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La Spagna e il doping
“Vorrei vincesse davvero il più forte” Rino Tommasi
Quando nel novembre del 1975 Francisco Franco muore la Spagna è solo un pallido ricordo di un Impero che aveva fornito della lingua spagnola il “Nuovo Mondo” scoperto da Cristoforo Colombo e si trova smarrita di fronte alle sfide della modernità. Il ritorno alla democrazia ha bisogno di un manifesto comprensibile ai vari punti di vista del mondo, e c’è una lingua universale capace di superare le differenze idiomatiche da “Torre di Babele”: lo sport. Comincia così una marcia inesorabile e sorprendente alla conquista delle prime posizioni di ogni tipo di avvenimento agonistico, con una fioritura di campioni che almeno statisticamente avrebbe dovuto sollevare qualche sospetto e perplessità riguardo alla sua liceità.
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Ma, come è noto, lo sport è diventato dal dopoguerra ad oggi una macchina da show business formidabile, un collettore di soldi e ambizioni che nessuno osa, almeno ogni tanto, fermare per verificarne il vero stato dell’arte. Spesso chiudere gli occhi consente alla storia di andare avanti senza perdere tempo di fronte allo specchio della morale e dell’etica. Perché andare avanti, appunto, è l’unica cosa a contare. L’idea è quella di avere una complicità implicita dalla autorità e dai circoli capaci di influenzare, nessuno vuole mettere a rischio un sistema prodigo di posti di lavoro e di visioni di progresso. Siamo davanti ad un cliché: quando tutti hanno molto da perdere persino i reati diventano una pietra di inciampo fastidiosa. In tale contesto il doping è stato tacitamente accettato dalla stragrande degli attori in scena sui vari palcoscenici sportivi, e ne si è accettato il rischio giudiziario e fisico.
Ma la stampa, quando funziona e fa il suo dovere, difficilmente molla l’osso e si volta dall’altra parte, ed ecco allora il sito web sportivo “Relevo” riportare sul banco degli imputati l’intero sistema sportivo iberico, considerato un sistema canaglia del doping sin da quando nel 2006 l’”Operacion Puerto” aveva scoperchiato una rete di complicità tra istituzioni e big dello sport spagnolo. Utilizzo sistematico dell’Epo e un agghiacciante mercato di emotrasfusioni erano teorizzati e sistematizzati dal dottor Eufemiano Fuentes, questo è il traffico illecito insabbiato in ogni modo dalle autorità spagnole, tanto che ormai ogni tipo di reato è caduto in prescrizione. Se uno Stato fa ostruzionismo, ovvio come il formalismo giuridico diventi un’arma formidabile in mano a tutti i farabutti del mondo.
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È dal 2006 che si attende vengano fatti i nomi degli atleti a cui fanno riferimento le sacche di sangue sequestrate dalla “Guardia Civil”, ma tutti hanno paura di una causa in tribunale che potrebbe essere addirittura una manna per chi a suo tempo ha barato in modo spudorato. Sono passati quasi vent’anni e ora la Spagna ci ricade, infatti “Relevo” ha elencato, attraverso la sua inchiesta, le diverse scappatoie con cui la “Celad”, l’Agenzia nazionale antidoping iberica, ha continuato ad insabbiare e ad impedire l’accertamento della verità su come vanno le cose nello sport spagnolo. Secondo “Relevo” la “Wada", l’agenzia mondiale antidoping, sarebbe in possesso di una grande mole di documenti comprovanti l’esistenza di risultati positivi illeciti dalle parti di Madrid, ma ha chiuso regolarmente un occhio. Si è venuti così a sapere di centinaia e centinaia di test svolti in modo irregolare, che potrebbero giungere al paradosso di annullare anche quelle poche positività accertate ufficialmente dalla “Celad”.
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Serviva una inchiesta giornalistica per prendere atto di una cosa scontata per chi capisce di sport, ovvero che la maggior parte delle prestazioni sportive sono talmente performanti da essere passibili di sospetto e indagini? Per ragioni professionali (la scrittura di una sceneggiatura per un film di prossima produzione) mi sono occupato molto di doping nello sport, e ho passato una parte della mia vita a raccogliere testimonianze e prove su come funzionava il sistema sportivo della Germania Est messo in piedi dal famigerato Manfred Ewald, e sulla magia (si fa per dire) delle sostanze chimiche sintetiche sulle prestazioni degli atleti del comunismo in versione tedesca, capaci in ventisette anni di portare a casa 160 medaglie d’oro olimpiche e 3500 titoli internazionali. Un risultato che avrebbe dovuto far riflettere i dirigenti dello sport internazionale, in quanto la DDR era un Paese di soli 18 milioni di persone. Era statisticamente impensabile una tale sequela di risultati con un bacino così ristretto dove pescare atleti, ma, al solito, si erano voluti chiudere gli occhi attraverso la consueta narrazione di “quelli bravi a programmare”(ad andare a rileggere alcuni articoli dell’epoca siamo oltre l’agiografia, siamo alla stupidità conclamata).
