“Non si può descrivere
Loquor
Il lato oscuro della vicenda Lukic
la nostra invidia”.
Francesco Alberoni
La leggenda narra che quando Giuseppe Di Vittorio, forse il più importante sindacalista che l’Italia abbia mai avuto, capì quanto la sua condizione di semianalfabeta avrebbe potuto impedire di far valere i suoi diritti, allora si procurò un vocabolario. In quella scelta umile e pragmatica del fondatore del sindacalismo moderno italiano c’è la sintesi di quanta strada si debba percorrere non tanto per assumere il fatto di essere soggetti di diritti inalienabili, ma piuttosto di quanto sia necessario far comprendere agli altri della necessità di lottare per affermarli. Farsi capire è quasi tutto, è il necessario incipit esistenziale posto all’inizio di qualsiasi percorso, è il mezzo in cui ogni tipo di posta in palio prova a comunicare le sue esigenze al mondo. “venite a vedermi e venite a sentirmi”, con queste intenzioni ogni mattina la giornata inizia, e allora perché in quest’epoca sorgono incomprensioni a volte dai connotati feroci? Colpa anche dei social che alimentano pettegolezzi e disegnano scenari improbabili?
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Nel caso dell’ammutinamento fragoroso di Sasa Lukic la cosa a risaltare più di tutte è una evidente problema di comunicazione, e non solo dei bisogni, a quanto pare improvvisi vista la sua dichiarazione urbi et orbi di qualche settimana di apprestarsi a svolgere con dedizione e orgoglio la prossima annata calcistica da Capitano granata, di un giocatore che, diciamoci la verità, dopo tanti anni di anonimato e di onesto lavoratore della “pedata” si è ritagliato un’ultima stagione da protagonista affidabile nel centrocampo del Toro. Magari per prudenza sarebbe opportuno qualcuno ricordasse all’ex Capitano l’antico adagio di una rondine assai lontana dal fare una primavera. Ma lo scopo di questa riflessione non è tanto riassumere i soliti fatti tragicomici da calciomercato, con club poveri di risorse contendersi con sgambetti poco lusinghieri quel che resta del giorno del nostro calcio(ovvio come ci sia un club pronto ad offrigli nuove meraviglie dietro i malumori del giocatore serbo), ma piuttosto cercare di capire il motivo di tanto “rancore sociale” ogni qual volta una persona più che benestante, condizione oggettiva dei calciatori, si palesa a rivendicare il diritto di migliorare verso l’alto la propria condizione di lavoratore.
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Perché, in buona sostanza, con i calciatori si ha un rapporto di vero amore e odio sfociante a volte nello schizofrenico? Ricordo di aver visto un vecchio spezzone di un programma in bianco e nero targato Rai, in cui un giovanissimo Gianni Rivera, immerso nella sua era da “Golden Boy”, veniva preso letteralmente a pesci in faccia da dei giovani sessantottini convinti di poter cambiare il mondo anche colpendo un sacro re del pallone, considerato troppo giovane e troppo ricco per poter essere lasciato in pace. Si fa largo l’idea, nel guardare bene il nostro rapporto mediatico e sentimentale con i protagonisti del calcio, della costruzione, nel nostro intimo, della figura del capro espiatorio tratteggiato in modo sublime da William Shakespeare ne “Il Mercante di Venezia”, dove l’invidia si abbatte in modo violento e drammatico sull’usuraio ebreo Shylock, personaggio elevato a riflesso incondizionato di una invidia in questo caso lesta ad usare come veicolo il pregiudizio antisemita presente da secoli in tutta la società occidentale. Allo stesso modo di Shylock, il calciatore viene accerchiato prima dal bisogno (in questo caso delle sue talentuose prestazioni) e poi da un rimuginare continuo sulla sua vita splendida, condotta attraverso munifici mezzi proprio nel periodo migliore dell’esistenza umana, quella gioventù in cui tutto appare possibile e disponibile. Non lo si ammetterà mai (l’invidia è uno di quei sentimenti difficili di cui prendere veramente atto), ma tra concordia e discordia vi è perfetta continuità, un rincorrersi senza sosta che inchioda i più fortunati ad un processo senza fine da parte di chi la fortuna o non l’ha mai avuta, o ritiene di averla vissuta in minima parte. Non sorprende, quindi, il riferimento sprezzante al suo lauto guadagno allorché una persona vissuta fino a ieri nel pantheon delle nostre emozioni delude. Si può contenere l’invidia nel momento del rispetto e delle attese, ma quando tutto questo crolla ogni denaro ricevuto è sempre troppo rispetto alla normalità in cui è costretta a vivere la gran parte della società.
