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Maradona è un Dio?

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Loquor / Torna la rubrica di Anthony Weatherill: "Cosa è successo, nella vita economico/sociale, nella città di Napoli dopo i gol di Maradona? In cosa si è graficamente tramutato questo riscatto?"
Anthony Weatherill

La felicità è dare un pallone ad un

bambino per farlo giocare”.

Dorothee Solle (teologa)

A partire dalla metà del secolo scorso si è assistito ad una curiosa corsa dell’umanità verso un ritorno alla sacralizzazione del tangibile, ad un desiderio della soggettività di poter adorare ciò che i nostri sensi possono toccare e ammirare, per ricavarne immediato piacere. Un piacere forte e intenso, come il calore di un fuoco che agl’uomini primitivi dava un tale piacere di tepore, dai motivi oscuri alla loro ragione ancora ingenua poiché povera di esperienza, da considerare le sue fiamme come le braccia di un dio al quale portare riverente rispetto. Nel paganesimo l’utilità pratica di un evento misterioso da viversi ora e subito, quindi non in un Aldilà troppo ipotetico da poter appagare i bisogni della vita terrena, era sovente motivo di esaltazione della propria realtà soggettiva. Ecco, quindi, Efesto, il dio del fuoco, diventare, agli occhi dei greci, la guida suprema delle fucine, dell’ingegneria, della scultura e della metallurgia.

Andando avanti l’umanità ha compreso come nessuna utilità pratica poteva andare a sostituirsi alla domanda delle domande: cosa è la verità? Ponzio Pilato preferì nemmeno provare a dare una risposta a questo quesito balenatosi nella sua mente davanti a Gesù, e perciò lo mise sulla croce. Ma da quel momento quella domanda non ha fatto che riproporsi in tutta la cultura occidentale e mediterranea, portando poco sollievo immediato, perché apparentemente disancorata dalle attività pratiche, e tante inquietudini. Ma almeno si era chiarito cosa fosse realmente il concetto di Dio, non più frainteso con le forze della natura, importanti come “mezzo” della Creazione piuttosto che come fine ultimo. Ma nel neopaganesimo contemporaneo tutto pare essere tornato indietro, con una furia iconoclasta, che invece di abbattere statue si diverte a distruggere l’idea di verità come segno tangibile di sintesi di ogni tempo, per ridurre tutto al bisogno esclusivo della nostra epoca.

In questo contesto, a mio parere impazzito e privo di senso, la morte di Diego Armando Maradona assume i contorni di un rito neopagano teso ad esaltare l’emotività di un momento e ragioni socio/politiche nascoste tra le pieghe del fiume carsico del quotidiano, ma pronte ad uscire improvvisamente e violentemente alla luce del sole. L’Equipe a titolare “Dio è morto” (si noti “Dio” scritto in maiuscolo), fa improvvisamente precipitare tutta la storia religiosa e culturale europea ai piedi di un qualsiasi tempio egizio di Luxor o di Dendera. Lo sgomento, almeno il mio, è salito senza sosta, mentre giornalisti armati di microfono e mascherina (guai a dimenticarsi di un altro nuovo dio contemporaneo: il covid) giravano tra le vie di Napoli, dove bambini inermi di fronte alla follia, assistevano alle dichiarazioni dei genitori, i quali prima dipingevano il calciatore argentino come un padre e poi, in un crescendo emotivo wagneriano dai sapori allucinogeni, lo elevavano al rango di “Dio”. Ma non c’è credenza senza ipotesi di riscatto, ed ecco quindi i tifosi del capoluogo campano cominciare a parlare, appunto, di un presunto riscatto donato da Maradona a tutta la città di Napoli.

Qualcuno, quelli più dotati di memoria ma ugualmente sprovvisti di capacità di giudizio, si sono spinti a paragonare le imprese di quel Napoli a quelle del “Grande Torino”, che fu simbolo della rinascita italiana del dopoguerra. Verrebbe solo da ridere se, ahimè, non si stesse parlando di questioni troppo serie per affidarle ad una semplice risata. A leggere i fatti storici senza una mentalità corrosa da emozioni artificiali da “Grande Fratello” normale o vip che si voglia, sarebbe facile ricavare come quel Torino morto alle pendici di Superga fu, effettivamente, un prodromo della nuova Italia indirizzata verso un miracolo economico, capace di stupire il mondo e di innalzare il Paese di Dante Alighieri e Giuseppe Verdi fino al top delle nazioni più ricche ed industrializzate del pianeta. Quell’Italia del dopoguerra sconfigge l’analfabetismo e regala ad ogni classe sociale condizioni di vita inimmaginabili fino a qualche decennio prima. Diritto all’ascensore sociale compreso. Possiamo dire, quindi, come il Grande Torino, Fausto Coppi e la Ferrari furono simbolo del riscatto italiano? Sì, lo furono incontestabilmente. Il riscatto, per essere tale, non può essere rubricato esclusivamente come uno stato emotivo di un momento (un gol di Maradona alla Juve), ma deve essere azione tangibile di un quotidiano atto a risolvere problemi trascinati da tempo.

