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“L’immaginazione governa il mondo”.
Napoleone Bonaparte
“Sono riuscito a smascherare Blatter quando era alla Fifa, Platini quando era all’Uefa. Non sono riuscito ancora a dedicarmi a fondo al ripianamento totale del calcio a livello mondiale…”, ma dategli tempo ad Aurelio De Laurentiis, e vedrete che riuscirà a trovare anche un rimedio per qualsiasi cosa. È un tipo divertente il presidente del Napoli, uno di quelli che sarebbero capaci di convincerti di essere in procinto di scoprire la “pietra filosofale”, e non per pura ambizione personale, ma per metterla a disposizione delle necessità del mondo. Lo chiami per un'intervista, gli metti sotto un microfono, ed ecco l’inizio di una sua personale sceneggiatura, il dipanarsi di sogni, desideri, miraggi, manco fosse non un produttore cinematografico, ma lui stesso un cinematografo itinerante. Il personaggio non ha particolari freni inibitori, anche perché, sia detto con franchezza, se guardiamo la composizione dell’attuale agone parlamentare e del potere vario italico, il buon Aurelio ha dei giusti diritti da rivendicare nel voler giganteggiare. Allora ad ogni intervista concessa, ma proprio a tutte, comincia sempre prima con il celebrare la sua personale “Austerlitz”, ovvero la conquista del Napoli da un tribunale fallimentare, per proseguire in un viaggio all’indietro fatto di saghe familiari e aneddoti dove nella sua personale genesi alla fine si ritrovano sempre vittorie e brillanti intuizioni, sue e dei suoi familiari, zio Dino De Laurentiis compreso.
Avendo sempre avuto da fare per mestiere con i sogni onirici, il presidente del Napoli sa bene quanto contino un mito e un’epopea. Persino l’altezza fisica non eccessiva, l’aiuta nel percorrere la strada di un bonapartismo in salsa di celluloide. “Gli uomini di genio sono come meteore destinate a bruciare per illuminare il loro secolo” ebbe a dire Napoleone Bonaparte, e De Laurentiis, che intimamente si sente il naturale prosecutore della storia del condottiero francese, si muove con una tale visionarietà da far sospettare di voler ardere a tale punto da volerne illuminare due di secoli. Agnelli e Perez, secondo il nostro eroe, sono andati allo sbaraglio come due dilettanti (“ho sempre detto ad Agnelli che stava sbagliando”), un professionista non avrebbe mai ignorato l’importanza fondamentale della democrazia, il valore della concessione “di lasciare la porta aperta a tutti”. Platone, che si era domandato se la tirannia non fosse originata proprio dalla democrazia, sarebbe sicuramente rimasto fuori dalla porta di “Villa Camelia”, ritiro estivo caprese del presidentissimo azzurro. Una modesta magione dotata di quattro suite, piscina e un numero imprecisato di ettari di verde. Sembrerebbe una cosa abbastanza costosa, che stride un po’ con dichiarazioni del tipo “il calcio sta fallendo per colpa delle istituzioni”, e quindi, nonostante gli errori dei dilettanti di Madrid e Torino, forse sarebbe meglio si pensi “ad una competizione non gestita dall’Uefa”.
Poi ecco arrivare la dichiarazione che non ti aspetti, quella a scoprire un lato umanitario insospettabile, quasi da novello epigono di Madre Teresa di Calcutta: “perché Gravina (presidente della Federcalcio) non ha fatto abolire la legge Bossi-Fini sulla libera circolazione degli extracomunitari, che costerebbero di meno”? Un attimo di sorpresa, il tempo di prefigurare De Laurentiis a guidare la rivolta a favore di tutti i descamisados del mondo, per accorgersi di un ovvio, e senza nemmeno il peso di una lunga attesa. Gli extracomunitari a cui si riferisce il nostro eroe non sono quelli sbarcati a Lampedusa bensì i calciatori sprovvisti di passaporto comunitario, quelli, per intendersi, che a volte provano a fare i furbi alla Suarez, e a volte accettano serenamente di non avere nessun antenato europeo pronto a donargli la cittadinanza utile al bisogno. Ed ecco allora da “Villa Camelia” partire l’intuizione geniale, che neanche Adam Smith e la sua “Ricchezza delle Nazioni”: “i giocatori extracomunitari costerebbero di meno e agevolerebbero le squadre meno importanti”.
