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columnist
“Immaginare il futuro sa di rimpianto”
Da “Cercando Alaska”
Ci sono molte cose di cui non ci è dato sapere, nonostante la curiosità a volte può spingerci con l’immaginazione a provare ad ipotizzare le vicende di un seguito di un lieto fine clamoroso. Lazzaro viene fatto ritornare in vita da Gesù, e tutti gli vanno attorno felici, ma il Vangelo non racconta cosa avviene dal giorno dopo della vita del redivivo più famoso della storia. Il bellissimo principe che le fa entrare perfettamente la scarpa di cristallo perduta in un ballo di corte, riscatta con un matrimonio da favola tutta l’infanzia di privazioni e umiliazioni di Cenerentola. Ma della vita coniugale seguita a quel matrimonio regale, nulla si sa. Non ci sono parole, almeno per me, per descrivere la bellezza del racconto evangelico del “Figliol Prodigo”, a cui il padre, immemore di tante stoltezze e lapidazione di parte del patrimonio di famiglia, fa uccidere il vitello grasso per festeggiare il suo ritorno a casa. È la logica del “vissero tutti felici e contenti” a trionfare, quello stato dell’animo che, per un attimo, fa dimenticare come la vita abbia un suo inquietante giorno dopo, abbondante di imprevisti e prove da superare. È la leggenda di “Brigadoon”, dove nello splendido film di Vincent Minelli si narra la storia di un paese scozzese che prende vita, per un solo giorno, ogni cento anni. E in quel giorno perfetto accadono tutte i “topos” più belli di un’esistenza felice. Ma allo scoccare della mezzanotte quel paese torna a scomparire alla vista di tutti per un secolo, lasciando un misto di sentimenti tra la malinconia e la speranza.
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Il libro preferito da Moreno Longo è “Cercando Alaska”, e forse questo particolare potrebbe raccontare più di altre cose l’aspetto umano dell’attuale tecnico granata. Nel best seller di John Green, il protagonista, Miles “Ciccio” Halter, parte alla ricerca del suo “Grande Forse”, in un viaggio alla ricerca della verità e al tentativo di rispondere ad ogni domanda. E il grande forse della vita dell’ex ragazzo del Filadelfia non può che essere colorato di granata, perché se varchi ad undici anni la porta d’ingresso del settore giovanile della squadra che fu di Valentino Mazzola, la tua vita non può non cominciare ad essere invasa da innumerevoli quesiti esistenziali. Sei figlio di emigrati pugliesi, e se elevi tuo padre ad eroe della tua vita, la filosofia esistenziale del Toro ad entrarti nel sangue e nell’animo è la giusta conclusione logica. Se poi nasci nel 1976, a pochi mesi dalla conquista dell’ultimo scudetto granata, tutto sembra quasi essere una premonizione da “Piccolo Buddha” di Bernando Bertolucci, una delle perle regalateci dal maestro parmense. Ma nella vita, appunto, ci sono i Grandi Forse, e dopo una esperienza felice nel settore giovanile granata, al suo esordio in prima squadra si capisce subito come il giovane Longo non sia stato baciato dalla dea fortuna nelle sue qualità di calciatore. Dopo solo 31 presenze in maglia granata, Moreno comprende come la sua vita di calciatore dovrà andare lontano dal Filadelfia, e qualche anno dopo, scorrendo le pagine di “Cercando Alaska”, deve essere rimasto assai turbato di fronte alla considerazione di Miles affranto dalla dipartita della sua adorata Alaska: “non puoi cambiarmi e poi andartene via… non puoi cambiare tutto e poi morire”.
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Ma nei grande forse della vita sono possibili anche i ritorni, e Longo deve aspettare di diventare allenatore per ritornare ad abbracciare l’idea che forse il racconto del film di Bertolucci dipanato tra il Bhutan e gli Stati Uniti non è proprio una diavoleria inventata da sceneggiatori di talento. Forse essere nato nel 1976 è davvero una chiave del suo destino nel calcio. I suoi successi nel settore giovanile granata, culminanti dall’aver riportato dopo 23 anni ai colori granata il titolo nazionale primavera, gli devono essere sembrati il classico segno del destino da “Dalai Lama” predestinato del Torino Calcio. Longo, e non ci sarebbe nemmeno bisogno di ricordarlo, tifoso del Toro, è uno di quelli che non sale a Superga semplicemente per farsi una scampagnata con gli amici o per vedere il panorama di Torino dall’alto; Longo sale a Superga per non dimenticare quei giovani eroi resi immortali da uno degli incidenti aerei più assurdi della storia. Quante volte con gli amici al bar avrà fatto la sua formazione da schierare al derby, e quante volte si sarà perso in innumerevoli polemiche su come il Toro avrebbe dovuto giocare? Chi è tifoso sa che un conto, su queste cose, è impossibile farlo. Moreno a Torino conosce ed è conosciuto da tutti, e tutti i tifosi granata gli vogliono bene, perché immaginare di vedere un “Ragazzo del Filadelfia” sedersi un giorno sul ponte di comando della loro amata panchina, è uno dei “topos” del vero tifoso granata. E Longo li fa sperare, perché in fondo quelle vittorie con il settore giovanile sono diventate un ottimo biglietto da visita.
