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Il gran rifiuto di Alessandro Buongiorno
“Domani ti troverai dove ti hanno portato le decisioni di oggi”
Akin Awolaja
Viviamo un periodo storico in cui ci sono momenti, oh se ci sono, in cui lo sconforto esistenziale sembrerebbe aver preso il sopravvento su tutto, persino sui nostri desideri, e finanche sulle nostre speranze. La storia appare finita, conclusa non in uno splendido viale del tramonto prodigo almeno di fluorescenti nostalgie, ma in un maleodorante vicolo oscuro di un porto dove siamo giunti da malcapitati. Non c’è niente che possa dare speranza di fronte a procuratori con la faccia tosta fatta di commissioni milionarie e dove da una disastrosa spedizione europea Azzurra, l’unica cosa ad essersi dimessa è la dignità. Non c’è da processare la ragione, come farebbe Milan Kundera, o da metterla come un punto di partenza per scoprire il “vero” come fece Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona, perché la ragione da tempo ha smarrito il suo compito di crocevia di tutti i nostri dubbi, soggiogata da interessi particolari sempre più sordidi e indecenti. “Non debemus, non possumus, non volumus”, nelle poco auliche stanze della sede del Torino calcio, devono essere risuonate forte e chiaro queste sintomo sofferente, ma deciso, di Alessandro Buongiorno che, ricalcando la fermezza di Papa Pio VII di fronte alla pericolosa arroganza di Napoleone Bonaparte, deve aver usato il “pluralis maiestatis” per far capire ad Urbano Cairo che proprio no, non può andare alla Juventus. Ripetere la strada già percorsa da Angelo Ogbonna, Gleison Bremer e Federico Balzaretti lui non lo può proprio fare, non se si ha il Granata nel cuore e nell’anima. “Kata Metron”, sussurravano i filosofi greci ai loro allievi, la giusta misura che rende l’uomo un essere vivente eretto e capace di modificare il mondo, poiché dotato di coscienza prodromo di ogni etica possibile da raggiungere. A Cairo devono essere venute le vertigini di fronte al rifiuto del ragazzo con lo spirito del “Filadelfia” incorporato sin dalla nascita, perché secondo “Tuttosport” (a firma autorevole, e soprattutto affidabile, di Marco Bonetto) la Juventus avrebbe messo bel 7 milioni di euro in più sul tavolo rispetto all’offerta del Napoli e con un ingaggio per il giocatore ancora più interessante rispetto a quello proposto da De Laurentiis, una differenza in questi tempi magri davvero notevole. Ma ci sono cose da non potersi fare, emozioni impossibili da tradire, almeno in teoria.
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Tutto è diventato purtroppo teoria nel magico mondo del neoliberismo, considerato come un “prezzo” possa fare diventare teoria ogni pratica, e pratica ogni teoria. Buongiorno in un’era in cui si è deciso di abbattere ogni limite ha scelto di porselo un limite, e il Napoli non sta per prendere semplicemente un giocatore di assoluto talento e rara intelligenza, sta per portarsi sotto l’ombra del Vesuvio una persona dai valori immensi, una autentica sfida vivente al relativismo nascosto sotto l’egida del professionismo a dettare ordini a coscienze oramai rattrappite dall’indifferenza. “Sono solo affari” si sente ripetere continuamente nella saga de “Il Padrino” di Francis Ford Coppola, e con il tempo anche noi tifosi abbiamo finito per crederci, e ci stiamo facendo accompagnare nella nostra passione e nel nostro amore da un nichilismo mai appartenuto alla storia del calcio, basterebbe leggersi Albert Camus, Osvaldo Soriano, Jorge Luis Borges, Pier Paolo Pasolini (e tanti altri) per rendersi conto come tutti noi oggi si stia partecipando ad uno spettacolo contronatura. Ci si è davvero convinti di dover accettare la logica aziendale in una attività d’impresa atipica come il calcio, dove individui come Kia Joorabchian hanno scoperchiato l’avidità mettendola in circolo nelle vicende dello sport più seguito e amato al mondo. E quando sembra non ci sia nessun modo di fermare i mercanti corruttori del tempio e sbeffeggiatori del sacro, ecco un ragazzo con il Toro nel cuore sin da quando aveva sette anni dire a chiare lettere a Cristiano Giuntoli: “Direttore… non posso, questo proprio non posso farlo. Non posso giocare nella Juventus”.
