“I fatti non spariranno
columnist
Le Iene su Lotito hanno ragione?
per farti un piacere”
Javaharlal Nerhu
“Ebbene, io dichiaro qui al cospetto di questa assemblea ed al cospetto di tutto il popolo italiano che assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto”, con queste parole risolutive Benito Mussolini, nel discorso tenuto alla Camera dei Deputati il 3 gennaio 1925, pensò bene di chiudere la vicenda del delitto di Giacomo Matteotti, il deputato socialista che aveva osato, nel suo ultimo discorso alla Camera, accusare il fascismo dell’uso sistematico della violenza a scopo intimidatorio per vincere le elezioni. Matteotti stava anche per presentare un dossier riguardante le tangenti che l’americana “Sinclair Oil” pagava al Duce e al Re per poter trivellare il suolo siciliano e per i suoi interessi in Libia. È nel momento in cui Mussolini si prende tutte le responsabilità per l’omicidio del deputato socialista, omettendo tra queste quella penale, ovverosia la più importante, che in Italia comincia la dittatura del “Ventennio”. È il momento in cui si decide come ci siano persone superiori alla Legge, alla quale nulla devono se non fumose parole retoriche, accondiscese dalla stampa e, soprattutto, da re Vittorio Emanuele III, che di quella Camera e della Costituzione Albertina avrebbe dovuto essere il garante. È la fine del diritto, e l’inizio di ogni abuso oligarchico. Comunque la si pensi.
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Qualcuno ha raccontato come la storia ritorni sempre, perché ci sono chiavi culturali che determinano nei secoli il comportamento di un popolo, riproponendogli ciclicamente l’odissea dei suoi problemi viscerali. L’affaire Lotito/Zarate raccontata recentemente dalla nota trasmissione televisiva “Le Iene”, è archetipo di tali problemi viscerali, perché mette in scena, appunto, uno spaccato di declino delle garanzie offerte dal diritto e abusi evidentemente ignorati dagli organi di controllo. La storia, ormai tristemente nota, a primo impatto sembrerebbe quella di un mancato pagamento di un emolumento, tre milioni di euro, dovuto da una società di calcio ad un suo giocatore. Ma nel voler dimostrare il dolo da parte della Lazio, Luis Ruzzi, all’epoca procuratore del giocatore argentino, ha dovuto esibire delle carte che proverebbero una colossale elusione fiscale da tredici milioni di euro. Il contratto ufficiale firmato all’epoca da Mauro Zarate, siamo nel 2008, parla di un ingaggio da sette milioni di euro spalmati in cinque anni, ma oggi si scopre, anche per ammissione stessa dello stesso giocatore (“sapevo tutto sin dall’inizio”), come in realtà il contratto di ingaggio fosse di venti milioni di euro. Ballano tredici milioni in più, che Claudio Lotito si era impegnato, sempre secondo Luis Ruzzi e Mauro Zarate, a corrispondere attraverso la “Pluriel Limited”, una società di diritto britannico. Tredici milioni che, secondo le carte tirate fuori da Ruzzi, sarebbero stati tenuti nascosti al fisco italiano, nel tentativo evidente di eludere le tasse. Il tutto, come già denunciato in un articolo del 2013 dal settimanale “L’Espresso”, è stato coperto da una super commissione di 15 milioni di euro pagata alla Pluriel stessa.
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La Lazio ha prontamente rammentato come in altre iniziative giudiziarie sulla vicenda, Luis Ruzzi sia “risultato soccombente sia in sede civile come in quella penale” (ma in realtà non risultano esistere cause discusse tra la Lazio e Ruzzi), e rimandando, ancora una volta, alla sedi competenti tutte le conseguenze legali a carico delle “Iene” e di Luis Ruzzi. Non è importante in questa sede stabilire la verità su questa storia, ma piuttosto ambire a fare qualche riflessione. La vita, ad osservarla attentamente, ci insegna come le cose del mondo cambiano a seconda di come le guardiamo, perché il nostro sguardo ne può mutare il senso. Un treno visto da un viaggiatore è il mezzo del suo viaggiare; un treno visto da un ingegnere è un meraviglioso meccanismo complesso; un treno visto da un ferroviere è il suo luogo di lavoro; un treno visto da uno psicoanalista rappresenta il cambiamento. Ognuno ha una buona ragione per soffermarsi a guardare un aspetto della realtà o l’avvenimento di un fatto. Ci vuole una maturità esistenziale profonda per ragguagliare, volendo rimanere nella metafora usata, il treno nel suo complesso. Bisogna uscire dai normali, e umani, interessi particolari, e naturalmente egoistici, per osservare il mondo per come esattamente è. E cosa ci racconta, operando lo sforzo di allontanarci dai dettagli soggettivi, la vicenda Zarate/Lotito?