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Fa riflettere una disuguaglianza fin troppo abissale notata solo nel momento in cui non risulta più accettabile a livello emotivo il comportamento di chi beneficia del privilegio. Questa, sia chiaro, non vuole essere una difesa di Lukic, il cui comportamento non può essere giustificato in nessun modo, specie se ci si trova alla vigilia della prima partita di un campionato e di fronte all’emergenza di un organico ridotto per squalifiche e infortuni. Ma anche delle persone che decidono, per una protesta se volete legittima, di bloccare il Grande Raccordo Anulare di Roma non hanno molte giustificazioni, in fondo cosa mai c’entrano gli automobilisti rimasti improvvisamente impantanati nel traffico immobilizzato con le loro rivendicazioni? La differenza sta unicamente nella condizione di operai a rischio disoccupazione per la probabile chiusura della loro fabbrica.
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Con questo tipo di rivendicazioni non riusciamo a prendercela, anzi intimamente le sosteniamo poiché la grande assente è proprio l’invidia. Non possiamo certo avercela con dei lavoratori disperati dal non sapere come manterranno la loro esistenza a partire dall’infausto giorno del loro definitivo licenziamento. Messa così la possibilità di rivendicare un diritto rischia di essere legittimata a livello sociale esclusivamente per le classi meno abbienti, a cui in tutta evidenza il giocatore serbo del Toro non appartiene. “si facesse bastare i 700.000 euro che già prende. La maggioranza della gente non arriva a guadagnarli in una vita”, questo è il mantra messo in giro sui social da alcuni tifosi imbufaliti. Forse ha ragione il quotidiano inglese “The Guardian” quando afferma si stia vivendo nell’era dell’invidia annichilente, amplificata dai social dove i più fortunati (una vera esigua minoranza) non riescono a trattenersi dal postare le foto delle loro residenze da sogno, i loro “parchi” macchina da 200.000 euro in su, le loro vacanze eccessivamente abbronzate e gaudenti, le splendide donne/uomini di cui sono circondati. Sono immagini di trionfi, o presunti tali, atte a generare una rabbia il più delle volte difficile da gestire.
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Se per Flavio Briatore questa è tutta benzina per il suo business stile “destinazione paradiso”, se per gli evoluzionisti sociali è un aiuto incredibile per il progresso, per le masse costrette a pagarsi, quando va bene, le vacanze a rate la situazione, oltre ad essere ingestibile, diventa inaccettabile. Non è facile, al punto in cui siamo arrivati, ammettere serenamente non che anche i ricchi piangono, ma che abbiano tutto il diritto di provare a guadagnare ancora di più se il mercato è disposto a concederlo. Semmai il problema di Lukic e i suoi sodali è aver smarrito completamente il senso del ruolo sociale ed emotivo da loro giocato presso la gente; a volte sarebbe bene vivessero le loro vite con un certo “nascondimento” assumendo consapevolmente la responsabilità del “ruolo” ricoperto, poiché non dovrebbe essere mai confusa la libertà con l’anarchia. Però deve essere chiaro il concetto come Sasa Lukic, e chiunque faccia il suo lavoro, abbia tutto il diritto di lottare per far progredire, sia a livello finanziario sia a livello di ambizioni, la sua situazione. “Negotiamini donec veniam” (fate affari finché ritornerò) si legge nella “Parabola dei Talenti” del Vangelo di Luca, ed è proprio Gesù, quindi, a sdoganare il profitto dalle questioni da indicare al pubblico ludibrio.
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Per l’equità sociale, importante quanto l’acqua di fonte e il sole splendente, sarà meglio affidarsi a Di Vittorio e al suo vocabolario. La strada della giustizia è ancora lunga, ma non sarà certo l’invidia la via maestra per percorrerla con successo. Gli errori comportamentali di Lukic non siano i nostri errori. Noi possiamo essere migliori.
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Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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