Cosa è successo, nella vita economico/sociale, nella città di Napoli dopo i gol di Maradona? In cosa si è graficamente tramutato questo riscatto? Rispondendo a queste domande con onestà lucida, si comincerebbe aprire nella mente un percorso più veritiero dell’analisi della realtà. E allora potrebbe anche definirsi cosa sia un padre: uno che si è sempre occupato del figlio, nell’educazione e nella protezione del diritto della sua crescita nel mondo. Uno su cui puoi sempre contare, non tanto come modello di perfezione, ma come presenza continua e costante nel tuo mondo affettivo. Uno a cui dai la mano per attraversare una strada trafficata, certo che non ti farà mai finire sotto un’automobile in corsa. Dopo aver definito, nell’analisi onesta e lucida, la figura del padre, potrebbe finalmente aprirsi la strada per comprendere il rapporto con l’assoluto, quindi con Dio. Rapportarsi ad un Creatore vuol dire specchiarsi nella sua Parola, per conoscere veramente se stessi. Non c’è vera conoscenza delle nostre potenzialità, di ciò che veramente possiamo e siamo chiamati a fare, senza la vera conoscenza di Dio e della sua Parola.

Ho amato moltissimo Diego Armando Maradona, perché amo il calcio e tutte le emozioni da esso confezionato, ma il mitico “numero dieci” ha regalato bellezza e creatività per comprendere la ragione, non era la ragione. Maradona, in tutte le innumerevoli dichiarazioni della sua vita, non ha mai preteso di essere la ragione. Non ha mai voluto essere Dio, e sono certo come avrebbe disapprovato tutto questo processo di mistificazione della sua figura ridotta a feticcio mistico. Ma in questo tempo disgraziato si sono persi punti di riferimento e tutto viene vissuto con gli stessi stilemi di un reality show. Si è azzerato, in pochi anni, lo sforzo secolare compiuto dall’umanità per comprendere il vero significato del fuoco, straordinario mezzo per riscaldare il corpo, ottenere pasti caldi, curare malanni fisici. Tutte possibilità ottenute da una reazione chimica, diventato prodromo necessario per un benessere fisico in grado di rendere più agevole e sereno la nostra ricerca di senso del mondo. Ecco cosa è stato Maradona: una reazione chimica del cuore e dell’anima. Ed è una colossale sciocchezza (ah, la retorica usata completamente scollegata dalla ragione) parlare di un Maradona soldato a servizio dei poveri contro i ricchi, perché il Napoli non era e non è una squadra emanazione di qualche baraccopoli senza nome e reddito. Una squadra di calcio se ha un merito è proprio quello di essere la somma di sentimenti di tutte le classi sociali: povere, medie e ricche. Ci sono tifosi napoletani abbastanza ricchi da potersi comprare il tempo, quindi le vite, di molti tifosi della Juventus, la squadra ritenuta più ricca e potente d’Italia. Questa ulteriore mistificazione, è voluta dalla neolingua pagana del dio del consumo, voluta dal neo capitalismo globalista misuratore della vita attraverso il denaro. La bellezza del calcio sta nell’essere la rappresentazione di un’idea di una comunità, e può anche essere potere e nello stesso tempo contropotere.

Ma, soprattutto, il calcio è arte e una carezza nell’animo: lo abbiamo colpevolmente dimenticato. Classificare George Best come divoratore eccessivo di vita, non deve far dimenticare come lui abbia contribuito a chiudere il cerchio con i “Babies” rimasti uccisi nell’incidente di Monaco. I tifosi dei “reds” mancuniani, me compreso, hanno visto la Coppa dei Campioni a Manchester, sotto un cielo grigio e piovoso incombente su ricchi e poveri. Era il completamento dell’idea di Matt Busby di compiere un capolavoro in una città industriale resa un po’ triste dalla monotonia delle miniere e delle catene di montaggio delle industrie cotoniere. Era il nord cupo, che poteva finalmente rubare un po’ di sole (si fa per dire, ovviamente) alla capitale ridente sul Tamigi. Di me, l’alcolista ed eccessivamente mondano Best, fece un adolescente felice insieme a tutta la mia famiglia. Ma non è a George Best e Maradona che si possono affidare tutte le nostre idee, le nostre speranze e le nostre azioni. Facendoli diventare feticci mistici pagani, appagheremmo solo la nostra vita sensuale e niente altro. Presto incontrerò Dio, e mi chiederà conto di cosa ne ho fatto, nella pratica della mia vita, dell’arte e della carezza di Maradona e di Best. Spero di essere stato all’altezza delle Sue aspettative. Ho amato il calcio. Ho amato Best e Maradona. Ho amato la vita. Spero sia servito a qualcosa. Spero di non aver usato troppe parole a caso, mistificandone il senso. Spero, soprattutto, di aver lasciato qualcosa di buono a chi verrà dopo.

(ha collaborato Carmelo Pennisi)

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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