Non possiamo, semplicemente, ribadire ancora una volta come il calcio sia irrimediabilmente malato, anche perché quella da molti definita malattia, in realtà è una mutazione genetica in corso, in fase di compimento, di quello che fu un tempo uno sport narrato e amato dalla gente nei bar e nei cortili frequentati dagli adolescenti di ogni quartiere. Oggi il bar non è più il bar dove nuclei abitudinari di persone si ritrovavano, anche per delle ore, a consumare alcolici e analcolici di ogni tipo, e dove si potevano udire forti rumori di carte da “Briscola” fatte planare vigorosamente su un tavolino, mentre si parlava della rivalità tra Rivera e Mazzola. In tali contesti la gente si appropriava del calcio, e lo faceva entrare culturalmente nella propria esistenza come sua comprensibile metafora. Era un vivere dove andare allo stadio era una via di mezzo tra l’ambizione e il desiderio. Oggi il bar si è ridotto a malinconica rappresentazione di fugacità e frugalità, e i cortili sono spariti lasciando gli adolescenti senza spontanei luoghi di aggregazione, occasioni di prime responsabilità autonome nei confronti di una realtà da potersi “toccare”. Il luogo del calcio ormai è il salotto, dove troneggia un televisore portatore di molteplici mondi digitali, e un computer dove i social hanno dato il via ad una socializzazione con spazi più allargati, ma connotati esclusivamente dall’effimero. La breve durata a cui sono state ridotte le emozioni, impediscono di focalizzare l’attenzione sulla cronaca, non corrispondendogli più il giusto valore.
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Dispiace notare l’indifferenza pubblica sia l’unica cosa a notarsi dopo l’inquietante servizio delle “Iene”, come se non si sia percepito minimamente la gravità a cui si è assistito. Si direbbe tutto rubricato ad un momento di narrazione televisiva tipicamente da reality show, dove si dice e si fa di tutto in quel meta-mondo caratterizzato solo dal momentaneo e dal falso. Oppure, ipotesi peggiore, ci si è convinti dell’assoluta necessità del “giro” irregolare di grandi quantità di denaro, per permettere allo show calcio di deliziare le nostre giornate da salotto casalingo. Non dovrebbe sorprendere, quindi, l’imbarazzante latitanza di ogni organismo di controllo su un contratto tra Lazio e Zarate caratterizzato da più di qualche semplice ombra. È sconsolante dover qui ricordare come la società capitolina sia quotata in borsa, e forse un intervento di garanzia della Consob, in questi anni, non sarebbe stato affatto male. Così, giusto per rendere tranquilla l’opinione pubblica sul buon andamento delle regole del gioco. Ma niente di tutto ciò è accaduto, come niente è accaduto dalle parti di qualche procura della repubblica. Per non parlare poi della politica, completamente omissiva di fronte alle vicende di una delle industrie portanti del Paese. È la logica del reality tv, incazziamoci ed emozioniamoci sul momento, poi si riprenda la vita di sempre. È la protervia di Mussolini, deciso a sfuggire alle sue responsabilità penali, con la complicità di un’intera classe dirigente, di fatto diventata oligarchia autoritaria.
Lo sberleffo finale, se volete, è l’annuncio, successivo al servizio mandato in onda dalla “Iene”, di una possibile candidatura a sindaco, per il centro destra, di Claudio Lotito alle prossime comunali di Roma. “Possiedo un grande senso civico – ha detto in proposito il patron della Lazio - e ho la visione della “Repubblica” di Platone dove ognuno, nelle sue possibilità, dava un contributo alla comunità”. Più che a Platone, queste dichiarazioni di Lotito paiono uno schiaffo da “Miles Gloriosus” di plautiana memoria e all’essere come la moglie di Cesare, che avrebbe dovuto essere non solo onesta, ma percepita come tale. Sant’Agostino diceva che “solo i fatti danno credibilità alle parole”, ma questo semplice e saggio concetto pare essersi smarrito dalle parti dell’Italia. E allora Mussolini ha potuto parlare di una Camera che poteva ridurre a “bivacco di manipoli”, Romano Prodi dichiarare che con “l’euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno in più”, Silvio Berlusconi proclamare al mondo la “sconfitta del cancro entro tre anni”, Giuseppe Conte approvare inesistenti 400 miliardi come “potenza di fuoco stanziate a garanzia alle imprese”, Giovanni Malagò sicuro di dare le sue dimissioni a causa “della riforma Giorgetti, che è un’occupazione del Coni”. È il trionfo del reality, dove in realtà l’unica cosa importante è solo cosa accadrà nella prossima puntata e nelle prossime parole.
Di Anthony Weatherill
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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