“Basta avere visto Stanlio e Ollio salire su una cuccetta di un treno per sapere che la vita non è semplice”
Loquor
Maradona avrebbe potuto giocare con il Torino?
Osvaldo Soriano
Ho amato e amo Osvaldo Soriano come poche cose nella mia vita, che a tratti mi sembra un inutile orpello inserito in un valzer infinito di generazioni e generazioni, ma che ogni tanto riesce a destarmi dal mio torpore preso tra il mistico e l’intorpidito, e mi regala cose come “El Gordo”. Lo so, lo so, qualcuno potrebbe ricordarmi dell’esistenza della grande letteratura russa e di altri sudamericani giunti addirittura a vincere il Nobel della Letteratura. Ma Soriano è l’amico che tanto avrei voluto avere per parlare di calcio e di tante altre storie. Ma in fondo, avendo letto tutti i suoi libri e molti suoi articoli, è come se suo amico lo fossi stato. Lo cercavo e lui mi cercava, e alla fine ci si trovava. E ci si continua ancora a trovare, nonostante lui se ne sia andato nello stesso mese in cui era venuto al mondo: gennaio. Durante i mondiali italiani del 1990 rammento un suo articolo, non ricordo più pubblicato dove, in cui inviato a “Trigoria”, campo di allenamento romano scelto dalla “Seleccion” nel corso della manifestazione iridata, in cui tutto partiva dalla sua faccia spiaccicata, insieme a quella di altri suoi colleghi, davanti al cancello chiuso del centro sportivo, a causa delle solite beghe che accadono tra stampa e allenatore durante manifestazioni piene di tensioni e di attese come un mondiale di calcio. Carlos Bilardo, allora tecnico dell’Albiceleste, si era alzato male la mattina e aveva deciso di averne piene le scatole di tutti quei giornalisti che proprio faticavano a capire che l’Argentina “italiana”, al netto del genio di Diego Armando Maradona, non era tecnicamente nemmeno lontana parente di quella “messicana” capace di partorire il “gol del secolo” e il ratto della “Mano di Dio”, fino alla gloria del titolo iridato.
Leggi anche: Red Bull e dintorni
Molti argentini considerano quello messicano il primo mondiale vinto, non avendo voglia, nonostante il loro noto sciovinismo, di ricordare l’affermazione del 1978 sotto una delle peggiori dittature militari mai esistite. Come fai a gioire per Daniel Passarella che alza al cielo la Coppa del Mondo della FIFA disegnata dall’italiano Silvio Cazzaniga, mentre poco lontano nei vari “Garage Olimpo” ti stanno torturando e ammazzando parenti e amici? Il colto e “futbolero” Soriano era tra questi argentini, d’altronde era stato nella lista nera del Generale Videla, cinico assertore del “Piano Condor”, e sarebbe finito, spinto da un aereo cargo militare, nelle fredde acque del “Mar del Plata” se non fosse riuscito a riparare nel 1977 a Bruxelles, per poi in seguito stabilirsi a Parigi. Spendeva considerevoli fortune nel telefonare in patria per avere dagli amici notizie sul suo amatissimo San Lorenzo de Almagro. In una di queste telefonate viene a sapere del miracolo nato e cresciuto a “Villa Fiorito”, uno dei tanti “barrios” dispersi nell’anima di Buenos Aires, un certo Diego Armando Maradona. Gli dicono, anzi glielo giurano, che è il più grande calciatore degli ultimi trent’anni. “Gordo, è basso di statura, è più storto di un albero storto, ma è un fenomeno”. Soriano è un generoso, e allora scrive al suo migliore amico italiano, lo scrittore/giornalista Giovanni Arpino, lo juventino che più di tutti ha amato il Torino, e gli consiglia proprio Maradona per la risoluzione dei problemi del Torino, di cui Arpino è abbastanza preoccupato(pensate, nel maggio 79 il Toro finirà il campionato al quarto posto in classifica. E Arpino era preoccupato…).
Leggi anche: Elegia a Federico Buffa
A volte mi sorprendo a pensare come fossero belli quei tempi dove un presunto nemico poteva interessarsi per il tuo bene delle tue sorti, a come esistevano intellettuali capaci di andare oltre e indicare una via, pur nelle reciproche differenze. Forse perché quella era una generazione con la memoria ancora fresca della guerra e delle sue cicatrici. Non erano poi così desiderosi di menar le mani ad ogni occasione, al contrario di oggi dove la società pare una pentola a pressione pronta a scoppiarci in faccia in ogni momento. Il Toro dello scudetto del 76 di Orfeo Pianelli sta cominciando a declinare e a salutare i favolosi anni 70 Granata, è l’inizio di un periodo talmente triste, seppur intervallato da un paio d’anni di gloria del Torino di Borsano, da trascinarcelo fino ad oggi. Giovanni Arpino era scrittore vero, uno di quelli capaci di leggere avvisaglie e ricavarne suggestioni, e forse aveva intuito il tunnel disperato in cui stava per andare ad infilarsi una delle squadre più gloriose del calcio, e seppur di fede juventina non riusciva ad accettarlo. La cosa lo aveva reso così triste e preoccupato, tanto da confidare il tutto nel rapporto epistolare trattenuto con Soriano. “Fa(Maradona) due gol a partita- gli scrive il giornalista/scrittore argentino-, e la sua è una squadra misera ma sono primi. Fa già parte della selezione nazionale… costa cinque milioni di dollari. Se il Torino ha quei soldi è salvo. Dicono che paragonato a lui Sivori è un energumeno. Poi non dite che non vi avevo avvertito. Un abbraccio grande”. Il cuore di Soriano era grande come i suoi abbracci e amava l’Italia, e leggendo la sua missiva ad Arpino, da tifoso Granata mi faccio mille domande. Cosa sarebbe accaduto se Maradona fosse approdato al Toro? Quale sarebbe stato, a quel punto, il futuro della mia amatissima squadra? Mi sovviene una splendida considerazione fatta dal fuoriclasse argentino fatta ad Emir Kusturica, fatta nello splendido documentario del 2008 “Maradona di Kusturica”: “hai idea cosa vuol dire in Italia sfidare la squadra degli Agnelli”.
