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La ruota intorno a Jannik Sinner

Torna "Loquor", la rubrica a cura di Carmelo Pennisi: "Traslare il tifo del calcio al tennis è un tale errore esistenziale e concettuale. Non esistono “tifosi” nel tennis, esistono gli “appassionati”

“Le folle non sono influenzabili coi ragionamenti”.

Gustave Le Bon

La buona notizia è che Jannik Sinner ha rifiutato di andare a Sanremo, la cattiva notizia è che la sequela di novelli “Re Magi” italiani non smette di andare a rendere omaggio nella stalla di Montecarlo alla nascita di una nuova divinità che se non redimerà il mondo al momento pare renderlo alquanto più instupidito. Si stanno raggiungendo livelli da comicità surreale nell’ansia di andare in soccorso del vincitore Sinner, forse perché un tempo la forma mitologica riusciva a trovare un proprio sfogo verso il cielo mentre oggi tutto è diventato patologia da affidare alla psichiatria.

Durante un allenamento con un suo colpo mi ha sfiorato la spalla, e mi ha chiesto scusa”, è la testimonianza di uno dei pellegrini non recatesi alla grotta della apparizioni della Madonna di Lourdes, ma al campo di allenamento del tennista altoatesino. La buona educazione confusa come un segno di manifestazione del divino, il mito che apre bocca per rivolgerti la parola diventa segno di inaspettata benevolenza. Non ho mai dubitato della validità scientifica degli studi di Gustave Le Bon ed Edward Bernays, che teorizzano l’uomo trasformato in massa come un piccolo atomo di una sorta di anima collettiva. C’è un insopprimibile bisogno di trovare forza attraverso una massificazione del pensiero verso una persona a cui in sorte è toccato il ruolo di Provvidenza fattasi carne e a cui tutto si giustifica, persino la risibile dichiarazione della sua scelta di risiedere a Montecarlo perché “lì ci sono strutture buone, buone palestre e posso andare al supermercato senza problemi”. Ognuno può fare quel che vuole, sia chiaro, ma forse approfittare dell’attuale fase di cretinismo nei suoi confronti da parte degli italiani per raccontare una favoletta che sta in piedi solo se sei un “Re Magio” di fronte alla divinità non è stata proprio una cosa carina.

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Ma in fondo niente è nuovo sotto questo sole che comincia ad essere un po' stanco delle nostre sciocchezze, di quest’ansia bulimica di avere qualcuno a tutti i costi da osannare in modo da sentirci un po’ più forti dal vivere di riflesso la sua vita. La prudenza avrebbe consigliato, prima di dare il via all’orgia delle grottesche celebrazioni di questi giorni, di aspettare qualche conferma nel corso della stagione sulla reale consistenza tennistica di Sinner, e invece si è deciso, in nome anche delle sacre esigenze del marketing, di fare Papa uno che ancora non si sa nemmeno se abbia le qualità di Cardinale. Il povero Nick Pietrangeli, da oggi denominato l’apostata del tennis patrio, è stato letteralmente crocifisso (“sei un rosicone”, “sei invidioso”, ecc…) per aver detto una cosa di normale buon senso per chiunque capisca qualcosa di questo sport, ovvero come Sinner ancora non sia un fuoriclasse. Magari lo diventerà, ma ancora in tutta evidenza non lo è. Ma di fronte a chi non vede l’ora di farti sapere come lui abbia capito che il recente vincitore degli Australian Open era fortissimo già nella culla (leggere Filippo Facci su “Il Giornale”), tutti i discorsi di buon senso vanno a farsi benedire. E via con le contumelie e con l’epiteto “vecchio rincoglionito”, riesumando lo stile (si fa per dire) delle “squadracce” fasciste del noto ventennio. A volte penso che se si appalesasse un nuovo Benito Mussolini, noi italiani finiremmo per abbracciarlo nuovamente. La nostra tendenza al messianismo ci fa creare aspettative escatologiche di cui abbiamo un disperato bisogno, fosse anche la versione grottesca di un tennista vincitore di un torneo dello “Slam”.

