“Oggi la gente conosce il prezzo
columnist
Il Torino e il Wolverhampton hanno una storia?
di tutto e il valore di nulla”.
Oscar Wilde
Nel mito della caverna di Platone, degli uomini tenuti prigionieri con la faccia rivolta verso una parete che proietta ombre, ritengono che quella parete e quelle ombre siano il mondo, ovvero siano la verità. Le ombre proiettate sul muro sono, per il filosofo greco, la fantasia. Il regno dell’opinabile, il punto più basso della conoscenza. Punto più basso perché è una conoscenza illusoria. Se rimaniamo nella caverna, al massimo possiamo passare al secondo grado della conoscenza, cioè la credenza legata agl’oggetti proiettati contro il muro come delle ombre. E la credenza è superiore alla fantasia perché ha un legame con la verità, in quanto verosimile.
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Spero il lettore perdoni questa estrema sintesi di una delle teorie più celebri di Platone, ma negli ultimi tempi sovente mi è rivenuta in mente osservando gli accadimenti del mondo del calcio. L’ intreccio di passioni forti, cicli che si ripetono, tradizioni sempre più sbiadite, soldi di cui non si conosce il confine della moltiplicazione, sembrano sempre più aver ridotto lo sport più popolare del mondo ad un gioco delle ombre confinato su una parete. Troppi sono i soldi e i giochi di potere in ballo, per poter realmente ritenere di assistere ad uno sport confortati dalla luce del sole. Eppure in quelle poche settimane che dividono la fine di una stagione con l’inizio di una nuova, noi tifosi giungiamo a provare delle vere e proprie crisi di astinenza da quei ventidue uomini in mutande che corrono dietro un pallone all’interno di un prato verde. Stravolti e smarriti da tale crisi, cerchiamo momenti di sollievo nel “metadone” mercato trasferimenti calciatori. Cioè, in modo quasi paradossale vista la nostra evidente condizione di sofferenti, torniamo a rivolgerci al più basso grado della conoscenza: quello della fantasia. Diciamoci la verità con franchezza; non sappiamo quasi nulla sui perché e sui per come un dato calciatore venga acquistato o venduto, ma comunque con la nostra fantasia, quindi con la nostra opinabilità, scioriniamo tutta una serie di giudizi che di certo fanno sorridere chi gestisce le ombre della parete della caverna.
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Condanno senza esitazione il sorriso di chi ci ha relegato davanti a delle ombre, perché quello è stato l’inizio di tutta una serie di stravolgimenti di un gioco che aveva delle sue regole e dei suoi riti consolidati nel tempo. Un tempo sostituito da un altro tempo, al quale in futuro sarà difficile, per i posteri, dotarlo di un nome. Posteri a cui non stiamo lasciando niente, perché siamo presi più da un’ansia di consumare e a dare delle nostre fragili opinioni, che a cercare di essere protagonisti della storia del gioco. Il calcio non è più un istante nel tempo, quindi un frammento del nostro vissuto, ma solo un ologramma da consumare. Noi tifosi siamo cambiati, anche se la passione è rimasta quella di cento anni fa, perché qualcuno ci ha convinto come il nostro sport dovesse, e debba, necessariamente trasformarsi in un industria. Un’immensa società per azioni, dove resta ignota la composizione del consiglio di amministrazione e il suo amministratore delegato. Le ombre sulla parete sostengono, senza che nessuno di noi abbia la voglia e il tempo di smentirle, come una società di calcio quotata in borsa sia, in fondo, un coerente segno dei tempi. Tempi dove la finanza mondiale, ci raccontano le ombre, obbliga aziende e debiti sovrani degli stati a fare i conti con i mercati del denaro digitale. Del denaro che non esiste, ma che pesa come un macigno sulle nostre teste. Bisogna per forza stare sulle piazze finanziarie, a dire delle ombre, perché c’è il rischio di apparire anacronistici se non si accetta quel metodo di raccolta fondi. La massa azionaria collocata sul mercato globale (il mio United è presente alla Borsa di New York), ha spostato il focus dai tifosi ai potenziali, da aumentare a tutti i costi, fruitori di un brand che fa glamour e sensazione. L’obiettivo non è più mettere in piedi una partita di calcio, ma è mettere in scena uno spettacolo. E se un giorno capita di affrontare i “Red Devils”, non è più una sfida con Manchester, con la sua storia e la sua tradizione, ma piuttosto è la condivisione di uno show. I ferrovieri che diedero vita ad una delle squadre più celebri del mondo, ormai sono stati inghiottiti da tutto il digitale in cui i mercati si specchiano. Questo, pare, sia il vero al quale dobbiamo adeguarci.
