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Manette in curva

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Nuovo appuntamento con "Loquor", la rubrica su Toro News di Carmelo Pennisi: "Ai capi delle curve deve sembrare persino legittimo grattare un po’ di soldi da tutta questa manna circolante intorno alle vicende pallonare..."
Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 

“Non potere servire Dio

ed il denaro”.

Luca 16,13

Nel calcio girano troppi soldi, anzi più che troppi, e sotto questi “troppi” c’è una fiumana carsica di altre montagne di soldi che non verranno mai computati, sfuggenti ad ogni lente deputata alla valutazione, con forse al loro interno anche sacche di complicità. Il calcio da la stura a tanti di quei rivoli di denaro, da scatenare cupidigie di ogni tipo e voglia di sedersi al suo tavolo per consumare qualche cosa presente nel suo menù. Fossero anche le frattaglie. Nel nostro Paese lo sport più seguito al mondo è diventato un modello per capire fino a che punto le regole accettino le loro trasgressioni, per studiare ogni sistema sofisticato di corruzione, per poi trasferirlo in altri settori dell’economia. Esso è, insomma, un terreno di prova per testare l’arretramento del confine del grado di decenza da concordare con ogni parte in causa. Non serviva il caso delle curve di Inter e Milan infiltrate dal malaffare, per prendere atto di un gioco pervaso dall’economia della disonestà. Si era visto nella primavera del 2023 il modus operandi di un mondo scevro da ogni moralità ed etica, felice dell’assoluzione generale al processo sportivo per le plusvalenze fittizie, con un tribunale che in sentenza aveva sostenuto la mancanza di un comprovato accordo a rivelare la falsificazione di un valore, senza il quale non si può procedere per un illecito. Non si è di fronte a della semplice tecnica trasformista leguleia, siamo al raggiro sfacciato dello spirito della legge, sia sportiva che ordinaria. Di fronte ad una tale mancanza di rispetto della giustizia, a bilanci opachi su cui sarebbe interessante e opportuno poter indagare sui ricavi, a diritti di immagine su cui si può fatturare tutto e il contrario di tutto, a reticoli di complicità in cui vige la massima “io salvo te, tu salvi me, e insieme ci salviamo”, ai capi delle curve deve sembrare persino legittimo grattare un po’ di soldi da tutta questa manna circolante intorno alle vicende pallonare.

I ricavi dei biglietti e del merchandising di riporto sono davvero poca cosa, in termini di profitto, rispetto ad anche solo una plusvalenza fittizia. L’esempio davanti ai capi bastone delle curve è che se dei presidenti stimati nei salotti nazionali che contano possono tranquillamente aggirare ogni tipo di ostacolo, allora i loro piccoli, e loschi, giri d’affari possono in fondo essere tollerati. Di fronte alla legge, e finanche davanti a Dio. L’idea imposta dalla consuetudine nazionale, è che persino una mazzetta può essere considerata un peccato veniale rispetto al caos etico/morale impostosi da tempo dalle nostre parti. Non siamo divenuti trasgressori davanti alla legge ma qualcosa di più: siamo indegni di fronte ad essa. Non interessa più la verità e un minimo di decoro conseguente, vogliamo vincere e godere dello spettacolo fino a stordirci. Desideriamo tifare a discapito di tutto. Ho dei ricordi vividi di quando bambino ascoltavo o vedevo agire i nostri nonni,e ho una certezza: oggi si vergognerebbero di noi nel vedere di fronte a quante e quali cose siamo capaci di chiudere gli occhi. La nostra stampa si è accomodata al livello infame dell’immoralità diffusa, ritenendo, probabilmente nei supremi interessi generali dello show, di dover difendere il fortino calcio dagli assalti della legalità e della verità. Non si vede in giro una penna come quella di Barney Ronay, che dalle colonne del “The Guardian”, a proposito delle reiterate possibili violazioni delle norme finanziarie da parte Manchester City, ha scritto con chiarezza e durezza inequivocabile: “l’idea che le regole possano semplicemente essere ignorate se si hanno mezzi e il potere, è moralmente ripugnante. Il calcio ha smesso di essere una favola da tempo, ma se il City venisse ritenuto colpevole di aver modificato i libri contabili su una intera era di successi calcistici inglesi, avrà spento quella luce per sempre”. Qualcuno ha parlato di “predisposizione genetica dei grandi club al ricorso ai sotterfugi finanziari”, una cosa talmente oramai radicata da non potersi più nemmeno immaginare una inversione di tendenza.

