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TURIN, ITALY - NOVEMBER 30: The big screen shows a tribute in memory of Diego Maradona ahead of the Serie A match between Torino FC and UC Sampdoria at Stadio Olimpico di Torino on November 30, 2020 in Turin, Italy. Sporting stadiums around Italy remain under strict restrictions due to the Coronavirus Pandemic as Government social distancing laws prohibit fans inside venues resulting in games being played behind closed doors. (Photo by Valerio Pennicino/Getty Images)
In memoria di Anthony Weatherill, Toro News è lieto di annunciare che la rubrica “Loquor” continuerà. A portare avanti l’enorme eredità di pensiero lasciata da Anthony sarà Carmelo Pennisi, che insieme a lui già collaborava per la stesura della rubrica condividendo opinioni, ideali e sensibilità. Buona lettura!
“Non rientrare nei piani
di qualcun altro”.
Jim Rhon
Confesso di provare un po’ di tenerezza, quando leggo sui giornali italiani di ipotesi di ricchi magnati stranieri che sarebbero in procinto di comprare squadre di calcio in Italia. Siamo oltre alla fiera dei sogni o al falò delle vanità, perché c’è qualcosa di primitivo e di ritorno all’uomo ancestrale convinto come il sole fosse un dio. Quando all’inizio del 2019 diversi organi di stampa italiana spararono la notizia che il magnate russo Alisher Usmanov, uno degli uomini più ricchi del mondo, stava per comprare il Milan, l’elegante bella donna del calcio italiano mai amata dal “Fondo Elliot”, la cosa risultò credibile solo a chi vive di aspettative, perché l’uomo d’affari cresciuto all’ombra del Cremlino è un buon amico di Vladimir Putin, il quale è a sua volta buon amico di Silvio Berlusconi. Sembrava un incastro perfetto, una “Lampada di Aladino” sfregata con conseguente uscita di un “Genio”, il verificarsi nel presente storico “dell’Apriti Sesamo” con cui Ali Babà prova a fregare i quaranta ladroni. Non è semplicemente illudersi di puntare tutta una vita sui sei numeri vincenti del “SuperEnalotto”, è pensarlo come scelta razionale. La vita, sovente, è un gioco di specchi, che non riflettono oggettivamente ciò che inquadrano, ma lasciano agl’occhi ogni tipo di interpretazione, spesso frutto di nostri desideri che conseguenza di una realtà concreta. E la realtà concreta del nostro calcio è diametralmente opposta a chi, di mestiere, si trova sempre nei migliori posti della classifica delle persone più ricche del mondo. Dalle nostre parti ormai non si progetta più, e parlare di realtà infrastrutturali è come discutere della necessità dei frigoriferi con gli esquimesi. Fare uno stadio nuovo a Roma è visto come l’ennesimo vano tentativo di decifrare la complicata lingua degli etruschi, e le occasioni di crescere sono sempre rivolte verso un improbabile “uomo del destino”(stramiliardario, perché quando si sogna stramilionario non basta. Sarebbe come mettere limiti insensati al “Genio” che esce dalla lampada), che ha il pregio di non appalesarsi mai. Fa un po’ invidia l’Everton intento a costruire uno stadio da 500 milioni di sterline, che riqualificherà la zona portuale di Liverpool e avrà dei contenuti innovativi davvero fuori dal comune.
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Tutto il progetto sta prendendo vita in collaborazione con i tifosi dei “Toffees”, avendo cura di ricevere da loro pareri e consigli su tutta l’evoluzione dell’opera. Una squadra di calcio, come questa rubrica ha ripetuto infinite volte, non è un marchingegno commerciale da cui ricavare profitti, ma è un bene di una comunità. Una squadra attiva socialità, veicola valori, costruisce memoria dove vanno a formarsi schemi antropologici/culturali di primaria importanza. Lo stadio è la casa di una memoria e di un presente, dove ogni giorno si costruisce una narrazione utile per un futuro. Partita dopo partita. Ecco perché il club di Liverpool è intenzionato, una volta demolito il “Goodison Park”(la casa dell’Everton dal 1892), di non venderne il terreno, ma di riqualificarlo a spazio pubblico a servizio della comunità e delle sue iniziative, tra cui un memoriale per lo stadio e i suoi 127 anni di storia. Farhad Moshiri, ricco e potente uomo d’affari di origini iraniane, dal 2016 è il padrone di questo pezzo di storia del “Merseyside”, che nemmeno per un secondo ha osato pensarlo come un oggetto di sua esclusiva proprietà. Significativa è stata la mossa di nominare Amministratore delegato del club Denise Barret-Baxendale, una donna dal “cursus honorum” davvero atipico per il calcio contemporaneo, avendo iniziato la sua vita professionale nel mondo dell’istruzione. Solo una persona particolarmente devota all’importanza della formazione, poteva parlare di “privilegio e responsabilità che ne derivano” il giorno della sua nomina alla guida del club. Particolarmente densa di significato è stata una sua sottolineatura: “sarò impegnata a migliorare e a sfruttare tutte le opportunità che abbiamo. Ma aggiungo come per me sia estremamente importante che i nostri progressi avvengano nel modo giusto, nel “modo Everton”. E questo include l’ascolto”. Moshiri che sceglie una persona come la Barret-Baxendale, mostrando a noi italiani il perché l’Inghilterra continui ad affacciarsi nel futuro e ad attirare investimenti di uomini d’affari di ogni nazionalità, e l’Italia invece affonda nel pantano di un presente, da dove non si può scorgere nessun appiglio per un futuro dignitoso.
