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La Red Bull, il miliardario e Jurgen Klopp

Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 
Nuovo appuntamento con Loquor, la rubrica su Toro News di Carmelo Pennisi: "Il modello di business ideato e pianificato nel tempo a Salisburgo, prevede l’azzeramento di ogni storia..."

“Non conosciamo più la gioia

delle cose durevoli”

Zygmunt Baumann

Zygmunt Baumann, nell’elaborazione del celebre concetto della “Modernità Liquida”, aveva delineato con chiarezza la solitudine dell’individuo privato di tutti i suoi valori comunitari e confluito suo malgrado nell’unica comunità possibile rimastagli a disposizione, ovvero la “comunità del consumo”. Ho ripensato alle idee del sociologo polacco, uno dei più importanti intellettuali del '900, allorché è giunta la notizia, rivelata dal quotidiano “L’Equipe”, di un imminente acquisto del “Paris FC” da parte di Bernard Arnault, uno degli uomini più ricchi del mondo, e della “Red Bull”, con una quota di minoranza rispetto ad Arnault. È l’inizio di un’altra offensiva da parte della Ligue 1, dopo l’operazione che portò i qatarioti nel 2011 sul ponte di comando del “Paris Saint Germain”, che porta la firma dell’establishment della politica francese. Il padre padrone del colosso del lusso “Lvmh” è sempre stato restio dall’allontanare i suoi investimenti dal settore che lo ha reso ricco fino all’inverosimile, ma nel 2007 non si tirò indietro quando l’Eliseo gli chiese di andare in soccorso della catena dei supermercati “Carrefour” per non far finire i suoi libri contabili sul tavolo del “Tribunale Fallimentare”. È la Francia pronta sempre a “fare sistema”, quella rappresentata dall’uomo d’affari di Roubaix, a parole pronta a far sventolare la bandiera dell’Unione Europea, ma nei fatti incline ad essere lesta a portare l’acqua al mulino della “Grandeur”, disponibile a fare patti e spartirsi il bottino del Vecchio Continente solo con la Germania. È la storia ripetuta oramai da secoli a cicli regolari, quando non si combattono questi due Paesi ambiscono a spartirsi potere e prestigio. Nel calcio divenuto dispensatore di consumo e di spettacolo, e determinando così la fine della figura del “tifoso” trasformato in “spettatore”, era abbastanza prevedibile come i due Paesi guida dell’Unione avrebbero perseguito delle strade per prenderne il controllo a discapito di altre realtà in possesso di una più solida e importante tradizione calcistica, come Spagna e Italia. L’operazione in procinto di compiersi su “Paris FC” è interessante perché potrebbe essere un cerchio a chiudersi attorno allo sport più seguito al mondo. La potenza del “Pangermanesimo” traslato nello sport da parte di “Red Bull”, è quello “spazio vitale” da sempre ricercato dalle nazioni di ceppo tedesco e che l’azienda di bevande austriache ha capito di poter imporre attraverso l’agonismo di élite, che ha il pregio di aver per primo abbattuto ogni aspetto fisico dei confini. Dalla fine del secolo scorso, sarà la finanza globalizzata ad affiancarsi ad esso con tale prerogativa.

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“Potenza e Adrenalina”, queste sono le parole d’ordine provenienti dal quartier generale della bibita di Salisburgo, in uso per tenere desta l’attenzione del consumatore ammaestrato dalle pulsioni nichiliste della “Società Liquida”. Non c’è socialità, non c’è tradizione, non c’è pensiero nella visione dello sport imposta da Dietrich Mateschitz, fondatore della “Red Bull”, ma semplicemente delle sensazioni artificiali pensate con lo stesso metodo con cui la “The Coca-Company” è riuscita a irrompere in una ricorrenza a carattere religioso come il Natale, riconvertendola a festa pagana con la creazione del personaggio di “Santa Claus”. Anche allora, siamo negli anni '30, la “Festa della Natività” fu confusa con la “Festa del Consumo”, e attraverso i pacchi regalo portato da una immaginifica slitta trainata da renne il profano riuscì a detronizzare il sacro nella concezione collettiva della festa. Le analogie con ciò che sta succedendo nello sport contemporaneo, specie nel calcio, sono impressionanti. Ma a preoccupare in realtà non sono i mercanti, presenti nel “Tempio” persino nel pauperistico “Vangelo”, bensì i soggetti alla Bernard Arnault, che quando si muovono provocano esondazioni di relativismo su etica e valori, e capaci di costruire centri commerciali dove prima c’era storia dell’arte e del sentimento popolare. La Francia vuole sedersi al tavolo del comando, e sa bene come la seduzione possa essere un’arma molto funzionale all’abbisogna, e manda avanti i suoi “Euro Fighter” dai conti miliardari. In poco tempo la “Ligue 1” diventerà una sfida tutta parigina, un “Moulin Rouge” dell’arte pedatoria dove tutto apparirà effervescente come le bollicine del “Veuve Cliquot Ponsardin”.

