“La grande gioia ha in sé il senso dell’immortalità” Gilbert Keit Chesterton
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Il diritto di resistere e di gioire
Destino… fai di tutto per andar via, per mettere fine ad una storia ormai diventata ingombrante nella tua anima, prendi insulti e prendi comprensioni per questa tua decisione (tutto è esagerato nel calcio. Persino l’insulto. Persino la comprensione); poi entri in campo nella partita più controversa della tua storia e vuoi a tutti i costi essere protagonista del rigore contro il tuo ingombrante passato, perché vuoi dimostrare al mondo di essere persona a riuscire a tranciare i cordoni ombelicali. Vuoi dimostrare di non essere più un ragazzo, ma un uomo. Poi tiri il rigore e lo sbagli, e allora?
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Destino… hai in mano la penna per firmare e modificare in modo significativo la tua vita, guadagnerai più soldi e calcherai palcoscenici europei pieni di luce, porterai i tuoi sogni da un’altra parte, e poi… poi i pensieri e i ricordi girano vorticosamente nella tua testa, la penna non riesce a scendere sul contratto, il cordone ombelicale non lo vedi come un fastidio ma come qualcosa da cui ancora non sei pronto a staccarti. Continuando nel gioco dei “poi”, che sono infiniti, ti ritrovi qualche giorno dopo nella carambola impazzita generata da un cross velenoso, per questo perfetto, e la palla giunge proprio sui tuoi piedi, che sono davanti la porta, che sono preludio di un gol: e il pallone finisce proprio in rete, cosa inusuale per un difensore centrale già in conclamata eresia nel trovarsi a pochi metri dalla linea della porta avversaria.
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Non è un “rombo di tuono” alla Gigi Riva ma è un tumulto nel tuo cuore e in quella di centinaia di migliaia di tifosi granata sparsi in giro per il mondo. Che sensazione deve essere stata, potremmo comprenderla solo se improvvisamente tornasse su nel ricordo razionale la placenta avvolgente in difesa della vita che verrà, l’ancestrale “organo comune” tra l’organismo madre e l’organismo figlio. Nonostante il Toro sia un grido da corrida declinato al maschile, per Alessandro Buongiorno è stato, ed è, madre che vuole portarti nel mondo, per darti la possibilità, sacra e inviolabile, di esprimerti. E nel Toro/madre ti senti tranquillo, perché avendolo interiorizzato ora sai anche in quale sorta di tunnel impazzito si sia infilata la storia del calcio. Perché una madre ha il dono della lucidità a non abbandonarla mai, e la tentazione nulla può con chi da la vita: tutto in essa è razionalità e audacia. Una madre sa come tu abbia il diritto di tentare, ma anche di resistere, fino al raggiungimento della gioia. Qualsiasi essa sia.
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“Succede qualcosa, anche un banalissimo gesto come uno scontrino che scivola via, e la tua vita prende un altro binario. Magari per sempre. Magari un po’ soltanto”, scrive Stefano Benni, ed è come un avvertimento o una preghiera a non farsi scivolare distrattamente le cose, tipo una certa tipologia di progressi spacciati per inesorabili e ai quali ci si deve per forza adattare. Dalla “Sentenza Bosman” il calcio ha dimenticato come il destino sia una rarità, e non una cosa che deve succedere per forza e con il quale abbandonarci acriticamente nella sua corrente. Due più due a fare quattro è una somma che fa un totale alla quale ribellarsi non deve apparire una follia, un dato scontato di una somma algebrica senza significato. L’algebra senza il luogo, senza lo spazio geometrico in cui essa si somma e si sottrae, è come dare dei numeri senza senso, e il calcio non è mai stato lo sport professionale americano dove il gioco gira solo per dare la scusa sufficiente e accettabile di chiedere soldi in cambio di una illusione.