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I club della “Premier League” si dividono certamente importanti quote di introiti generati dal calcio, ma sono costantemente impegnati a dirottare buona parte di questi introiti per un miglioramento delle realtà strutturali rivolte alle comunità dei tifosi verso i quali si riferiscono e devono le loro fortune. Il calcio dovrebbe ispirare un territorio, diventandone linfa vitale per tutte le sue iniziative, riaffermandosi come bene comune. Non si tratta di vincere o perdere, e non si tratta di fare affari o meno. Si tratta di farli nel modo giusto, in modo da favorire una “concimazione” benefica per tutto il terreno del mondo del calcio italiano. Solo così torneranno ad investire nella Serie A gli imprenditori visionari e provvisti di robusti conti in banca, e non figure di secondo piano entrate nel calcio solo per fare affari con i diritti tv e le sempre più opache manovre di mercato. È relativamente facile prendere un marchio collaudato del calcio della Serie A, e farci affari sopra; più difficile fare il proprio dovere etico di imprenditori di un commercio atipico come il calcio. Il panorama degli stadi italiani e il rapporto fra club e tifosi, è in Italia quanto di più desolante ci possa essere nel panorama dello sport contemporaneo. I presidenti, sostanzialmente, fanno quello che vogliono con gli utili dei ricavi, e la politica e le istituzioni del Paese non fanno niente per cogliere l’onda sociale favorevole che il calcio reca con sé. Si è di fronte ad uno sport non più utile ad un progetto comunitario, perfetta fotografia di una foresta abbandonata a se stessa. Qualche società vince, qualcuna altra perde, come è logico in un competizione sportiva. I tifosi delle squadre che vincono qualcosa si inebriano dei risultati, completamente irresponsabili, nel senso più negativo del termine, verso lo scempio condotto ormai da diversi anni nello sport nazionale per eccellenza. Non c’è una persona raffinata, colta e piena di visioni come la Barret-Baxendale alla guida di club come Lazio e Napoli; ci sono Aurelio de Laurentiis e Claudio Lotito, rappresentazioni agonizzanti di mercanti che dovrebbero essere cacciati dal tempio, ma che invece con il sacro continuano, indisturbati, a fare affari. Nel nostro Paese a molti non è ancora chiaro come la critica non è da farsi al capitalismo, ma a come questo capitalismo si prefigura e si porta avanti. E il fatto di avere tipi come De Laurentiis, Lotito, Cairo, Ferrero, Preziosi a guida di gloriose società, è vissuto come problema solo se eventualmente non arrivano risultati dal campo.
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Il fatto di non avere stadi adeguati al movimento di denaro generato dalla nostra stessa passione, nemmeno indigna più, perché si è placidamente accettato di vivere nel salotto di casa l’avvenimento della partita. Non siamo una società disincantata, siamo una società anomica. La “partecipazione” è finita dalla metà degli anni 80, e mostra segni di risveglio unicamente quando lasciano questo mondo Diego Armando Maradona o Paolo Rossi. La tv, sempre lei, è riuscita nell’impresa singolare di far sentire vivi solo quando si parla di morti. Ed ecco parlare e accapigliarsi per giorni se bisognasse subito fare santo Maradona o ricordarlo invece come persona piena di contraddizioni ed errori. Si personalizzano sempre le cose, in Italia; e mentre lo si fa la realtà sfugge di mano. Alla mezzanotte di ogni 31 dicembre ci auguriamo ogni volta un buon anno diventato più atto formale di un rito collettivo, che un serio proponimento di buone intenzioni da trasformare in azioni. Il dramma è l’aver travisato il vero significato “dell’andrà tutto bene”, perché si è dimenticato il contesto evangelico in cui la frase è stata coniata. Sarà un anno drammatico il 2021 italiano, e questo non ci deve spaventare, ma piuttosto motivare. Il Paese va ricostruito, e se ciò accadrà la riqualificazione della nostra anima verrà da sé. Per questo Gesù cacciò i mercanti dal tempio. Arriva un momento in cui l’uomo del destino siamo noi, e solo noi. “Tra vent’anni sarai più infastidito dalle cose che non hai fatto, che da quelle che hai fatto”, è uno dei tanti moniti lasciateci da Mark Twain. Sarà il caso di rifletterci su? Buon anno a tutti.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News, annovera tra le sue numerose opere e sceneggiature quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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