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Ma se per un attimo ci voltiamo da quella parete piena di ombre fluttuanti, allora capita di scoprire cose interessanti. Come, per esempio, che la borsa non è una “conditio sine qua non” per essere adeguati al mondo moderno. La “Cargill” e la “Koch Industries”(parliamo di fatturati annui da oltre 100 miliardi di dollari) sono tra le più grandi aziende private degli Stati Uniti, e hanno raggiunto fatturati monstre senza il bisogno di collocarsi in borsa, nonostante operino in un contesto socio/culturale dove l’iper-liberismo economico è più di un sistema di regole per fare soldi, è una visione filosofico/esistenziale. Queste aziende, come la Ferrero per fare un altro esempio, sono la dimostrazione come il capitalismo non abbia un solo volto, e come le cose nella vita non debbano procedere solo con una modalità che “qualcuno” vuole a tutti costi si debba perseguire. Giovani Ferrero, in un’intervista di qualche tempo fa, cercando di spiegare i vantaggi del capitalismo familiare, ha spiegato come le visioni di una generazione, nella nota azienda dolciaria che oggi dirige, vengono portate avanti dalla generazione successiva, “senza doversi preoccupare del risultato finanziario del prossimo trimestre, come invece accade alle società dominate dai fondi di investimento”.
Non devono averla pensata così dalle parti di Wolverhampton (a proposito: in bocca a lupo al Toro per lo scontro contro i “lupi” delle West Midlands), quando nel 2016 si è deciso di vendere la proprietà del club a Fosun International, il più grande conglomerato privato della Cina continentale. Difficile comprendere come le visioni di una delle più potenti società del mondo, che ha fatto della diversificazione industriale e finanziaria la pietra miliare del suo agire, possano combaciare con quella di un club che fu nel 1888 uno dei club fondatori della Football League. Nel mondo della parete piena di ombre, ci si convince che ci si consegna ad un potere indefinito per tornare a vincere, o sperare di farlo. I tanti soldi sono ritenuti spesso la via più breve per trionfare, e se per questo stiamo imboccando una via di cui non si conosce la stazione finale d’arrivo, poco importa. Fa impressione(almeno a me lo ha fatto) come nella presentazione del prossimo incontro dei preliminari di Europa League tra Torino e Wolverhampton praticamente nessuno si sia soffermato sul fatto che si stanno per sfidare due compagini ricche di storia, e di tanto significato per il football. Le vicende del Torino e del Wolverhampton sono tra i motivi per cui da generazioni le persone si tramandano l’amore per il calcio. Invece tutti lì a raccontare in modo ossessivo la differenza dei fatturati, sia in termine di gestione societaria che di campagna acquisti, esistente tra i due club. E’ la distruzione della “storia” che sta avvenendo sotto i nostri occhi, e davanti alla parete dove si proiettano ombre non solo ciò sembra plausibile, ma anche assolutamente accettabile.
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La partita tra i Wolves e i Granata sarebbe stata, e potrebbe ancora essere, un’ottima occasione per far conoscere alle nuove generazioni le genesi e gli epici aneddoti di questi due club. Con quanta facilità e superficialità si disperde patrimonio. Ma qualcuno, per fortuna, ha deciso di abbandonare le ombre della parete della caverna, per guardare le cose con la luce del sole. I tifosi dell’Union Berlin, quelli che nel 2008 avevano finanziato la ristrutturazione del loro stadio donando il sangue per dieci euro e lavorando gratis con carriole e cemento, si sono presentati alla loro prima partita in Bundesliga della loro storia con dei cartoncini con su stampate le foto dei loro famigliari scomparsi: “ loro non hanno fatto in tempo a vederlo questo giorno. Ma oggi dovevano essere qui insieme a noi”. I tifosi dell’Union si ritengono davvero una famiglia e il loro stadio si chiama “La Vecchia Foresteria”, perché la squadra per queste persone è il simbolo e il ritrovo di una comunità. Da qui la loro decisione, per protestare contro la logica da multinazionale della RedBull, di restare in silenzio i primi quindici minuti della partita contro il RedBull Lipsia. Alla fine lo Union ha perso 4 a 0, ma quei tifosi con le foto dei loro cari rivolte verso il cielo e il loro silenzio di protesta, ci hanno insegnato come le ombre della parete sulla caverna non siano il nostro unico orizzonte. Ci hanno ricordato come vincere non sia tutto, e come la tradizione non sia solo forma, ma la fondamentale anima di cui si nutre la storia del calcio. Perché, come qualcuno ha scritto, “la tradizione non consiste nel conservare le ceneri ma nel mantenere viva una fiamma”. Prosit, carissimo Platone.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
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