- Calciomercato
- Prima Squadra
- Giovanili
- TN Radio
- Interviste
- Mondo Granata
- Italia Granata
- Campionato
- Altre News
- Forum
- Redazione TORONEWS
“Lo chiamavamo calcio
ed era bellissimo”.
Fabrizio Caramagna
Chissà se Florentino Perez, munifico presidente del Real Madrid, abbia mai letto le parole scritte da Victor Hugo dove lo scrittore francese definiva Parigi non solo una città sacra ma anche un luogo da non poter essere attaccato perché sarebbe come attaccare in massa tutto il genere umano. Semmai le avesse lette dovrebbe avere chiara in cosa consista la famosa “grandeur” francese, qualcosa che si è forgiata tra un nazionalismo molto prossimo allo sciovinismo e un eterno complesso di inferiorità verso la Germania, e solo verso il Paese teutonico. Sarà per questo, si potrebbe pensare, che tutti, nell’establishment francese in stile “Ena” (l’Ecole Nationale d’Administration, ormai soppressa dalla riforma Macron), si siano messi di traverso davanti all’ipotesi di un Kylian Mbappè con le valigie in mano in direzione Madrid. La “noblesse d’etat” (l’elite repubblicana), alla guida dei cugini d’oltralpe dal dopoguerra ad oggi, si trova coinvolta in un momento storico alquanto delicato, visto come il l’intero globo si trovi davanti a delle trasformazioni epocali delle mappe del potere e dell’economia.
LEGGI ANCHE: Il mercato del calcio e la noia
Tali trasformazioni stanno mettendo a dura prova l’altissimo concetto che la Francia ha di se stessa, in una “guerra” considerata dalle parti dell’Eliseo impensabile da poter perdere. Così mentre nel mercato calcistico italiano si contano persino le “cento lire in tasca” e si accendono ceri a profusione di fronte ad un “Recovery Fund” come possibile occasione di rinascita economica del BelPaese, i Transalpini vivono il loro momento di gloria calcistica grazie ai gas dollari dei qatarini, da un po’ di anni perfettamente funzionali al progetto della “Repubblique” di tenere vivo il sogno della sua grandezza. “Mbappè sognava di giocare nel Real Madrid – ha dichiarato di recente don Florentino – e continuava a dire che voleva giocare nel Real Madrid. Poi tutto è cambiato in 15 giorni: da un lato la pressione politica, dall’altra quella economica.
LEGGI ANCHE: La fine del calcio?
Kylian è un ragazzo molto giovane, se lo chiama il Presidente della Repubblica un ragazzino è colpito, anche se non ha molto senso che chiami il Presidente di Francia”. Beato don Florentino, ancora cerca di trovare un senso ad un mondo del calcio consegnato in confezione regalo alla elite mondiale che sta cercando, per propri interessi, di utilizzarlo per altri fini rispetto al gioco. Il presidente del Real non ha ancora capito ( si fa per dire) come il calcio sia ormai diventato un fotogramma esistenziale dei grandi giochi di potere in corso nel mondo. Ma se la fotografia è una reazione immediata e il disegno è una meditazione, allora tocca sforzarsi di prendere una matita in mano e cominciare a tracciare in punta di pensiero ciò che l’animo ferma in una istantanea emotiva. E se facciamo scorrere la matita nel tentativo di fare un ritratto di Emmanuel Macron, possiamo facilmente scoprire come l’attuale presidente francese sia in assoluta continuità con i suoi predecessori nell’intento di aumentare l’influenza del suo Paese nella “vision” araba del mondo, per poi averne indietro vantaggi ben maggiori dell’organizzazione di un Campionato del Mondo. O almeno così la “noblesse d’etat” pensa e spera, anche per recuperare una influenza nella “politica araba” assai smarrita a causa della leadership statunitense impostasi nel tempo nell’area mediorientale.
LEGGI ANCHE: Il sogno dei fondi americani
Sono surreali i francesi nelle loro giustificazioni davanti all’ingiustificabile, e fa impressione, a distanza di dieci anni, il commento di Michel Platini a proposito di una cena all’Eliseo con Nicolas Sarkozy, allora presidente francese, e l’emiro qatarino Tamim bin Hamada al Thani: “fui invitato a cena da Sarkozy, ma non sapevo che avrei trovato l’emiro del Qatar. Comunque vi giuro con la mano sul cuore che Sarkozy non mi chiese il voto per il Qatar, anche se capii che a lui la cosa interessava molto”. Un capolavoro di furbizia d’accatto e di sicurezza di impunità, ma di normale “servizio dovuto alla Francia” a cui ogni buon francese si deve sottoporre, anche a discapito della propria reputazione allorquando la “Repubblique” lo chiama a rapporto. Da quella famosa cena, oltre all’assegnazione dei mondiali di calcio ad un Paese periferico e discusso, molte cose sono accadute in Francia, ivi compresi i numerosi interventi finanziari dei fondi di investimento qatarini in numerose aziende transalpine in difficoltà, tra cui il gruppo “Lagardere”.