Questa riflessione, De Laurentiis, deve averla letta in qualche sceneggiatura redatta da qualcuno ignaro non solo dell’esercito di lavoratori di riserva di marxiana memoria, ma anche di cosa sia una partita doppia. C’è da chiedersi perché non abbia subito chiamato al telefono i dilettanti di Torino e Madrid, per comunicargli la soluzione facile per risolvere i bilanci in rosso dei club calcistici: un tratto di penna per cancellare la Bossi-Fini e via, tutto risolto, niente più catastrofici fallimenti all’orizzonte. E allora perché litigare con Ceferin? “Tu (Uefa) fatturi 3 miliardi e mezzo in 15 giorni? Allora ti devi sedere a tavolino e dobbiamo rivedere la situazione, mica mi puoi lasciare gli spiccioli”; quando si dice avere le idee chiare ed avere il coraggio di andare in soccorso persino del povero presidente della Fiorentina, un altro dilettante a cui una Soprintendenza scellerata ha bloccato la ristrutturazione dello stadio in quanto considera, pensate un po’, l’Artemio Franchi un monumento nazionale. L’indignazione espressa dal presidente del Napoli è un vero compendio del suo credo cinematografico, quello dei film di natale da lui prodotti a quintalate: “quello (lo stadio) è il regno del pallone, che serve per la gente vessata dalla moglie, dall’amante, dal capufficio e vuole andare allo stadio per sfogarsi. E tu gli dici che non si può perché c’è un monumento”.
Qui siamo al memorabile, alla rivisitazione della commedia all’italiana pecoreccia di Lino Banfi e Alvaro Vitali, quando ancora non esistevano quelle rompiballe del movimento “me too”. È il tempo rimasto fermo, come per incanto, a “la Partita di Pallone” di Rita Pavone, quella che era lasciata sempre sola dall’amato per una partita di calcio. Ma il fiume in piena De Laurentiis non si ferma qui, perché elogiare Mario Draghi e Dario Franceschini gli serve per dire quanto sia stato “paraculo” Cavour a mandare Garibaldi “a far manfrina con la mafia in Sicilia per creare l’Italia unita, e portarsi via tutto le riserve d’oro dello Stato Borbonico” (“ma non vorrei passare per un borbonico”, è la premessa preoccupata); analisi da far precipitare nell’ombra tutto il lavoro di Giustino Fortunato, icona del meridionalismo italico. Proseguendo nella sua visione, il patron del Napoli sancisce la mancata unità d’Italia (da incorniciare il suo “sud che non ha annesso il nord, e il nord che non ha annesso il sud”) e la necessità di abolire i sindaci (“perché i sindaci sono incapaci di gestire la Res publica”) sostituendoli con dei manager (“per Napoli vedrei proprio un grosso manager tedesco”). Siamo al lirismo de “L’Allenatore del Pallone”, e al dimenticarsi in un attimo l’inno alla democrazia declamato per sottolineare quanto avessero sbagliato i dilettanti di Torino e Madrid a proposito della Super League (“ma perché i cittadini devono votare un sindaco? Cosa ne sanno i cittadini della gestione della Res publica”?). Ma una sceneggiatura non è importante sia coerente, l’importante è che funzioni. Così deve avergli spiegato un giorno lo zio Dino.
I sindaci, secondo il De Laurentiis pensiero, è meglio farli tutti scegliere da una commissione di venti saggi. Siamo all’oligarchia e oltre, e a questo punto non si capisce da dove giunga il suo dissenso all’operato di Agnelli e Peres, che volevano e vorrebbero essere i saggi del calcio europeo, ma colpevoli, forse, di non aver invitato al loro tavolo proprio lui, il Napoleone del cinema italiano. De Laurentiis è d’accordo con i congiurati sul fattore economico della Super League perché “gli istituzionalisti (sempre l’Uefa) non hanno capito che se ci si indebita per 200/300 milioni di euro non c’è nessun interesse a fatturare 70/80/90/100 milioni di euro in più”. Nessuno lì a ricordargli come ad indebitarsi per due volte in più del fatturato non lo ordina il medico, e anche come l’aumento vertiginoso di un fatturato non corrisponda quasi mai ad una discesa del debito, visto come l’azzeramento o il controllo di quest’ultimo dipenda da altri fattori, come ad esempio la ricerca di un utile netto in bilancio. Il nostro eroe avrebbe anche potuto parlare della fine del mondo, di come in fondo nell’Apocalisse si sia sbagliato tutto nell’organizzazione delle sette trombe degli angeli e del perché Dio non abbia pensato di chiedergli un parere. Ma Napoleone, il suo vero mentore, sosteneva come bisognasse lasciare qualche cosa anche alla fortuna e alla speranza di saper sopportare qualche giorno di sventura. Intanto progetta una serie tv sulla storia del Napoli, dove si è già stabilito come la terza stagione si parlerà del periodo della sua presidenza. Al confronto Stalin era un altro dilettante. Uno così, nonostante parli continuamente dell’America, solo in Italia poteva nascere, e a questo punto devo confessare una mia personale debolezza: a me sta simpatico, mi diverte come pochi e ha la capacità di regalarmi del buon umore. Specie quando, alla domanda in quale virtù si riconosca maggiormente, risponde come il più candido dei candidi: “l’umiltà”. Lo adoro.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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