Ma Urbano Cairo non è il “lama Norbu” del film di Bertolucci, e se Longo vuole proprio allenare tra i grandi è lontano da Torino che dovrà provare a farlo. “Arriva il momento in cui tutti quelli che si avventurano nel mare dell’esistenza finiscono per essere trascinati al largo dalla risacca”, si dice in “cercando Alaska”, ed ecco probabilmente ancora una volta farsi strada, nella mente del “Ragazzo del Filadelfia”, l’idea di aver mal interpretato i segni del suo destino. Anzi, a volerli interpretare bene, questi segni, forse non esiste nessuna “baraka” (segno musulmano della Grazia Divina) sotto forma di Toro nella sua esistenza. È vero come il calcio molte volte possa essere una metafora della vita e stura di metastorie poetiche a lenire i nostri dolori, ma bisogna sempre pur ricordarsi come il esso sia anche un lavoro, un valido sostentamento economico per l’avvenire di numerose famiglie. Allora Longo prende in mano nuovamente la valigia, saluta il Toro ed entra a pieno titolo nel mondo dei grandi. Rivivendo ciò che ha vissuto come calciatore, probabilmente ritiene conclusa definitivamente la sua avventura granata. Rimarrà un suo tifoso in eterno, perché certo l’amore per una squadra è cosa da non potersi estirpare. È parte del tempio della nostra anima.
Quando nello scorso febbraio viene chiamato da Urbano Cairo a sostituire Walter Mazzarri, probabilmente avrebbe dovuto rifiutare la proposta. Una proposta, quella di Cairo, fatta con una logica da “mercante del tempio”, evidentemente maramaldeggiando sui sentimenti intimi dei tifosi granata. In un momento di grande contestazione e con una squadra allo sbando, il richiamo alla fede granata con l’ingaggio di Longo è stato come un colpo di stato del cuore. I sentimenti sono tutto per chi da anni ogni 4 maggio sale a Superga, e il presidente del Torino, da vero uomo di marketing, ciò lo sa bene. Il marketing, si sa, sovente vende fumo, perché le persone spesso non comprano prodotti e servizi, ma relazioni, storie e magie. E invece di correggere sul mercato di gennaio una squadra dagli evidenti limiti, specie a centrocampo, l’uomo marketing da sempre situato nella coscienza di Cairo, ha una trovata semplice e luciferina, per sperare di placare i suoi tifosi ormai sul piede di guerra: c’è bisogno di rispolverare il mito del Filadelfia, c’è bisogno di uno dei suoi ragazzi. Ed ecco, quindi, l’idea di far realizzare a Longo il desiderio di essere una protagonista della storia granata. Ecco Longo diventare allenatore del Toro. Declinare l’offerta sarebbe stata la scelta più saggia, perché era chiaro come si stesse sfruttando la sua figura per scuotere positivamente l’emotività del tifo granata, ma soprattutto l’avrebbe dovuta declinare perché il rischio di non esser pronto all’impresa era elevatissimo. Longo avrebbe dovuto aspettare un’occasione migliore e un bagaglio di esperienza più congruo, e magari con una squadra da lui voluta e costruita.
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Ma si può rifiutare la tua “Brigadoon” quando ti si appalesa davanti? I tuoi discorsi al bar, le tue ipotesi con gli amici, il far tardi la sera per qualche gioia o delusione da Toro, ora è tutto lì, a portata di mano delle tue decisioni. Doveva rifiutare e attendere, Longo, ma nello stesso tempo è comprensibile come non abbia potuto farlo. Il tifo di una squadra, per un tifoso, è come una famiglia, è come un luogo lirico delle affinità elettive. Sono certo come la cosa a fare più male a Longo, in questo momento, è vedere la tua famiglia delusa fino al punto di ripudiarti, fino alla triste considerazione di ritenerti un’incapace nel gestire i suoi sogni. Tu parli di Toro con il coltello tra i denti a giocatori che non possono capire, perché persi in una contemporaneità nichilista e priva di senso dell’onore. Provi a predicare quello che hai imparato tra quelle pietre senza età del Filadelfia, ma sembri un disco demodè e magari nello spogliatoio sarai oggetto di facili ironie. E il tuo dolore aumenta. Forse la famiglia granata dovrebbe capire, perdonarti, e darti qualche carezza da qui alla fine del campionato, comunque vada a finire. Perché il tuo coraggio e il tuo amore per il Toro meritano rispetto. Mi sovviene una frase del tuo libro preferito: “certe cose non puoi prolungarle all’infinito. Viene il momento in cui devi strappare il cerotto. Fa male, ma poi passa e ti senti meglio”. Sentirti meglio è l’augurio che mi sento di farti, perché sono certo come la favola della tua vita non si sia conclusa oggi. C’è ancora Toro nel tuo futuro, e se fosse anche solo da tifoso sai bene come non sia affatto male. In bocca al lupo, Moreno.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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