Loquor

Il mondo di Ceferin e De Siervo

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Torna un nuovo appuntamento con la rubrica "Loquor", a cura di Carmelo Pennisi

Carmelo Pennisi

“L’amore non è ricambiato.

                                                                             L’odio lo è sempre”.

Ugo Bernasconi

Le ultime due interviste di Luigi De Siervo (Amministratore Delegato della Lega Serie A) e Aleksander Ceferin (Presidente UEFA) sono incentrate su vari argomenti che, passandoli al setaccio, riconducono ad un unico e solo comune denominatore: il denaro. Ma se dopo averle passate al setaccio avessimo cura di volerle approfondire ancora di più approcciandole attraverso altri punti di vista, ci si potrebbe accorgere di come, oltre al denaro, altre questioni spesso occulte, o occultate dai media, vengano fuori a interrogare chi abbia ancora voglia di interrogarsi sul senso delle cose, cercando di riannodare un filo con quella salvifica “ostinazione umana” di cui parla Albert Camus (grandissimo appassionato di calcio) nel suo “Le Mite de Sisyphe”. Negli ultimi tre anni siamo stati così rintronati da un sistema mediatico “polarizzato” (vaccino sì- vaccino no, armiamo gli ucraini-gli ucraini si arrendano), ormai un classico dell’Italia politica/intellettuale degli ultimi trent’anni, da averci fatto perdere completamente di vista quale sia la posta veramente in gioco, ovvero la salvezza della civiltà moderna di cui parla Nicola Chiaromonte, uno dei più importanti intellettuali del 900 italiano (colpevolmente dimenticato) che di Camus fu grande amico.

“Dobbiamo ragionare su cosa il mondo debba fare della tecnica e su come bisogna organizzare la vita economica perché l’economia non diventi la tiranna della vita sociale”, scrive Chiaromonte e pare proprio riferirsi, involontariamente, al mondo del calcio contemporaneo in continua trasformazione verso altro storicamente da sé, proprio in conseguenza di un mancato sviluppo armonico e coerente della sua economia nonché dell’intrusione dei mezzi tecnologici durante lo svolgimento del suo rito, parte integrante della civiltà moderna europea in modo indiscutibile. “Ballano miliardi” e non è il titolo di un musical di successo in scena nel “West End” londinese, ma semplicemente il leit motiv della lotta in corso sulla ristrutturazione complessiva del calcio continentale.

Fare più partite o meno partite non c’entra più niente con l’avvenimento agonistico e con la creazione di nuove epopee calcistiche, ma è il vil denaro lo spartito su cui occorre scrivere ogni tipo di musica, e l’entusiasmo da propaganda Pop di Pep Guardiola del dopo partita di Champions contro il Real Madrid, con un 4 a 3 che sa più da flipper che da partita di calcio, è quasi indecente se rapportato ai quasi due miliardi di sterline spesi sul mercato dai “Citizens” in soli dieci anni (e a questa cifra bisognerebbe aggiungere le commissioni per le procure e le mediazioni varie). Quando si hanno soldi da spendere a volontà diventa molto facile parlare di calcio spettacolo, riempiendo continuamente di contumelie che di necessità è costretto a fare virtù e quindi costretto a fare gioco con quello che ha.  Ma ora non importa soffermarsi troppo su chi si approfitta della cultura Pop per gloria e lucro personale, piuttosto soffermiamoci sull’impasse imposta alla civiltà moderna da dei mezzi tecnologici diventati talmente invasivi da imporre una sorta di stop all’evoluzione della Storia, perché il mezzo tecnologico ha bisogno di piegare quest’ultima alle sue esigenze di cristallizzazione di uno show, così come aveva previsto Peter Weir nel suo celebre film in cui Truman Burbank muoveva la sua esistenza, da lui creduta frutto di sue decisioni e azioni, nell’ambito di una sceneggiatura a cui continuamente era assoggettato.

Nella logica dello show consegnato alle esigenze primarie del mondo digitale, il cambiamento avviene solo nel momento in cui bisogna vendere qualche spot pubblicitario in più. Secondo Ceferin la panacea di ogni stortura o conflitto nel calcio europeo verrà sconfitta con la nuova formula della Champions League, che a partire dal 2024 metterà in scena un numero maggiore di partite, quindi più introiti da spartire tra i club. C’è da prevedere come tutti i mezzi tecnologici a disposizione delle varie piattaforme metteranno in scena un tale carnevale da ridurre alla stessa stregua di coriandoli assortiti partite sentite proprie, in Europa, come il canto di un “muezzin” da un minareto. Sì, ce la stanno mettendo tutta a distruggere il calcio, in una lotta tra cupidigia di potere e di denaro da far impallidire la Chicago degli anni 30 di Al Capone e dei bagordi e orge alcoliche figlie del proibizionismo più insensato di ogni tempo. “Il calcio italiano è finanziariamente debole” dice il Presidente UEFA, ovvero l’amico degli arabi stanziatesi all’ombra della Torre Eiffel con la complicità di Nicolas Sarkozy, sottolineando come in fondo siano accettabili i campionati tedesco e francese ormai appaltati a Paris Saint Germain e Bayern di Monaco, piuttosto che una maggiore competizione in una Serie A dove molti club faticano a pagare gli stipendi. Lo vive male l’odio, il nostro eroe sloveno, che proprio non riesce a dimenticare lo sgarbo di Andrea Agnelli e il suo progetto di SuperLeague, e cerca in ogni momento di far pagare all’Italia lo scotto delle azioni scellerate del figlio di Umberto, a costo di dire cose senza senso per un uomo di sport.

