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Libera stampa?

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Loquor / Torna l'appuntamento con la rubrica di Anthony Weatherill: "Cosa devono fare i giornalisti in momenti di estrema gravità?"
Anthony Weatherill

“Parla solo se puoi migliorare

il silenzio”.

Ghandi

In Italia e non solo, sempre di più, si possono avvertire problemi di libertà di stampa; di chiari tentativi di rappresentazioni mediatiche parziali o manipolate ad arte. Il Covid-19, che purtroppo non ha lesinato lutti e dolori, ha fatto emergere, per chi davvero avesse la voglia e la pazienza di notarlo, la volontà dell’informazione di assecondare i desiderata di chi ha deciso quale debba essere la rappresentazione mediatica della pandemia. Il caso dei resoconti giornalistici pervenuti dal recente Gran Premio di Formula 1 di Sochi ne sono stati uno dei tanti esempi lampanti. Proviamo a chiarire.

“Liberty Media”, società proprietaria di tutti i diritti del “Circus” della Formula 1, era stata avvertita dagli organizzatori del Gran Premio di Sochi, che non c’era l’intenzione di far correre la Formula regina senza pubblico sulle gradinate del circuito, a causa di problematiche legate al Covid-19. Piuttosto si sarebbe rinunciato ad organizzare l’importante appuntamento motoristico in Russia. Come è facile intuire di soldi, per i proprietari di “Liberty Media”, ne erano cominciati a “ballare” molti, e alla fine si era giunti al compromesso di far entrare per ogni giorno dei tre giorni in cui è composto ogni Gran Premio, 30.000 persone. Tutto sembrava essere andato per il verso il giusto, finché un giornalista di “Radio Radio”, Fabio Duranti, non ha fatto una inquietante denuncia: “Ho ricevuto – ha detto Duranti nel corso del suo programma radiofonico – la telefonata di un amico che lavora all’interno dell’organizzazione del GP, e mi ha detto che l’ordine a cameramen e registi è stato quello di non inquadrare i tifosi e di non fare mai i primi piani”. Duranti ha poi invitato gli ascoltatori ad andare a visionare le immagini della corsa, per rendersi conto di persona come non fossero stati effettuati “primi piani”. La denuncia del giornalista romano, una delle voci più note di “Radio Radio”, ha lasciato per un attimo di stucco persino il co-conduttore della trasmissione, che, alquanto imbarazzato per la grave denuncia che stava andando in onda, ha provato a stemperare i toni. Ma Duranti, a quel punto, ha invitato la regia della trasmissione di mandare in onda due foto (la trasmissione radiofonica ha anche una versione video, in onda sulla rete) da lui scattate mentre era davanti alla tv per assistere alla kermesse di Sochi. “Sono le uniche due immagini – ha denunciato il popolare conduttore radiofonico - , probabilmente sfuggite per errore alla regia di “SkySport”, in cui si notano le gradinate gremite di gente e senza nessuna mascherina a coprire i visi”. In buona sostanza la gente ha assistito alle vicende della corsa senza preoccuparsi del distanziamento sociale e senza avere nessuna protezione anticontagio sul viso.

Le foto scattate da Duranti parlano chiaro e non lasciano spazio a nessun dubbio. Ma l’accadimento più sconcertante avvenuto a Sochi, sempre denunciato da Duranti, è stata un un’intervista di Lewis Hamilton in cui si è detto “contento di rivedere i tifosi, e che tutti indossavano la mascherina”. Duranti ha fatto notare come nel corso dell’intervista ad Hamilton mai la regia abbia mandato in onda un “Controcampo” del pilota inglese, dove facilmente gli spettatori avrebbero potuto verificare se il riferimento di Hamilton alle mascherine avesse un riscontro nella realtà. A quel punto Fabio Duranti è diventato un fiume in piena, ed è sbottato in una denuncia gravissima verso il pilota della Mercedes: “lui ha detto pubblicamente un falso, è un bugiardo e un buffone. Abbiamo le immagini, quelle che Sky si è fatta scappare e che io ho beccato al volo”. Il giornalista romano ha concluso il suo “j’accuse”, definendo Hamilton da qualche tempo più dedito alla politica che a pilotare automobili da corsa.

