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Lo spirito smarrito di Olimpia nel cuore di Parigi

Lo spirito smarrito di Olimpia nel cuore di Parigi - immagine 1
Torna l'appuntamento con 'Loquor', la rubrica di Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 

“E’ nella verosimiglianza che l’inganno trova compimento”

Stefano Nasetti

Sto avendo un rapporto controverso con queste Olimpiadi, di distanza e di empatia allo stesso tempo. Amo lo sport per tutto quel che significa, per le immense storie che reca con sé, per la capacità naturale che ha di riunire le persone nel segno della gioia e della speranza. L’avvenimento sportivo fino ad oggi ha sempre dato l’idea di quanto le cose siano migliori di come solitamente appaiono, il mondo variopinto si incontra e si sfida per vedere quanto in grado sia di volare alto, cercando una perfezione che possa ispirare il quotidiano. Il tutto è rafforzato, nell’appuntamento olimpico, dal sentimento di rappresentare una nazione, quel vincolo di cultura e di sangue impossibile da raccontare a parole, ma fluente come un fiume carsico carico di emozioni e visibile solo dal cuore e dall’anima. L’inno nazionale irrompe dalla tv e senti il tuo corpo fremere e le lacrime trattenute a fatica, perché quel suono racconta più di un momento, è spezzone di memoria generazionale. Tutto ciò, sin dalla cerimonia inaugurale di Parigi 2024, è stato inquinato, e continua ad essere inquinato, da aloni di propaganda insopportabili, da gente scaltra nell’approfittare di un momento di alto valore emotivo e simbolico per caricare della propria voglia insana di ideologismo qualcosa di pulito con evidenti tracce di eterno. Corrompere con la nostra vanità quotidiana pare essere la parola d’ordine, si vuole a tutti costi fare sapere al mondo quanto si sia a favore di ogni causa e di ogni diritto, presumendo ovviamente come tale favore sia per forza qualcosa di giusto, di insindacabile. E allora ecco segnalare i titoli dei giornali secondo qualcuno intrisi di cultura maschilista, e poi ecco i fischi alla rappresentativa israeliana, e ancora polemiche scientifiche o pseudo tali per una pugile algerina le cui sembianze e forza fisica sembrano quelle di un pugile, e poi… e poi… e poi… tutto ha le sembianze di una kermesse  di ideologismi contrapposti, dove l’avvenimento sportivo è semplicemente il break dovuto alla rissa continua.

C’è da perderci la testa, e qualcuno la perde sul serio come la ex fiorettista Elisa Di Francisca, determinata nel censurare la “ranista” Benedetta Pilato rea di aver manifestato gioia per un quarto posto in una finale olimpica. In questi frangenti si capisce la metastasi impadronitasi della nostra società, quel virus malefico e ossessivo del cercare a tutti i costi la vittoria altrimenti sei il nulla meritevole di essere insultata e di rifinire nel nulla. Benedetta Pilato ha 19 anni, praticamente ancora tutta una vita agonistica da scrivere, e oltre al magnifico quarto posto olimpico ha nel suo palmares un titolo iridato e quattro titoli europei. Potrebbe lasciare l’attività agonistica domani e già avrebbe fatto il suo per se stessa e per l’orgoglio del nostro Paese, partendo da una realtà difficile come quella di Taranto, incastonata in un Mezzogiorno dove il problema delle donne non è avere un titolo meno patriarcale sul giornale, ma di ottenere finalmente pari opportunità con gli uomini di poter praticare attività sportiva. Si dovrebbe lottare ogni giorno per questo, e non fare i fenomeni solo quando i riflettori sono accessi e la nostra vanità è alla ricerca di un po’ di luce per rivendere un po’ di qualunquismo da diritti civili, da rivendicare poi in biografie professionali e salotti tv. Il budget delle olimpiadi parigine è stimato intorno ai 13 miliardi di euro, e forse siamo giunti a vette di spese insopportabili per la decenza, considerato che con la stessa cifra si farebbe il Ponte sullo Stretto di Messina. Ma le Olimpiadi vengono organizzate da un Paese non per amore dello sport, ma per manifestare potenza e mandarlo come messaggio al mondo intero. Quindi non bisogna badare a spese soprattutto nella manifestazione d’apertura, in questa occasione da surplace globale il seme gettato dell’indecenza onnipotente deve fiorire e stupire l’audience. Non importa se a pochi chilometri di distanza c’è una delle guerre più assurde mai scoppiate nel Vecchio Continente, e non importa se l’inclusione è il miraggio rivenduto come traguardo raggiunto dalla “Republique”, quando si sa benissimo il disavanzo culturale ed economico presente nelle “banlieu” francesi, autentici “scannatoi” di sottocultura sociale ed economica, gravidi serbatoi per storytelling letterari e cinematografici messi in atto semplicemente per far arricciare il naso all’insù ai professionisti dell’indignazione retorica.

L’Olimpiade diviene così una catarsi collettiva da sineddoche, un battersi il petto nelle case benestanti dei quartieri costruiti e pensati con criteri così aristocratici da sbattere letteralmente fuori da ogni visuale qualsiasi etnia o classe economica svantaggiata, tante volte andasse di traverso il bicchiere di pregiato “Dom Perignon”. Lo sport c’entra davvero molto poco con le Olimpiadi contemporanee, praticamente un paradosso a pensarci vista la quantità di medaglie distribuite in tante di quelle specialità a volte dai tratti pittoreschi, da far ritenere i “Cinque Cerchi” un raduno mondiale di “Boy Scout” piuttosto che di atleti convenuti per provare a restare nella storia. Siamo nella Francia del Ministro della Cultura Rachida Dati, incurante nel non farsi scrupolo di rivendicare “all’arte il diritto di offendere”, dimenticando come l’arte può senz’altro essere scandalo ma offesa mai.  Tutto il potere transalpino si è sentito in dovere di difendere lo scempio non tanto di aver offeso gratuitamente la cristianità(a questo ormai i Cristiani sono abituati, e risponderanno con le loro preghiere), ma di aver utilizzato l’appuntamento sportivo più importante del pianeta per portare avanti un attacco rozzo e insensato, avendo pure la faccia di bronzo di chiamarlo “spettacolo inclusivo”. L’entusiasmo si affievolisce e addirittura si annichilisce di fronte a simili spettacoli, fino a quando lo sport si riappropria della sua leggenda e della sua forza e fa salire in pedana la spadista Nathalie Moellhausen, malata di tumore e piegata dalle forte dosi di morfina per combattere il dolore.

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L’assalto contro la canadese Ruien Xiao è stato più che commovente, è stato struggente. Nathalie si è accasciata più volte per il dolore insopportabile, ma ha comunque voluto concludere la sua gara e lo ha fatto con un senso dell’onore insito nei valori eterni dello sport. “E’ salita in pedana come lei aveva sognato e senza aspettative”, hanno detto quelli del suo staff, perché essere in gara alle Olimpiadi è il sogno autentico di ogni atleta. “Onorare la tua storia e onorare il tuo Paese”, questo è il messaggio lanciato dalla spadista italo/brasiliana(sì, scorre anche sangue italiano nelle sue vene), sottolineando la necessità di non abiurare al talento che ti è stato donato gratuitamente, ma che duramente hai coltivato. “Un campione è qualcuno che si alza quando non può”, disse una volta un pugile fuoriclasse come Jack Dempsey. E poi le nostre straordinarie spadiste che ci hanno regalato il titolo olimpico a squadre, duellando con nervi saldi fino all’ultimo assalto contro la squadra francese e al cospetto della maestosità del “Grand Palais”.

Alberta Santuccio, Rossella Fiammingo, Giulia Rizzi e Mara Navarria provengono dalla Sicilia e dal Friuli, dal confine del mare e dal confine dei monti hanno preso per mano l’Italia e l’hanno abbracciata. Lo sport e i suoi valori ti riportano su, ma in questi tempi scellerati la cosa può durare poco al cospetto dell’ideologismo, ed ecco infatti il controverso e assurdo incontro di boxe tra la nostra Angela Carini e Imane Khelif, una psicologia da donna, pare, in un corpo da uomo. Paginate e paginate di tutto il progressismo nostrano a giustificare quel che non si può giustificare, in omaggio alla cultura “woke” e all’ideologismo di genere. Tutti, nel mondo della boxe, erano preoccupati per Angela Carini, la quale ci ha messo 46 secondi, e un pesante gancio destro sul viso, per cogliere il dovere di gettare la spugna se non voleva rischiare seriamente la sua incolumità fisica. Una medaglia, per quanto fosse stata promessa al padre, non vale i rischi altissimi che avrebbe corso continuando il match. E’ stato giusto o è stato ingiusto sottoporre una donna ad una simile umiliazione e ad un concreto rischio fisico letale? Lascio cadere questa domanda, tanto nelle prossime ore si parlerà tanto di questo non incontro annunciato, ma vorrei si riflettesse sulle parole dette dalla nostra atleta subito dopo il ritiro: “non è giusto”. Torno sul mio divano davanti alla tv e prendo il telecomando, e non ho ancora deciso se usarlo per collegarmi con gli avvenimenti olimpici di Parigi. La calura aumenta il percepito della mia avversità verso queste Olimpiadi, la sensazione è quella di essere stato scippato di qualcosa. E non mi passa.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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