Tra complici è così, quando finiscono gli interessi in comune e il futuro li porta su binari paralleli allora, come in ogni trama da gangster movie che si rispetti, comincia una guerra senza esclusione di colpi. Si diventa così feroci da far dimenticare come il mondo ci stia guardando, e si cercano nuovi amici, magari più forti, nella speranza di farla pagare duramente all’ex complice. In tutta questa bile diventa facile dimenticarsi del proprio ruolo istituzionale, non è più lo sport il principale obiettivo ma piuttosto la capacità di monetizzare il più possibile i calci dati ad un pallone e dedicarsi allo sport washing (usare lo sport per ripulirsi l’immagine) con i nuovi amici qatarini. Sarà curioso vedere cosa avrà da dire Luigi De Siervo il giorno in cui “Investcorp”, il potente fondo di investimento bahreinita, si assicurerà la proprietà del Milan. Chissà se riuscirà ad alzare qualche timida protesta verso un Paese,  il Barhain, noto, secondo le denunce di Amnesty International, di “addomesticare” gli avversari del regime di Hamad bin Isa Al Khalifa attraverso torture condotte a base di percosse, elettroshock, privazioni del sonno e abusi sessuali. Ma al momento per De Siervo l’importante è opporsi a Ceferin e al suo aumento di numero di partite nella Champions League.

Un qualcosa, secondo l’Amministratore Delegato della Lega Serie A, che danneggerebbe l’andamento economico del nostro campionato. Fate caso come ormai non si parli più di sport nelle istituzioni sportive continentali (al massimo ci si concede, ma con moderazione, la parola “spettacolo”), ma solo ed esclusivamente di soldi. In nome di questi, e del potere, si passa sopra a qualsiasi concetto utile da usare solo se si deve parlare di Vladimir Putin (e questa non vuole essere assolutamente una difesa del Presidente Russo). Pep Guardiola, strenuo difensore dei diritti sovrani della Catalogna, probabilmente non si è mai chiesto nulla sul contesto socio/politico da dove provengono i soldi delle munifiche campagne acquisti del suo Manchester City. Gli Emirati Arabi sono praticamente una proprietà privata di Mansur bin Zayed Al Nahyan e famiglia, un luogo, secondo la direttrice della campagne sul Medio Oriente di Amnesty International Samah Hadid, dove si subiscono arresti arbitrari, sparizioni forzta, torture e processi irregolare. Ma chi se ne importa, l’importante è avere il bel gioco pagato con soldi a profusione messi a disposizione da un regime con queste “qualità” di pensiero. Inebriati dai soldi arabi, nessuno più ricorda a Manchester come Anna Connell fondò il City (unica donna ad aver fondato una squadra di calcio) perché voleva tenere gli uomini fuori dai guai e possibilmente lontani dai pub. E’ probabile che la cultura maschilista degli attuali proprietari dei “Citizens” non farà proprio niente per recuperare la memoria di una donna situata nella genesi del club. In questa situazione, così scarsa di memoria e di idee per cui lottare, sarà difficile salvare la civiltà moderna tanto cara a Nicola Chiaromonte.

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Ma se noi tutti siamo ineluttabilmente destinati prima o poi a morire, e quindi a trascendere alla Storia, è vero anche che siamo ostinati e capaci di recuperare noi stessi in un attimo. Le persone non hanno solo un compito “storico” e “contingente”, ma anche quello di preservare per il futuro la vera anima della consistenza reale delle nostre cose. Le persone di “successo” hanno dimenticato ciò, quindi pensiamo in fretta, assai infretta, come distinguerci dal loro cono di luce. Proviamo a salvarla questa civiltà moderna, in special modo da una elite persa nell’autoreferenza e smemorata sulle origini delle cose da loro amministrate. A questi ultimi potrebbe essere utile un fulminante pensiero di Albert Camus: “ero perseguitato da un timore ridicolo… non si poteva morire senza aver confessato tutte le proprie menzogne”. Chissà cosa intendeva  lo scrittore francese…

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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