Vorrei ora pregare il lettore di non soffermarsi sulla questione, ormai presente da tempo nel dibattito tra la pubblica opinione, sull’utilità delle mascherine o meno, sulla reale presenza virulenta del Covid-19 o meno, vorrei insomma come nella mente del lettore non si aprisse una polemica sulla gestione della pandemia da Coronavirus. Perché il tema è, comunque la si pensi, il “buco” della notizia di Sochi su tutti i giornali italiani, tranne il “Messaggero” che ha pubblicato un articolo corredato da foto di spettatori appiccicati e senza mascherina. Lewis Hamilton, una delle più importanti icone dello sport mondiale, prestatosi a manipolare la realtà agli ignari spettatori televisivi del GP non ha destato nessun corsivo di commento da parte di giornalisti più o meno autorevoli. Si è scelto, da parte dei direttori dei giornali italiani, di ignorare il primo dovere che ogni buon giornalismo dovrebbe avere, ovvero quello di raccontare i fatti così come sono accaduti. Non spetta ai giornali di censurare, edulcorare o ricomporre a proprio piacimento i fatti di cronaca, solo perché all’opinione pubblica si è deciso di proporre un unico “story telling”.

A dire il vero, se si vuole essere onesti e corretti, il buon giornalismo dovrebbe essere sempre capace di resistere alla tentazione di perdersi in uno “story telling”. Compito del cronista è informare, raccontare al lettore anche qualcosa di cui non vorrebbe sentir parlare. Perché dovere del giornalismo e fare “revisionismo” continuo dei fatti, che non sempre esprimono la chiarezza della verità, ma sovente rivelano solo una percezione. Un giornalista, di fronte alla denuncia di Fabio Duranti, ha due sole ipotesi da verificare, per ottemperare al suo servizio esclusivo verso il lettore: o Duranti ha ragione o ha torto. O ha detto il vero, o ha detto il falso. O Lewis Hamilton ha visto il pubblico con le mascherine a coprirsi il volto, o non lo ha visto. Tertium non datur. L’unica cosa che la stampa non dovrebbe fare è permettere il permanere del silenzio, l’unico compito a cui non dovrebbe derogare è l’essere il cane da guardia della gente. Invece nella gestione dell’informazione sul Covid sembra essere passato un unico punto di vista, che ha generato nella pubblica opinione un solo sguardo sulla realtà. E il passo di far diventare un punto di vista la verità è stato breve. Per quale motivo ciò è stato fatto saranno gli storici a stabilirlo, quando tra la gente l’emotività e la paura rispetto al Covid saranno scomparsi, e si sarà recuperata un po’ di serenità. Quel giorno, al quale probabilmente io non assisterò, sono certo dell’emergere di qualche sorpresa, e forse potrà essere un utile monito per i nostri posteri.

Per il momento non si smetta di ragionare sul ruolo che l’informazione deve avere nelle nostre vite, perché per deliberare ogni nostra decisione o elaborare ogni nostro convincimento abbiamo bisogno di avere davanti uno scenario perlomeno somigliante a qualcosa di vero. Dobbiamo sempre ricordare come oggi la realtà sia complessa e interconnessa, ed evitare così la tentazione di essere lapidari. E tenere sempre presente l’esistenza dei fini, che sono umani nell’agire delle persone. Un importante vicedirettore di un importante quotidiano, tempo fa confidò in un’intervista di non aver voluto scrivere un articolo sulla mortalità infantile in Grecia causata dalla terribile crisi economica, nonostante i dati drammatici in suo possesso. “Non ho scritto l’articolo - ha detto l’importante e bravo giornalista - per non essere strumentalizzato dagli anti europei e ostracizzato dagli altri”. Sono certo del travaglio interiore sincero del giornalista in questione, ma questa vicenda, e quella di Sochi, ancora una volta mettono a nudo alcune criticità del mondo dell’informazione. Cosa devono fare i giornalisti in momenti di estrema gravità? Devono censurarsi in nome di una loro visione soggettiva del bene pubblico? Lascio al lettore l’elaborazione di una risposta quanto mai necessaria. Perché nei prossimi mesi, causa Covid e grave crisi economica, molte saranno le scelte delicate che l’Italia sarà chiamata a compiere. Avere una stampa lucida e conscia del suo ruolo sarà quanto mai necessario. “Quid est veritas” (“che cosa è la verità”), disse Ponzio Pilato durante l’interrogatorio a Gesù, e mai come oggi la società contemporanea ha l’urgenza di rispondere al quesito sorto nella mente del funzionario dell’Imperatore Tiberio di fronte ad uno dei più grandi misteri della storia.

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.

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