La sensazione è che tutto sia un prodromo del calcio del futuro, magari sottoforma della tanto agognata “SuperLeague” ma stavolta progettata a trazione franco/tedesca. Nell’ambizione di trasportare la visione neocapitalista americana nell’Europa dei popoli e dei diritti sociali, il calcio potrebbe essere l’atteso “Superbowl” che annichilisce coscienze sedute in poltrona e macina miliardi da distribuire a corti affamate e ingorde. Esso sta vivendo una sua instabilità, non sa più esattamente cosa è anche se continua a mandare in scena il suo evento inzeppando il calendario di partite con cadenze sempre più ravvicinate. I giocatori sono simili ai gladiatori del film “Rollerball”, non combattono di certo fino alla morte ma vengono spremuti fino ad oltre le umane capacità fisiche. I loro frequenti infortuni hanno finito di essere un dramma, sono semplicemente danni collaterali trascurabili e rimediabili. “Tornerai più forte di prima”, “il club ti aspetta”, sono alcune tra le didascalie social dedicate ad atleti finiti con le gambe in trazione. L’ottimismo anima il commercio, e intanto lo spettacolo va avanti. Ora la “Red Bull” ha compiuto il colpo di assoldare Jurgen Klopp, affidandogli l’incarico di “Global Head of Soccer”, una sorta di sultano a capo del sultanato della galassia calcistica più controversa del mondo. Non si capisce ancora bene cosa farà l’ex allenatore del “Liverpool”, e in proposito si può star certi come tanta fuffa verrà dispensata dall’ufficio marketing di Salisburgo, ma Klopp rappresenta il sorriso “Durbans” da esibire in un eventuale futuro scontro al vertice tra “Paris FC” e “Paris Saint Germain”. Tutto concorrerà a far accrescere il valore di un campionato ancora dai connotati da step di passaggio, più che da attrazione globale del calcio. Ad Arnault la “Red Bull” serve per impostare un modello di business innervato in modo convincente in realtà calcistiche completamente diverse tra loro per storia e per cultura.

Il modello di business ideato e pianificato nel tempo a Salisburgo, prevede l’azzeramento di ogni storia per crearne una nuova, concependo ogni suo arrivo come l’anno zero e l’alfa e l’omega di ogni decisione. È talmente profondo questo tipo di lavoro, che alla fine del processo di mutazione il club acquisito al massimo potrà apparire alle nuove generazioni alla stessa stregua di una “cover” di una esperienza passata. Tutto ciò sta avvenendo sotto i nostri occhi, con il calcio divenuto la famosa “rana bollita” di Noam Chomsky. Stanno cucinando a fuoco lento il gioco europeo più iconico con l’obiettivo di un cambio radicale e definitivo delle sue abitudini. Ci stiamo adattando lentamente alla biodegradabilità della sua natura costitutiva, stiamo trovando accettabile la mortificazione del senso della maglia in nome della vittoria, siamo addivenuti a credere logici e persino dovuti i guadagni stratosferici di tecnici e atleti, consideriamo le plusvalenze e i diritti d’immagine uno sfruttamento legittimo, e ci adattiamo all’aggiramento delle regole con il serafico atteggiamento mozartiano del “Così Fan Tutte”. Da Salisburgo prendono talmente per i fondelli, che non potendo mettere “Red Bull” Lipsia, a causa delle ferree leggi tedesche che non permettono di mettere un “brand” nel nome della squadra, perculano il diritto chiamando tutto “RasenBallssport” Lipsia e stampando sulla maglia l’acronimo “RB”. Le “jeux sont fait”. I tifosi del “Paris FC” stanno per essere presi in ostaggio, forse non lo sanno o forse gli sta bene così, in fondo la società dello spettacolo non ha bisogno di natura sociale e di ricordi, ma solo di presenza al consumo. Una cosa deve essere chiara: non è il calcio ad essere cambiato, siamo noi ad esserlo. Il calcio è un esecutore di fenomeni, lo è sempre stato e sempre lo sarà. Lo tenga bene a mente chi vuole alla sua porta soggetti come “Red Bull” o sceicchi vari: si sta vendendo l’originale per una contraffazione.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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