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Ritorna ad aleggiare lo spirito di Gigi Riva e il suo gran rifiuto di cedere alla corte dell’avvocato Agnelli per non tradire le aspirazioni di una intera isola, il coraggio di non cadere nel baratro di chi ci vuole automi da Intelligenza Artificiale, dove due più due fa sempre un asettico quattro. È la logica matematica, alfiere di ogni stolido positivismo, l’ariete con cui si sta facendo dimenticare l’uomo della sua possibilità di ritenere di non essere semplicemente il risultato si una somma algebrica. C'è l’innocenza di un bambino entrato a soli sette anni nel settore giovanile del Toro, c’è la famiglia tutta a tinte Granata, ci sono gli amici di sempre, e poi c’è Superga… quante volte sei salito su a salutarli, Alessandro? Quante volte hai parlato con loro? Quante volte li hai “sentiti” prima di ogni partita importante? Tu prima di essere un giocatore sei del Toro, appartieni ad un luogo dell’anima, ad uno spazio geometrico nato per limitare la protervia dei numeri. Non puoi, ma soprattutto non vuoi andare alla Juventus, ribadendo l’esistenza di linee di confine invalicabili. Il ragazzo del Toro sta diventando uomo, e la maturità reca con sé l’essere uno specchio in cui gli altri guardano e scoprono, e si scoprono. Perdere sette milioni di euro, specie per un club come il Toro, può essere doloroso come un urlo lanciato nel deserto, dove il sole brucia la pelle e la calura da altoforno dà la sgradevole sensazione dell’ossigeno che evapora prima ancora di giungere ai polmoni, ma è proprio nel deserto, quando la percezione è di essere circondati dal nulla che si fa niente, che i valori rappresentati da una società come quella del Torino devono trovare la forza di saper accettare il compito assegnatole dalla storia, dall’essere un patrimonio della storia repubblicana.
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Quando il Grande Torino finisce il suo compito davanti la Basilica di Superga, non consegna un almanacco di vittorie ma valori da preservare a qualsiasi costo, anche delle tanto ricercate vittorie diventate oggi una ossessione insensata e insensibile. Il Toro è uno delle poche stele della memoria rimaste della natura sociale del calcio, è un progetto di sentimenti e non di vittorie (questo, ovviamente, non vuol dire che non debba provare a perseguirle). Chi tiene per questa squadra non cerca rivincite, la sua storia non ne ha bisogno, e soprattutto non ne ha bisogno la storia del calcio. Il calcio è memoria della nostra Nazione, è da sempre lo sport più amato dalle Alpi a Lampedusa, è cartolina della nostra costituzione emotiva. È questo che difende il Toro, con la sua sola stessa presenza, con le sue lacrime che da Superga mai se ne andranno. Sette milioni di euro in più non cambierebbero il corso delle cose, non farebbero cambiare l’orizzonte stretto e fin troppo parco di Urbano Cairo, ma sicuramente farebbero fare un altro passo verso la perdita della sua memoria a chi ai valori di questa squadra davvero tiene. Il rifiuto alla Juventus è l’ultimo regalo fatto da Alessandro Buongiorno ai suoi tifosi, che poi sono tutti suoi fratelli e sue sorelle: lo si curi, lo si preservi, lo si tramandi ai posteri. Noi, e solo noi, siamo Memoria. Non potendo fermare la vita con le sue ferree regole (è giusto vada a giocarsi le sue chance in una squadra più forte), il difensore Granata ha spinto il suo coraggio fino a dove poteva e anche oltre. “Il colonnello Aureliano Buendia smarrito nella solitudine del suo immenso potere, cominciò a perdere la rotta”, scrive Gabriel Garcia Marquez nel suo immortale capolavoro “Cent’anni di Solitudine”. Nel culmine del suo potere contrattuale un giocatore di chiara fama non ha perso la rotta, non ne ha abusato ed è rimasto umano. Non si può che esserne lieti.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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