In memoria di Anthony Weatherill, Toro News è lieto di annunciare che la rubrica “Loquor” continuerà. A portare avanti l’enorme eredità di pensiero lasciata da Anthony sarà Carmelo Pennisi, che insieme a lui già collaborava per la stesura della rubrica condividendo opinioni, ideali e sensibilità. Buona lettura!
columnist
Indiscrezioni sul mercato del Toro
“Un’intuizione è la creatività
che cerca di dirti qualcosa”.
Frank Capra
“Loquor” non parla quasi mai di Toro, ma c’è un piccolo fatto che forse vale la pena di raccontare. Contesto: mercato giocatori di gennaio. Fonte: due procuratori (di cui non faremo i nomi per ovvie ragioni) agganciati al giro importante della compra/vendita (anche a livello internazionale) di giocatori. Oggetto: possibili movimenti di mercato del Torino FC. In una chiacchierata avuta, in più riprese in questi ultimi due mesi, con due stimati professionisti del calcio, si è delineato un quadro piuttosto complesso, anche se chiaro, sulla reale posizione di Urbano Cairo rispetto agli impegni economici che può e non può prendere. Inoltre, a mio parere, delinea anche un giudizio abbastanza netto su cosa la dirigenza granata pensi dell’attuale forza della squadra e del suo evidente timore di poter sempre di più prendere la strada che conduce alla Serie B. I due procuratori in questione si sono detti a dir poco allibiti per il rischio a cui la società granata si sta seriamente sottoponendo, anche perché un’eventuale discesa nella serie cadetta porterebbe all’inevitabile cessione dei “pezzi” pregiati del roster del club presieduto da Urbano Cairo.
Il ritorno in B significherebbe l’azzeramento di tutto un lavoro fatto negli ultimi dieci anni, cominciato da Gian Piero Ventura e che ha avuto il merito di dare almeno qualche tranquillità alla storia granata, dopo il traumatico fallimento del 2005. Non sarebbe cosa da poco e, a meno di stravolgimenti ricchi nell’assetto proprietario del club, si aprirebbe uno scenario di sofferenza lungo e incerto nello sviluppo. Ed è l’essersi messi in questo rischio a sconcertare le fonti consultate da questo articolo. “In fondo basterebbe poco – avevano detto poco più di un mese fa -, si tratterebbe di lasciare fare, a delle persone in grado di leggere correttamente la situazione di crisi, un mercato di gennaio riparatore di alcuni errori commessi in estate. Lasciando agire queste persone, il Toro potrebbe arrivare ad una salvezza più che agevole”. Queste dichiarazioni confidenziali rilasciate a fine novembre, sembrano un chiaro atto d’accusa a chiunque abbia deciso, questa estate, l’allestimento finale della squadra da mettere a disposizione di Giampaolo. È quasi ovvio sottolineare il trovarsi di fronte a dei pareri, che per quanto autorevoli, possono e devono essere opinabili. Quando tutto non va per il verso giusto, ogni critica assume sempre i contorni di una sentenza irredimibile verso coloro ritenuti responsabili. Nell’Apocalisse ogni parola rivolta “contro” è un prodromo di una giustizia in arrivo. Ma la sensazione che, in fondo, non basterebbe molto per rimettere nella giusta carreggiata la macchina granata è netta anche in chi del calcio non ne ha fatto una professione, ma semplicemente una passione da seguire. Non bisogna essere dei fini conoscitori dei retroscena del calcio italiano, per farsi una semplice domanda: perché l’acquisto più oneroso dell’era Cairo, è stato fatto su un giocatore che nel Napoli non giocava titolare nemmeno nelle amichevoli? Cosa mai hanno intravisto in Simone Verdi i responsabili della gestione sportiva dei Granata?
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Le fonti di questo articolo a dicembre sostenevano come fosse quasi impossibile parlare con la proprietà del Toro, con difficoltà oggettive ad intavolare qualsiasi tipo di trattativa. “Da quelle parti (quelle del Toro) vogliono solo giocatori in prestito secco o con diritto di riscatto. Così è quasi impossibile fare mercato”, era stato il commento sconsolato nei giorni precedenti alle vacanze natalizie. Queste parole, se gli si vuole dar credito, descrivono un club impossibilitato ad impegnarsi economicamente per l’acquisto di giocatori, seppur ritenuti necessari per tentare una svolta positiva alla difficile posizione di classifica in cui il Toro versava all’inizio di dicembre. Ma ci sono momenti che, seppur vicini temporalmente, appaiono improvvisamente come la rappresentazione di un “secolo fa”. E nel “secolo fa” della prima settimana di dicembre del 2020, nessuno riusciva ancora a prendere atto del serio rischio di chiudere l’anno al traumatico ultimo posto.