È incredibile come non si riesca ad avere chiara una cosa: gli arbitri finanziari, effettuati sotto gli organi di controllo federali evidentemente distratti, modificano continuamente le regole di partenza, e quindi il principio di lealtà nel nostro sport più amato. Occorre essere onesti e analizzare le cose con franchezza, dopo la “Via della Seta” e la “Via Francigena” oggi in Italia vige la “Via dell’Illegalità”, e in molte occasioni riesce difficile schierarsi dalla parte della legge, perché si ha la sgradita sensazione di essere nel caso fuori posto, fuori ogni contesto. Sintomatica è la battuta del “Cetto La Qualunque”, cinematografico: "schierarsi dalla parte della legge…dico: ma è legale questa cosa"? Il personaggio interpretato da Antonio Albanese può anche essere visto come un paradosso esagerato di drammaturgia, ma non viene dalla fantasia, giunge da una suggestione amara ricavata dalla vita reale. Gli Antonio Bellocco e gli Andrea Beretta non sono mala pianta spuntata improvvisamente nel deserto delle curve, sono parassiti di piccolo cabotaggio di un sistema corsaro sicuro, e con molte ragioni, di rimanere impunito di fronte alle regole e alla legge. I giornali di tutto il mondo nelle settimane scorse, in modo comicamente roboante, hanno titolato come il Manchester City stia rischiando la retrocessione per i suoi raggiri finanziari, ma il “Guardian” ha subito sottolineato il “contenuto” importante portato alla “Premier League” dal club “mancunion”, quindi ci si dimentichi di una sua retrocessione ritenuta sconveniente per tutto il sistema. I capetti delle curve che la mattina si vedono al bar, mentre consumano cappuccino e cornetto pianificando le briciole di ciò che resta del bottino calcio, vedono continuamente l’aristocrazia dello sport sfuggire al rispetto delle regole e della decenza. Afferrano, nella loro disperazione esistenziale e delinquenziale, come il business sportivo abbia bisogno come l’aria di questa aristocrazia, e giungono a ritenere il braccio esecutivo della legge semplicemente la foglia di fico per regolare conti, e non un garante della legalità. Eccoli quindi fare affari anche con un rapper “de noantri”, incline a scimmiottare la vita borderline di un “50 Cent” o di un “Paff Daddy” per poi brigare per vendere una sua bibita all’interno dello Stadio Meazza.

Tutto è parodia nel nostro Paese taroccato da “pandori Balocco”, persino l’avvenente ragazzona procace che dopo essersi fidanzata con il calciatore, il giorno dopo sventola il suo certificato, con foto in rigoroso bikini di ordinanza o mise da vedo e non vedo, da influencer non si sa bene di chi o cosa. È tutto un borderline all’amatriciana, una discoteca e una spiaggia da dove postare foto sulla rete, un gorgoglio di risulta di quel che rimane dello scendere a cascata dalla cima della piramide di soldi e fama spicciola da quarto d’ora di pubblicità di “Wharoliana” memoria. È il pizzo pagato al ludibrio (oggi lo chiamano “dissing”, in omaggio alla devozione diffusa all’anglismo straccione) voluto dal carrozzone, perché anche questo genera piccoli rivoli di denaro. Gli accadimenti nelle curve non sono la “cayenna” da sopportare per avere il paradiso fuori da esse, le curve sono lo spicchio da tugurio di periferia del mercato del tempio, dove tutto è stato reso lecito e legale da una sorta di “common law” tenuta nel sottobosco delle consuetudini del mondo pallonaro. Giocatori, allenatori, direttori sportivi e quant’altro, intrattengono rapporti con “ndranghetisti” in trasferta nella “nave scuola” dei “Boschi Verticali” o con eredi sbilenchi di Renato Vallanzasca, basta abbiano al collo sciarpa del club d’ordinanza. Sembrano lontani ma in fondo parlano la stessa lingua, ovvero l’incapacità elevare l’esistenza sulla prassi, così come una volta il calcio, con i suoi valori e la sua epica, era capace di fare. “Il calcio ha smesso di essere una favola da un po’ di tempo”, scrive Ronay sul “Guardian”, e vorremmo avere qualche argomentazione per potergli dare torto, ma la Procura di Milano, nella conferenza stampa tenuta per fare chiarezza sulle indagini sulle curve di Inter e Milan, ha sottolineato come le partite, per i soggetti indagati e arrestati, fossero semplicemente un paravento per i loro affari. Ecco cosa è diventato il calcio: un paravento. Come disse il grande Bill Shankly, una delle leggende che hanno reso grande lo sport del calcio, “parleremo delle alternative più tardi”. Sarà meglio.

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Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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