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Alessandro Buongiorno andandosi a sedere al centro del campo di gioco del “Filadelfia” può chiudere gli occhi e respirare tragedia e rinascita e forse anche avvertire il refolo di vento lasciato da una delle tante corse di Valentino Mazzola su e giù per il prato verde. Ma quando tutto è cominciato a cambiare? Quando noi siamo cominciati a cambiare? Quando abbiamo ritenuto normale barattare l’onore, che non ha prezzo, di battersi per l’Azzurro del Paese in cambio del nuovo “Pentotal” elaborato tra le dune di un deserto che non merita il calcio, il nostro calcio? Niente è più europeo del calcio, niente più di lui è legato alle radici giudaico/cristiane e al concetto della necessità del “riposo del settimo giorno”, del contemplare sia l’opera del Creato, che la nostra opera. Questo sport consente di liberare la mente dalle fatiche e di concentrarci sul nostro Spirito al fine di comprendere come tutto sia stato “pensato” a nostro beneficio, un beneficio ridondante di possibilità. Si dirà come il calcio ormai abbia debordato al settimo giorno, distribuito in ogni palinsesto quotidiano con il compito di macinare profitti per i club e non solo per essi, si insisterà sulla secolarizzazione ormai completata del Vecchio Continente, per cui basta invocare un mondo definitivamente tramontato abbracciando un sentimento “passatista”: siamo oltre.
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E allora cosa gli è saltato in mente a Buongiorno? “Abbiamo lavorato sodo in queste due settimane per questa vittoria. Queste sono emozioni impagabili ed è per questo che sono rimasto”, queste parole del giovane centrale del Toro paiono la ricerca di una “Divina Grazia”, e si va oltre i confini del “lavorare per una giusta mercede”; è la voglia di trovare qualcuno con il desiderio di parlare con te, e proprio con te. Personalmente mi è capitato in una chiesa, ogni volta che sono entrato al “Filadelfia”, e guardando dal traghetto la mia Sicilia progressivamente avvicinarsi. Ma cosa è? Uscendo per un attimo dal piacere di essere stati scelti da un giocatore per un questione di cuore, fuggendo dal cinismo facente sempre capolino sulle nostre giornate, provare a rispondere ad alcune domande potrebbe voler dire capire perché ancora ci ostiniamo ad andare allo stadio o a sederci sul divano davanti alla tv in cui dentro si agita la nostra squadra.
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Passione? Abitudine? Non abbiamo nient’altro di meglio da fare? Per chi è nato prima del nuovo millennio sono cambiate talmente tante cose nel calcio da far perdere il senso dell’orientamento; sappiamo di aver perso il “sacro” e abbiamo finito per accettare il paganesimo entrato nella vita dello sport più vicino al concetto di Dio che esista. Lo abbiamo stravolto implementandogli le nostre abitudini trasformate da sensibilità comunitarie a consumatori di un evento, ecco perché la scelta di Alessandro Buongiorno è stata una provocazione quasi intollerabile per lo spirito del tempo, che non ci chiede né di resistere né di cercare la gioia, ma solo di soddisfare, e soddisfare è ancora soddisfare. La gloria importa se coincide con gli interessi del conto in banca o con le nostre ambizioni. Rimuovendo l’eternità abbiamo rimosso l’Eterno, e senza l’eternità o l’Eterno per chi cavolo si sta giocando? Zygmunt Bauman sostiene come tutti ci si sia liquefatti nel liquido della post modernità, ma io credo ancora all’esistenza del “recondito” presente nel patrimonio genetico dei tifosi, che se anche non ne comprendono razionalmente il significato lo vivono come un sentimento forte e irrazionale.
Il calcio non spiega, non ne ha bisogno quando è davvero calcio; esso entra dentro la vita con tutta la sua storia e recupera il sacro, ma ciò un americano o un arabo non lo potrà mai capire. E allora cosa stiamo facendo con loro? Abbiamo una vaga idea quale sia la destinazione con siffatti compagni di viaggio? Oppure ormai non frega più niente porsi certe domande? La scelta controcorrente di Buongiorno indica la possibilità di poter ancora invadere il mondo con le nostre idee, di essere in tempo nel poterlo fare prima che il vecchio mondo scompaia totalmente inghiottito da chi ha tutto l’interesse di mettere l’Europa e ogni suo significato confinati in soffitta. Destino… da tifoso del Toro è essere sostenitore di una squadra partorita da una idea, lievito di un calcio figlio del ritrovarsi tutti nel settimo giorno. Ma se questo calcio davvero non esiste più, se lasciamo che la nostra indifferenza sia l’accettazione notarile della perdita del diritto di contare e di essere, se aumentare il fatturato è solo la premessa di uno spettacolo, se l’immortale è stato fatto diventare mortale, a questo punto una domanda sale su spontanea, prepotente e inquietante: a cosa serve ancora il Toro?
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Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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