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Dopo aver passato tanto tempo a leggere referti medici e metodologie di allenamento (basta andare a consultare gli archivi della Stasi, la polizia politica della DDR, per rendersi conto della triste situazione), nel tempo ho sviluppato un certo sospetto per prestazioni di alcune celebri squadre di calcio(non farò nomi, ma facciamo a capirci), capaci di imporre un ritmo forsennato al gioco e di recuperi prodigiosi in match ravvicinati. Si è favoleggiato, e si continua a favoleggiare, di addestramenti all’abbisogna sin dai settori giovanili, di allenatori demiurghi capaci di disegnare rotte fantascientifiche nell’estetica del calcio. Eccitazioni da marketing fanno il resto e nessuno, proprio nessuno, disponibile a farsi una domanda: ma come è possibile mantenere, nell’ambito di una partita, una prestazione fisica sempre al top? Magari è tutto regolare, e ci si vuole convincere come sia così, ma se così non fosse? Lo sport usato come cartolina illustrata da spedire in giro per il mondo per propagandare la rinascita a nuova vita di un Paese è una tentazione troppo forte a cui resistere, basti pensare agli ingenti mezzi messi a disposizione di Leni Riefensthal da parte del regime nazista per realizzare “Olympia”, un docufilm sulle Olimpiadi di Berlino del 1936, considerato uno dei migliori film sportivi di sempre.
Non è un rifarsi l’immagine attraverso dello “sportwashing”, ma è imporre una immagine di Paese leader in via di affermazione sul pianeta dopo una fase storica piuttosto buia e difficile. Probabilmente è per questo che la Spagna nel suo complesso sta preferendo da decenni chiudere gli occhi davanti ad una esplosione di talenti di livello mondiale, difficilmente da potersi considerare frutto di una programmazione di allenamenti o di una madre natura benevola nel concentratesi sulla terra di Miguel de Cervantes. Ci sono sport, come il tennis, dove i controlli antidoping sono veramente labili, e allora si può assistere a performance atletiche, tra l’altro a discapito dell’evento tecnico, davvero stupefacenti da potersi considerare semplicemente frutto di allenamenti. 2/3 ore di gioco in cui si vedono atleti regalare tempi di reazione con una continuità che solo menti ingenue o complici possono ritenere essere frutto di una prodigiosa evoluzione della specie.
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La scienza seduce e corrompe, impone realtà artificiali imposte alla stessa stregua di realtà naturali, si vedrà come l’Intelligenza Artificiale nel breve tempo diventerà l’archetipo modello da seguire come performance della mente, con la riduzione di quest’ultima ad un semplice accessorio fornito da madre natura solo per eseguire compiti base. L’importante è lo scopo, sfrondato da tutti quei pensieri etico/morali considerati inutili per il buon andamento delle nostre vite. Sarà un cambiamento culturale e sociale di non poco conto, dove arrivare al risultato a qualsiasi costo sarà l’unica stella polare a guidare la volontà delle persone. Intanto il doping farmacologico è via via sostituito dal doping genetico, l’ultima frontiera dell’imbroglio e del raggiro nello sport lesto a sfruttare i più avanzati studi per le cure delle malattie rare per aumentare la forza e la resistenza alla fatica, nonché un recupero più veloce da traumi e riduzione sistematica del dolore.
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Gli stessi medici dei laboratori di ricerca più avanzati sono impressionati dalle telefonate ricevute dal mondo dello sport ogni volta che pubblicano i risultati delle loro ricerche portati avanti su delle cavie. “È davvero sorprendente – ha dichiarato uno scienziato di uno di questi laboratori di ricerca – come di fronte all’ammonimento sui rischi per la salute in caso di adozione di alcune di queste metodologie genetiche, la risposta del mondo dello sport sia solo quanto costa e se siamo disposti a metterci a disposizione per migliorare le prestazioni degli atleti”. Il doping genetico, in rapida evoluzione, è difficilmente rintracciabile rispetto a quello farmacologico, nonostante la “WADA” stia facendo di tutto per attrezzarsi per opporsi al fenomeno. Si gioca troppo, si continua ad inzeppare di avvenimenti sportivi il calendario mondiale, tutto ad uso e consumo di sponsor e di un’audience televisiva mai sazia. Vogliamo stordirci di sport e gli atleti offrono volentieri il loro corpo in cambio di popolarità e denaro. Sono giovani, gli atleti, e mentalmente lambiscono l’immortalità. Il calcio in procinto di offrire la SuperLeague e il Campionato del Mondo per club della Fifa, aggiunge “fatica” alla già troppa fatica insopportabile da un calendario fitto di partite. Nessuno ha ritenuto opportuno, nelle polemiche che stanno impazzando, di mettere l’accento sulla fatica, sull’ulteriore logoramento fisico a cui saranno sottoposti i calciatori. Si parla solo di soldi e di nuove opportunità di ricavi per il calcio. Nel 2011 Yannick Noah aveva provato a denunciare l’anomalia spagnola(“come può un Paese dominare nello sport da un giorno all’altro”?), ma arrivò la pronta risposta di Pep Guardiola: “che questo signore presenti le prove. Se non le ha farebbe meglio a tacere”. Giudichi il lettore la qualità e il tono di questa risposta. Si attivi la coscienza, prima che sia definitivamente troppo tardi.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Disclaimer: gli opinionisti ospitati da Toro News esprimono il loro pensiero indipendentemente dalla linea editoriale seguita dalla Redazione del giornale online, il quale da sempre fa del pluralismo e della libera condivisione delle opinioni un proprio tratto distintivo.
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