hanno abilmente provocato l’aumento delle spese dei club, provocando un perenne stato di “siccità” nei loro libri contabili, giustificando così ogni ricerca spasmodica di nuove entrate. Hanno di conseguenza fatto accettare alla pubblica opinione la plausibilità di una vendita a 130 euro di una maglia della Juventus, ossia un pezzo di stoffa, magari fabbricato in qualche luogo orientale di classe lavoratrice low cost, il cui blasone della società che rappresenta incide il 35% sul valore di vendita. Avete capito bene: solo il blasone di una società vale circa 50 euro su una vendita di 130 euro. Se qualcuno sta seriamente pensando come in fondo ciò  obbedisca alla “legge della domanda e dell’offerta”, allora non ha davvero nessuna cognizione di cosa sia un libero mercato. Non ne sa riconoscere le stimmate fondamentali.

In un libero mercato sano e corretto, non dovrebbe essere consentita la creazione di uno scenario artificiale, ovvero un deserto dove facilmente ci potrebbe essere un giardino pieno d’acqua, dove poi monetizzare su un bisogno precedentemente pensato al deserto artificiale stesso. Aver fatto diventare il denaro il primo scopo del calcio, a cui subordinare tutti gli altri scopi, è il “crimine” tutt’ora in atto. Lo sport più bello del mondo lo si sta facendo gonfiare sempre di più come un pollo da allevamento intensivo, perché si deciso come il suo ciclo vitale, esattamente come il pollo, debba essere solo assoggettato alla creazione di un profitto. Per i grandi club vincere ha cessato essere la questione più importante, perché sono consapevoli come la vittoria, date le loro dimensioni, ciclicamente prima o poi arriverà. E’ il business l’unica cosa da concimare e da curare. Urbano Cairo ad “un giorno da Pecora” ha ribadito la sua convinzione della necessità di far entrare i fondi di investimento nella Serie A e, al solito, lo ha giustificato per migliorare le strutture del calcio italiano(stadi, settori giovanili, ecc). Il presidente del Torino fa finta di dimenticare quale sia la mission di un fondo d’investimento, che è esattamente quello di moltiplicare il denaro dei suoi sottoscrittori. Ecco l’ipotesi di far gonfiare il pollo da allevamento intensivo ancora di più, e non certo per gli interessi del gioco del calcio. Cairo, laureato alla “Bocconi”, sa bene come continuare ad aumentare quantitativamente, e non qualitativamente, il denaro in un qualsiasi tipo di business, avrebbe come unico effetto la più classica eterogenesi dei fini, ovvero il mezzo che diventa fine. E se il denaro dovesse definitivamente diventare l’esclusivo fine del calcio, si assisterebbe ad uno scenario di un nichilismo sconcertante: non sarebbe più il denaro a guardare il calcio, ma sarebbe il calcio a guardare il denaro in attesa di sapere cosa fare

”Siamo comici spaventati guerrieri”, direbbe Stefano Benni citando il suo splendido racconto, e ormai, attraverso continue gabole diaboliche, l’opera persuasiva del marketing ha convinto tutti noi come l’indirizzo proposto dall’Eca abbia il carattere del non avere alternative e dell’irreversibilità. La prima cosa che il denaro sottrae è la memoria, lo sa bene il controverso pubblicitario Frederic Beigbeder, che in suo libro non ha avuto remore a raccontare la verità ultima insita nel suo lavoro: “c’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma”. Mio nonno, che quando parlava della sua Inter era felice, oggi non lo sarebbe più. Pagare 50 euro solo per un blasone gli sembrerebbe un raggiro, e un abbonamento per gli ultimi 15 minuti di una partita un’autentica provocazione. Ma lui ha vissuto un tempo in cui il denaro era ancora denaro, e la vita era ancora la vita.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.