Leggi anche: Calcio e multiproprietà
Non c’è più quesito da Toro di questo, perché costringe la memoria a molteplici rimandi, in cui si ripercorre la storia d’Italia del dopoguerra in un istante, dalla ricostruzione ai conflitti culturali e sociali interni. E tu sai che il Toro ne ha fatto degnamente parte, e da protagonista. Se c’è un cosa insegnata dalla mia squadra, e questo anche lo juventino Arpino lo sapeva, è che la storia non la si scrive con le vittorie, ma con la solidità di una idea sopraggiunta per sopravvivere nel tempo. Qualsiasi siano i cambiamenti imposti solitamente dal tempo. Arrendersi ai suoi cambiamenti, vuol dire ammainare per sempre la bandiera dell’idea. Non è la fine del mondo, certo, ma sicuramente è la fine di un mondo. Arpino, lo juventino, prova a ribellarsi a ciò che ha intuito, ovvero al destino di un Toro “relativo” rispetto alla sua idea, e forse avrà provato a consigliare a Pianelli di trovare i cinque milioni di dollari per portare “El Pibe de Oro” al Filadelfia. Ma i fatti della storia raccontano che non se ne fece niente, e qualche anno dopo Maradona finirà al Napoli. Un tifoso del San Lorenzo de Almagro e uno della Juventus che si preoccupano del Toro, dimostra cosa sia questa squadra nell’immaginario della gente, una specie di stretta sul cuore della storia del calcio, un vincolo di valori ancora restio ad arrendersi. Esattamente come il toro nell’arena, sbuffa ed è ferito, ma il suo sguardo invita il “Matador” a restare desto con la sua attenzione, perché la morte ancora non lo ha ghermito. Ad oggi risulta difficile immaginare quale sarà il futuro di questo Toro ferito, se ci sarà a breve un altro proprietario o se si continuerà ancora con Urbano Cairo, il più inefficiente e cinico presidente della storia del dei Granata. Ma so che la sua storia continuerà, nonostante tutto. Soriano scrive “che la cosa dannosa del fascismo è che induce gli imbecilli a credersi furbi” e poi “ti tranquillizza non dover pensare, e finisci schiavo di un principe fantoccio”. Ecco, temo che i vent’anni di presidenza di Urbano Cairo siano stati esattamente la sintesi del fascismo fatta dallo scrittore di Mar del Plata.
LEGGI ANCHE: Il Toro non morirà
E se “gli ideali sono l’unico modo per sapere che siamo ancora vivi”, allora sogno una nuova proprietà della mia squadra che, non appena insediatesi, faccia immediatamente una telefonata a Marcelo Bielsa per proporgli un contratto da non potersi assolutamente rifiutare. Lui è uno di quelli abilitati a riportare l’idea Granata al Filadelfia, perché come ogni argentino sa che la vita è come il tango, e prima o poi bisogna pagare il conto con il dolore, e su questo dolor saper ricostruire ogni volta. Non è forse questo l’epitaffio della storia del Toro? E risiamo a Bilardo e al suo malumore contro i giornalisti nel corso di Italia 90. Soriano e i suoi colleghi, come dicevo(anzi come racconta Soriano nel suo articolo), avevano il viso spiaccicato contro il cancello di “Trigoria”, rimasto chiuso per ordine del tecnico argentino. La prosa di quei momenti scorre malinconica dalla penna del “futbolero”, fino a quando non appare Maradona che alla vista di tutti quei giornalisti in attesa di aver qualcosa da inviare come racconto in patria, viene preso da un moto di compassione e generosità, allora prende una arancia e… “no, davvero non posso raccontarvi ciò che quel giorno realmente ho visto”, chiosa l’articolo di Osvaldo Soriano. “El Gordo” un giorno provò ad aiutare le sorti del mio Toro, e ogni volta che leggo una sua preziosa pagina faccio in modo di ricordarmelo e di ringraziarlo, come si fa con gli amici migliori.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Disclaimer: gli opinionisti ospitati da Toro News esprimono il loro pensiero indipendentemente dalla linea editoriale seguita dalla Redazione del giornale online, il quale da sempre fa del pluralismo e della libera condivisione delle opinioni un proprio tratto distintivo
© RIPRODUZIONE RISERVATA