LEGGI ANCHE: L’addio di un calciatore
E la “noblesse d’etat” pare non sia stata minimamente scossa dai “Qatar Papers”, spietata documentazione sul fiume di dollari riversati dal piccolo emirato in tutta Europa per favorire la diffusione del fondamentalismo islamico in tutto il Vecchio Continente. Ma il calcio, come è noto, addomestica le masse e favorisce le relazioni, anche perché sostanzialmente mette d’accordo tutti. Ecco quindi Emmanuel Macron mandare in scena l’ennesima pantomima estremamente provocatoria per chi ancora sia in grado di far funzionare l’intelligenza e il discernimento, confermando, durante la lunga attesa della decisione di Mbappè se trasferirsi o meno in Spagna, di aver telefonato al giocatore del PSG ma solo “per consigliarlo di rimanere in Francia”. E qui un po’ viene da associarsi allo stupore di don Florentino, visto come non sia proprio una cosa usuale vedere un politico coinvolto nella più alta carica istituzionale occuparsi del mercato calciatori(lo si immagina impegnato in altre questioni).
LEGGI ANCHE: La truffa mondiale dell’Ecuador
Macron ha continuato il suo esilarante intervento sulla vicenda tenendo a precisare il suo essere tifoso dell’Olympique Marsiglia(ove mai qualcuno volesse adombrare una qualche forma di conflitto di interesse) e annoverando il suo intervento su Mbappè come quello di un cittadino qualunque “desideroso di vedere del bel gioco. Quando viene sollecitato in modo informale e amichevole – ha continuato Macron -, il ruolo di un Presidente è quello di difendere il Paese”. A questo punto lo stupore, mio e di don Florentino, si trasforma in risata, poiché risulta davvero difficile trovare una correlazione tra Mbappè e la difesa della Francia, soprattutto se operata in veste di “cittadino qualunque” come vorrebbe far credere l’attuale inquilino dell’Eliseo. In tutto questo c’è da chiedersi cosa mai pensino sul serio di noi comuni mortali le elite occidentali, specie se ci si ritrova di fronte a comunicati stampa grotteschi come quello relativo al rinnovo con il PSG, in cui Mbappè sostiene di aver deciso di impegnarsi con i parigini per l’assoluta convinzione di poter continuare “a crescere in seno ad un club che non lesina mezzi per raggiungere i propri traguardi”, per poi ringraziare Al Khelaifi “per la sua pazienza”.
LEGGI ANCHE: Il mondo di Ceferin e De Siervo
Sì, siamo al grottesco conclamato e alla sottovalutazione dell’intelligenza dei poveri disgraziati che continuano a seguire il calcio nonostante l’evidente disprezzo delle loro capacità intellettuali e cognitive. Aver praticamente obbligato un giovane calciatore a rimanere in Francia, visto come sia oggettivamente difficile resistere alla pressioni della massima carica del Paese, richiama agli antichi “sistemi di persuasione” in voga nei Paesi al di là della antica “Cortina di Ferro” e fa riflettere molto quanto siano sempre più a rischio i nostri spazi di libertà. E se qualcuno ritiene come al giocatore del PSG questa limitazione della libertà sia stata ben remunerata da un ricco contratto, allora vuol dire che la situazione “esistenziale” del nostro Continente sta per superare una soglia dal quale difficilmente si potrà tornare indietro.
“Nessun giocatore nella storia è più grande del Real Madrid”, ha detto Florentino Perez nel prendere atto dell’impossibilità di prendere il giocatore francese, e si resista alla tentazione di fare un’analogia con l’antica storia della volpe che ritiene rancida l’uva a cui non si riesce ad arrivare. Se amiamo il calcio, se veramente lo amiamo, dobbiamo prendere la frase del presidente del Real e metterla come pietra miliare del nostro essere tifosi: il club rimane in eterno, il tifo resta immutabile, i giocatori passano. Ci si riappropri dell’intelligenza e della verità, quella che rende liberi.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA