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Lo stato emotivo dei tifosi

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Loquor / Torna l'appuntamento con la rubrica di Anthony Weatherill: "Volendo focalizzare per un attimo l’attenzione sul calcio, la cosa che salta agl’occhi è il totale senso di irresponsabilità che i dirigenti sportivi e la stampa...
Anthony Weatherill

“La ragione è un angelo

                                                                                     tra l’uomo e Dio”.

Moshe Ibn Ezra

 

Si narra che una volta Rabbi Bunam disse ai suoi “chassidim” che “la grande trasgressione dell’uomo non sono i peccati che commette, perché la tentazione è forte e la sua volontà è debole. La grande trasgressione dell’uomo è che in qualsiasi momento potrebbe rivolgersi a Dio, ma non lo fa”. Queste parole di Rabbi Bunam, ci riportano ad un’altra considerazione fondamentale dell’ermeneutica ebraica, e cioè “che l’istinto del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza”. Un’inclinazione al male, come spesso viene ripetuto in ogni buona educazione ebraica che si rispetti, che porta l’uomo ad abbandonarsi, in molte circostanze, alla maldicenza. Non sono ebreo, ma riconosco in questo tratto della visione spirituale ed esistenziale dell’ebraismo, una notevole lezione di vita. Il “Talmud”, inoltre, osserva come  “ un peccato porta ad un altro peccato”. Quest’ultima considerazione talmudica, mi ha sempre ricordato il vecchio adagio dell’albero nato storto, un adagio popolare che in Spagna hanno tradotto più o meno così: “l’albero che nasce storto non raddrizzerà mai il suo tronco”. Non ho mai amato molto questo proverbio, perché di fatto sembra precludere ogni possibilità di miglioramento di una data situazione. Ma a volte, quando osservo lo stato dell’arte dello sport italiano, un certo pessimismo cosmico sembra prendermi irrimediabilmente, facendomi provare la sgradevole sensazione di restare senza un respiro positivo vitale. E allora mi capita di vedere il tronco dello sport italiano in una curvatura senza fine. Volendo focalizzare per un attimo l’attenzione sul calcio, la cosa che salta agl’occhi è il totale senso di irresponsabilità che i dirigenti sportivi e la stampa specializzata hanno verso milioni di tifosi. Costoro, dirigenti sportivi e stampa specializzata, fanno finta o, per evidente disinteresse, volutamente ignorano lo stato d’animo delle persone che ogni giorno seguono le vicende calcistiche. Ignorano volutamente di rivolgersi ad una platea di individui, colti in un momento storico di difficile situazione esistenziale. E’ facile accorgersi, leggendo i commenti nei vari forum sul calcio presenti nel web, come in molti soggetti sia presente un’aggressività latente, che da l’impressione di essere sempre più difficile da contenere. Un’aggressività che potrebbe tramutarsi, prima o poi, in prassi violenta o in uno stadio o in uno dei tanti bar dello sport. Sempre di più la gente, e non solo nel calcio, ha come l’impressione di essere protagonista, subendola, di una grande ingiustizia. Non trova più una fonte dove ogni tanto possa placare la sua più che giusta attesa di risarcimento di un torto subito. Allora la rabbia aumenta, declinandosi in molteplici modi. E’ una rabbia sovente inconsapevole, che pensiamo, in una curiosa rimozione della verità e del reale, di non avere, ma piuttosto di rintracciare negli altri. E invece coviamo uno stato di necessità, che ci porta ad usare per la tifoseria di una squadra avversaria la frase: “io li odio”. Oppure:”sono dei ladri”. Non so, sinceramente, se la cosa peggiore sia l’epiteto in sé o la generalizzazione verso una categoria di persone. Perché, non vorrei  lo si dimenticasse nemmeno per un istante, stiamo parlando di sport. Una minoranza della stampa specializzata, specie quella a carattere regionale, spesso alimenta questo aumentare i toni polemici di una partita arbitrata male, per presunti favoritismi riservati ad una squadra più blasonata(potente) di un’altra. Si propongono retroscena maliziosi e scenari da sindrome da complotto. Questo ha contribuito a far nascere in alcuni settori delle tifoserie dei connotati di autentico tribalismo. C’è una canzone intonata da una nota tifoseria italiana che arriva a recitare “e oggi come allora difendo la città”. E’ un chiaro segno di perdita della realtà, di scollamento dal giusto senso a cui le cose dovrebbero tendere. E’ una perdita a cui sovente partecipano anche intellettuali, o sedicenti tali. E’ difficile capire, recuperando un po’ di lucidità, come il calcio, con tutti i suoi meriti che personalmente amo alla follia, possa difendere una città. Ma il tribalismo, ahimè, porta a questo tipo di eccessi emozionali. E a causa di questi eccessi, in un dato momento, è facile come questo tribalismo possa portare a sensazioni surreali di andare allo stadio come se ci si stesse recando ad un fronte di una guerra cruenta. E in guerra ogni azione violenta è giustificata, ogni aggressione verbale e fisica è legittimata dall’appartenenza alla tribù. E il fatto che qualcuno abbia potuto pensare anche solo per un istante di vietare il prossimo Juventus/Napoli a persone nate in Campania, fa capire il grave stato emotivo in cui versa il calcio italiano. Ma è solo colpa di noi tifosi se a volte si ha la sgradevole sensazione di vivere una storia distopica del calcio? E’ colpa dei giornalisti, che esasperano i toni solo per ragione di audience o di copie vendute? Essere classe dirigente di una qualsiasi realtà o comunità, procura sicuramente molti onori. Essere classe dirigente del calcio, oltre agl’onori procura una celebrità difficilmente quantificabile. Prima di diventare presidente del Napoli, Aurelio De Laurentis, per quanto persona influente e nota nei salotti che contano, era persona praticamente sconosciuta al grande pubblico. La stessa cosa si può dire, più o meno, di Urbano Cairo. E chi avrebbe mai riconosciuto per strada Carlo Tavecchio, se non fosse stato il presidente della Federcalcio, in uno dei massimi drammi sportivi della nazionale italiana, cioè l’eliminazione da una competizione mondiale? Tutti gli onori(onori che si tramutano in vantaggi sociali ed economici) derivanti dalla celebrità regalata dal calcio, dovrebbe imporre ai soggetti riceventi di tale regalo la questione della responsabilità. La responsabilità, in primo luogo, di dare “giustizia”, o almeno di dare la sensazione che si  stia facendo di tutto per darla. I presidenti delle squadre di calcio dovrebbero tenere sempre a mente il rispetto necessario dovuto ai tifosi, anche quando vengono chiamati a gestire una squadra di calcio come fosse un’azienda o un semplice affare. I dirigenti di una federazione dovrebbero avere sempre coscienza come loro siano la “parte terza” di un sistema diventato sempre più complesso e crocevia di molteplici interessi. E la gente, da una parte terza, si aspetta sempre un controllo a garanzia di giustizia non solo nei risultati, ma anche nel corretto esercizio del potere esercitato dai club più importanti. Altresì bisogna che un massimo dirigente sportivo(vedi Giovanni Malagò. Vedi le polemiche sulla riforma dello sport voluta da Giorgetti), non offra la sponda del Coni, per consentire a dei poteri extranazionali la possibilità di attaccare un governo in carica anche attraverso lo sport. Perché comunque la si pensi, una volta che si permette alla politica di utilizzare lo sport come mezzo di destabilizzazione, allora i tifosi smetteranno di vedere lo sport come punto d’incontro tra le persone, e finiranno per interpretarlo come occasione di lotta. Stanno(stiamo) trasformando una manifestazione d’amore, il tifo per una squadra di calcio, in una occasione per seguire una bandiera. E in questo contesto sociologico/culturale, in questa evidente anomia dal senso del reale, è del tutto normale ciò che sta accadendo a Roma, a seguito della morte violenta di Fabrizio Piscitelli, noto capo ultrà della Lazio. Di fronte ad una persona che muore per un colpo di pistola, dovrebbe solo calare un rispettoso e angoscioso silenzio, e una giusta attesa che le indagini facciano il loro corso. Invece la vicenda dei funerali pubblici o non pubblici stanno diventando una vicenda molto delicata da gestire da parte delle autorità giudiziarie romane. Nel caso fossero autorizzati funerali pubblici, diverse delegazioni di gruppi ultrà vorrebbero presenziare alle esequie. Chi non comprende il valore simbolico e mediatico che avrebbe questa partecipazione, allora davvero non sta capendo quanto complessa e ricca di contraddizioni sia la situazione dello stato d’animo dei tifosi. E’ lo stesso stato d’animo che ha spinto una banda londinese di estrazione bosniaca(tifosi dell’Arsenal), a garantire la protezione di Ozil e Kolasinac(giocatori dei “Gunners”), aggrediti giorni or sono da malviventi dell’est europeo e da loro in seguito minacciati. Lascio al lettore la valutazione di che tipo stato d’animo sia. Ha ragione la teologia talmudica, quando avverte che l’istinto del cuore umano è incline al male, ma non bisogna mai dimenticare che l’uomo è fatto anche di ragione. E la ragione ci da la possibilità di guardare oltre noi stessi, per farci ritornare in noi stessi migliorati. Perché il problema non è se l’albero è nato storto o meno, ma piuttosto ricordarsi che se oggi ci ristora con la sua ombra è perché qualcun altro lo ha piantato qualche tempo fa. Dobbiamo ricordarcelo tutti: tifosi, dirigenti, presidenti giornalisti, calciatori. Dobbiamo ricordarcelo prima che avvenga ciò che è stato paventato da Thomas Hobbes: “l’inferno è la verità appresa troppo tardi”. Recuperiamo la calma e la ragionevolezza.

 

Anthony Weatherill

(ha collaborato Carmelo Pennisi)

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