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Ritorna ad aleggiare lo spirito di Gigi Riva e il suo gran rifiuto di cedere alla corte dell’avvocato Agnelli per non tradire le aspirazioni di una intera isola, il coraggio di non cadere nel baratro di chi ci vuole automi da Intelligenza Artificiale, dove due più due fa sempre un asettico quattro. È la logica matematica, alfiere di ogni stolido positivismo, l’ariete con cui si sta facendo dimenticare l’uomo della sua possibilità di ritenere di non essere semplicemente il risultato si una somma algebrica. C'è l’innocenza di un bambino entrato a soli sette anni nel settore giovanile del Toro, c’è la famiglia tutta a tinte Granata, ci sono gli amici di sempre, e poi c’è Superga… quante volte sei salito su a salutarli, Alessandro? Quante volte hai parlato con loro? Quante volte li hai “sentiti” prima di ogni partita importante? Tu prima di essere un giocatore sei del Toro, appartieni ad un luogo dell’anima, ad uno spazio geometrico nato per limitare la protervia dei numeri. Non puoi, ma soprattutto non vuoi andare alla Juventus, ribadendo l’esistenza di linee di confine invalicabili. Il ragazzo del Toro sta diventando uomo, e la maturità reca con sé l’essere uno specchio in cui gli altri guardano e scoprono, e si scoprono. Perdere sette milioni di euro, specie per un club come il Toro, può essere doloroso come un urlo lanciato nel deserto, dove il sole brucia la pelle e la calura da altoforno dà la sgradevole sensazione dell’ossigeno che evapora prima ancora di giungere ai polmoni, ma è proprio nel deserto, quando la percezione è di essere circondati dal nulla che si fa niente, che i valori rappresentati da una società come quella del Torino devono trovare la forza di saper accettare il compito assegnatole dalla storia, dall’essere un patrimonio della storia repubblicana.
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Quando il Grande Torino finisce il suo compito davanti la Basilica di Superga, non consegna un almanacco di vittorie ma valori da preservare a qualsiasi costo, anche delle tanto ricercate vittorie diventate oggi una ossessione insensata e insensibile. Il Toro è uno delle poche stele della memoria rimaste della natura sociale del calcio, è un progetto di sentimenti e non di vittorie (questo, ovviamente, non vuol dire che non debba provare a perseguirle). Chi tiene per questa squadra non cerca rivincite, la sua storia non ne ha bisogno, e soprattutto non ne ha bisogno la storia del calcio. Il calcio è memoria della nostra Nazione, è da sempre lo sport più amato dalle Alpi a Lampedusa, è cartolina della nostra costituzione emotiva. È questo che difende il Toro, con la sua sola stessa presenza, con le sue lacrime che da Superga mai se ne andranno. Sette milioni di euro in più non cambierebbero il corso delle cose, non farebbero cambiare l’orizzonte stretto e fin troppo parco di Urbano Cairo, ma sicuramente farebbero fare un altro passo verso la perdita della sua memoria a chi ai valori di questa squadra davvero tiene. Il rifiuto alla Juventus è l’ultimo regalo fatto da Alessandro Buongiorno ai suoi tifosi, che poi sono tutti suoi fratelli e sue sorelle: lo si curi, lo si preservi, lo si tramandi ai posteri. Noi, e solo noi, siamo Memoria. Non potendo fermare la vita con le sue ferree regole (è giusto vada a giocarsi le sue chance in una squadra più forte), il difensore Granata ha spinto il suo coraggio fino a dove poteva e anche oltre. “Il colonnello Aureliano Buendia smarrito nella solitudine del suo immenso potere, cominciò a perdere la rotta”, scrive Gabriel Garcia Marquez nel suo immortale capolavoro “Cent’anni di Solitudine”. Nel culmine del suo potere contrattuale un giocatore di chiara fama non ha perso la rotta, non ne ha abusato ed è rimasto umano. Non si può che esserne lieti.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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