Questa cosa deve aver scosso molto qualche umore a Via Arcivescovado, e infatti ecco giungere una telefonata di uno dei due procuratori: “Mi hanno chiamato per risolvere in sede di mercato qualche situazione al Torino. Le regole di ingaggio sono queste: comprare solo se è un affare e se si riesce a vendere. Giocatori senza contratto. Prestito con diritto di riscatto”. La decisione del Toro di provare a muoversi sul mercato di gennaio, sempre impervio e foriero di bufale (anche se Ciro Immobile nel 2016 fu una scelta azzeccata), sarebbe la resa incondizionata al fallimento delle mosse estive di mercato, vorrebbe dire di ammettere al mondo di aver preso cantonate inspiegabili. Ma, d’altronde, un ultimo posto lascia poco spazio alla difesa di un lavoro apparso lacunoso sin dall’inizio. Le regole d’ingaggio, inoltre, che la società granata avrebbe stabilito, raccontano in modo chiaro due questioni: “Abbiamo esigenza di colmare qualche urgente lacuna tecnica della squadra, non possiamo spendere soldi per farlo”.
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Se le cose così stanno, c’è da dire come non sia molto gratificante, per una società con la storia del Toro, sperare nel fatto che ci siano club con la seria esigenza di parcheggiare in prestito un giocatore di valore in campionato in corso. È la speranza della disperazione e di una mancata programmazione volta ad avere un fondo per situazioni di emergenza, come quella attuale. Vuol dire avere sottovalutato il rischio economico/aziendale di una squadra impreparata a scendere in B, ma che tuttavia le circostanze stanno prefigurando come un’ipotesi possibile. Stupisce come un imprenditore del calibro di Urbano Cairo si sia messo nella condizione di un rischio del genere. Verrebbe da chiedersi cosa ci sia dietro, ma chi scrive è di quelli convinti come Giulio Andreotti non avesse così ragione nel suo celebre aforisma “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”. E quindi dietro a questo “dramma” in corso al Torino tendo a non vederci niente, se non incapacità professionali e incredibili errori di valutazione. E se posso permettermi un’osservazione critica sul presidente del Toro (spero non la prenda come una mancanza di rispetto, perché non è questa l’intenzione), credo lui abbia mostrato di non avere l’intuito necessario a capire il calcio, all’apparenza storia semplice, ma complessa come tutte quelle che appaiono tali.
Perché l’intuito in una professione, Cairo lo sa bene, non è merce da potersi comprare in qualche mercato o università, è il mistero di un carisma nascosto nelle pieghe di un’anima. È il riconoscere e conoscere quell’invisibile di uno spogliatoio, raccontato da Giampaolo qualche giorno or sono. È saper allestire, negli ultimi movimenti di mercato, una squadra come il Verona (a 4 punti da Napoli e Atalanta) con “soli” 15 milioni. L’attuale presidente del Toro non ha il carisma del calcio, ed è un tratto della sua personalità così evidente, che sorprende come non abbia posto riparo a tale mancanza mettendosi vicino uno con il carisma giusto per gestire le vicende del mondo della pedata. L’atavico problema del cinema e del calcio è che tutti ne vedono in quantità industriale e sono semplici anche da “consumare”, quindi la conclusione logica è che non si è tutti allenatori e registi solo perché nella vita si è impegnati in altro, oppure per mere circostanze sfortunate. Nel nostro subconscio è facile si faccia strada una perniciosa domanda: se ce l’ha fatta il quasi analfabeta (con il solo dono di saper parlare diverse lingue) Mino Raiola, perché non io? Se il geometra Costantino Rozzi fu mitico presidente decisionista dell’Ascoli dei miracoli, perché io, laureato alla Bocconi, non posso esserlo del Toro? Provando a rispondere seriamente a questa domanda, Cairo non potrà che giungere ad una conclusione: o vende il Torino, o si mette accanto una persona con l’intuito giusto per afferrare non solo l’invisibile presente in un spogliatoio, ma anche quello presente nella genia degli uomini di calcio. Rimanere immobile nel guado dove si trova adesso, per il presidente del Toro vorrebbe dire rischiare ogni giorno di cadere nell’abisso. E non può, proprio non può, chiedere ai tifosi granata di seguirlo. Qualcuno ha scritto che “la donna intuisce ciò che l’uomo capisce”, sarà per questo che la creazione ha stabilito di affidarle il compito più serio, difficile e meraviglioso tra tutte le esperienze umane: la maternità.
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Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News, annovera tra le sue numerose opere e sceneggiature quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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