Sono anni che scrivo e disserto sull’aurea di mediocrità calata improvvisamente sulle prime venti posizioni del ranking mondiale “ATP”, sull’impoverimento tecnico di giocatori ormai allevati alla potenza e all’atletismo. Sono giunto a dire e a scrivere come quello a cui ormai assistiamo non sia più tennis, ma una caricatura di esso. Ogni volta non ho mai suscitato risposte piccate o polemiche, tranne in occasione degli Australian Open dove, a causa dell’orgoglio italico in gioco, sono stato riempito di risposte inviperite, per lo più senza senso,  perché stavo adombrando come anche Sinner fosse vittima dell’impoverimento tecnico in atto nel tennis contemporaneo. “No, lui no! Lui è sommo e forte!”, è stato l’urlo con cui mi hanno riempito in forma di messaggio il cellulare diversi amici e conoscenti, alcuni dei quali fino a ieri non avrebbero saputo distinguere la differenza tra una racchetta e una mazza da baseball. “La folla – scrive Le Bon -, come il selvaggio, non ammette ostacolo tra il suo desiderio e l’avverarsi di questo desiderio”, si tratta di potenza irresistibile, di voglia di partecipare alle “vite degli altri” e al riflesso di polvere di stelle del loro talento. Liberati dal mito dalla nostra nullità, siamo pronti a vivere qualcosa che non ci appartiene, anche se siamo convinti del contrario.

Il tennista non è e non sarà mai la maglia di una squadra di calcio, perché non ha la forza evocativa posseduta da quest’ultima che si trasferisce da generazione in generazione. La maglia rende la squadra di calcio nostra, non il giocatore. Traslare il tifo del calcio al tennis è un tale errore esistenziale e concettuale da lasciare sorpresi non tanto in chi ha una scarsa consapevolezza dell’esistere, ma in chi in teoria dovrebbe avere un grado culturale capace di discernere tra realtà e manipolazione di quest’ultima. Non esistono “tifosi” nel tennis, esistono gli “appassionati”. Stiamo vivendo un contesto sociale banale, dove persino il Presidente del Consiglio esorta Sinner ad andare al Festival di Sanremo, una rassegna canora dove ormai la musica sta come la recita di un Rosario in un postribolo. “Vieni a Sanremo a ricevere l’abbraccio di tutti gli italiani”, gli ha detto il paraculissimo Amadeus, facendo sottendere, e anche qui siamo alla manipolazione attraverso il mito, come tutti gli italiani siano avvinti dai giorni sanremesi. Il verosimile del marketing e dell’Auditel ha ormai abbondantemente soppiantato il vero, facendo precipitare la nostra società nel buio di tenebre dal quale sarà molto difficile venir fuori.

E’ impressionante come nei numerosi articoli vergati sulla vittoria di Sinner nella terra dei canguri, non ci siano quasi mai riferimenti tecnici sulla finale contro Medvedev. Si è parlato di “testa”, di “umiltà”, della “libertà” lasciata dai genitori, e di tutto quello che nulla ha riguardato con ciò  realmente successo in campo a livello tecnico/fisico. Nemmeno Emanuele Audisio e Maurizio Crosetti, grandi cantori di sport de “La Repubblica”, nei loro articoli lo hanno fatto. Tutto molto generico, antropologico, sociologico, psicologico, quasi a voler rimuovere le circostanze tecniche che hanno portato il tennista altotesino alla vittoria: cosa non si vuole raccontare o non si riesce a capire? “Non guastare la festa”, sembra la parola d’ordine circolare per tutta la penisola e forse un fondo di ragionevolezza la cosa ce l’ha, perché tutelare e favorire un futuro radioso di un atleta italiano in uno degli sport più globali e noti non può che far bene al Paese. Abbiamo bisogno di ogni appiglio positivo per far ritornare l’ottimismo dalle nostre parti, ma forse è proprio per questo che sarebbe stato più prudente aspettare conferme sulla reale consistenza del dominio agonistico di Sinner. La vita presente tesse sempre quella dell’avvenire e non c’è niente di effimero nei nostri atti, tutto sostanzia ciò che verrà. Si ha bisogno di miti e non di perniciose cantonate, ma soprattutto si ha bisogno di verità che è l’unica cosa, come ricordato nel noto Libro, a poter rendere liberi.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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